Economia criminale, riappropriazione delle terre e “altreconomia “ nel Mezzogiorno di Tonino Perna

Economia criminale, riappropriazione delle terre e “altreconomia “ nel Mezzogiorno di Tonino Perna

Vorrei partire da un evento : sabato 7 maggio 2016 a Reggio Calabria, storica capitale della più potente organizzazione criminale italiana- la ‘ndrangheta- è stata inaugurata una esposizione permanente, presso il Palacultura, dei 104 quadri sequestrati all’imprenditore “ndranghetista” Gioacchino Campolo. Si tratta di opere di grandi artisti : da Dalì a Fontana, da Sironi a De Chirico, da Ligabue a Carrà, ecc. per un valore di svariati milioni di euro. Potrà sembrare un fatto marginale, ma questa operazione fortemente voluta dall’assessore provinciale alla cultura Edoardo Lamberti e condivisa dalle altre istituzioni locali, ha un significato che va al di là della contingenza: una ricchezza privata, posseduta da una esponente della nuova borghesia mafiosa, viene espropriato e diventa un bene fruibile gratuitamente da tutta la collettività, un Bene Comune. Non basta. Nella stessa giornata, il direttore Umberto Postiglione dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata, ha consegnato al Comune di Reggio 21 immobili da utilizzare per finalità sociali, 19 unità immobiliare da destinare ad attività commerciali con i proventi dell’affitto da destinare a progetti nel campo sociale, 24 immobili da abitazione da destinare alle fasce sociali più svantaggiate.

Dovremmo riflettere attentamente sul valore sociale e politico di questi ed altri dati. Come si legge in un report di Pierpaolo Romani[1], presidente di Avviso Pubblico : dal 1982 ad oggi i beni immobili confiscati alle mafie superano le 23.000 unità e 3.500 sono le aziende confiscate. Al primo posto la Sicilia con oltre 5.000 beni immobili confiscati, seguita dalla Campania, Calabria, e Lombardia dove la penetrazione delle organizzazioni criminali sta crescendo a vista d’occhio. Sono complessivamente 12.480 i beni confiscati alle mafie e restituiti alla collettività: 11.604 beni immobili e 876 imprese. Palermo è il Comune con il maggior numero di beni confiscati (1.744), seguita da Reggio Calabria (386), Napoli(233) e Milano (217). Oltre la metà dei beni immobili è utilizzato per finalità sociali. Secondo Rosy Bindi, la presidente della Commissione Parlamentare antimafia, i beni confiscati alle mafie , o meglio alla borghesia mafiosa, valgono circa 25 miliardi al momento del sequestro ( poi per le lungaggini burocratiche perdono negli anni di valore per cui una stima credibile è difficile).

 

La deriva criminale del capitalismo

Sappiamo bene che il sistema di destinazione sociale di questi beni, grazie alla Legge 109/96 voluta da Libera che raccolse all’epoca un milione di firme, è ancora poco efficiente e farraginoso, ma quello che conta è la direzione. Stiamo andando, infatti, verso una redistribuzione della ricchezza che passa dalle mani della borghesia “mafiosa”, la nuova classe sociale emergente, a quella delle cooperative di giovani che coltivano le terre confiscate, a spazi pubblici , a servizi sociali, agli enti locali. Grazie al sacrificio del mai ricordato abbastanza Pio La Torre abbiamo in Italia una legge che colpisce al cuore l’accumulazione mafiosa del capitale. Una legislazione che ci stanno copiando tanti altri paesi che sono duramente colpiti dal dominio di questa nuova borghesia che usa i proventi dei mercati illegali per controllare in misura crescente l’economia e le istituzioni di paesi piccoli (come il Montenegro) e grandi (come il Messico).

La deriva criminale del capitalismo è ormai un fatto palese che viene ancora negato dall’ideologia del libero mercato, del pensiero unico che lo riduce al rango di devianza sociale. Non vorrei essere frainteso: non esiste un capitalismo buono ed uno criminale, ma esiste una linea di demarcazione tra imprenditori ed imprese che hanno dei vincoli sociali e etici e imprenditori/imprese che agiscono “liberamente”al solo scopo di massimizzare il profitto. Per esempio le imprese multinazionali che in Centro America hanno per decenni finanziato gli squadroni della morte per tenere sotto scacco i lavoratori che si organizzavano e si ribellavano, non sono per nulla diversi da quei mafiosi che ti fanno saltare il negozio se non gli paghi il “pizzo”. Ma, l’emergente borghesia mafiosa o criminale ha un suo specifico modo di operare: da una parte controlla il territorio dove è insediata, attraverso il suo braccio armato, dall’altra opera “legalmente” nel mercato capitalistico tradizionale investendo i proventi delle attività illegali. Questa nuova borghesia è l’unica classe sociale ad essere veramente glocal: è radicata nel proprio territorio, dove trova protezione e controlla/riproduce l’esercito criminale di riserva, ed allo stesso tempo agisce a livello internazionale, sia sul piano commerciale che finanziario. Ciò che contraddistingue questa nuova borghesia è la velocità con cui riesce ad accumulare il capitale attraverso gli extraprofitti generati dai mercati illegali (droghe, armi, rifiuti tossici, ecc.), paragonabile solo alle enormi fortune accumulate dai grandi speculatori di Borsa.   Ed è spesso proprio nelle Borse di tutto il mondo, oltre che nei paradisi fiscali, che l’accumulazione criminale del capitale trova il suo sbocco, oltre che nell’acquisto di case e terreni, di preziosi e di oro, di aziende grandi e piccole, in tutto il mondo. Non a caso abbiamo ormai un intreccio inestricabile tra borghesia finanziaria e borghesia mafiosa, veri padroni dell’economia mondo.

Come scriveva il grande Fernand Braudel in “Dinamica del capitalismo”[2] il vero motore di questo sistema, che va distinto dall’economia mercantile, è l’extraprofitto, il profitto eccezionale che si può ricavare in alcuni settori e fasi del ciclo economico.  Alti rischi ed alti profitti segnano il passaggio dall’economia di mercato (quella descritta da Marx con la sequenza Merce-Denaro-Merce) al mercato capitalistico in cui l’accumulazione di capitale è il fine assoluto (la sequenza diviene Denaro-Merce-Denaro). Questo modo di produzione era destinato, secondo Marx, ad una polarizzazione sociale crescente che avrebbe creato le condizioni per una rivoluzione ed un cambio di sistema. Questa polarizzazione la stiamo vivendo e subendo, è certificata anche dal famoso saggio di Piketty[3] sulle diseguaglianze patrimoniali crescenti, ma non ha finora generato quella reazione di massa, la rivoluzione di quella maggioranza della popolazione che viene sempre più impoverita.   Quello che Marx non poteva prevedere era che la componente criminale diventasse dominante e creasse una nuova contraddizione di classe. Non solo. Abbiamo scoperto in questi ultimi decenni che anche le forme dell’accumulazione originaria[4] non appartengono solo al passato, al periodo coloniale ed a quello delle inclosures (recinzioni delle terre ed espulsione dei contadini) , ma nelle aree periferiche esiste una via criminale al capitalismo che rappresenta un’altra forma di accumulazione originaria che crea quel capitale necessario per avviare un processo di sviluppo capitalistico.   Un processo sempre più violento e distruttivo proprio nelle aree dove l’inserimento nel mercato globale e nella mercificazione onnivora è stato più veloce.

 

 

Le alternative all’economia criminale

Direi di più: il carattere distruttivo del capitalismo maturo, ben documentato da Piero Bevilacqua nel “Il grande saccheggio”[5], non riguarda solo la sfera ambientale, la distruzione degli ecosistemi, ma anche quella sociale ed economica. E qui è entrata sulla scena della storia quella reazione sociale che Karl Polanyi definiva come “autodifesa della società”. Ed è proprio il nostro paese, in cui sono state poste le basi di questa autodifesa sociale, che dovremmo guardare con estrema attenzione. L’Italia, anche in questo caso, si presenta come un laboratorio politico di prima grandezza. Siamo stati il paese che ha inventato il fascismo come forma di governo (poi imitato da tanti), quello che ha avuto il più grande partito comunista d’occidente, il sindacato più forte e conflittuale (anni ’60 e ’70), e siamo anche il paese occidentale dove più rapida e violenta è stata la penetrazione dell’economia criminale, ma altrettanto forte è stata la risposta. Innanzitutto, nel Mezzogiorno.

Val la pena qui richiamare molto brevemente la condizione sociale ed economica del nostro Sud Italia in questi anni di Lunga Recessione. Come ci dicono tutti gli indicatori economici il Mezzogiorno ha subito un impatto dalla crisi che è stato mediamente il doppio di quello che si è riscontrato nel Centro-Nord : il 16% in meno di Pil rispetto all’8% del C-N, un tasso di disoccupazione che ha raggiunto l’apice del 24% contro l’11 % del C-N, una caduta degli investimenti di oltre il 50% contro una caduta nel C-N di circa il 24%, e via dicendo.[6] In questa situazione di forte impoverimento di ceti medi e popolari, la morsa della economia criminale è diventata insostenibile. In questo scenario va letta la reazione di una parte della società al predominio delle mafie. Una reazione che ha portato in breve tempo ad una intensificazione della lotta di classe in varie aree del Mezzogiorno tra le organizzazioni criminali e imprese locali, cooperative, imprese sociali, che hanno avuto dallo Stato la gestione di beni (terreni, case, aziende) confiscate alla borghesia mafiosa. Come in passato la lotta di classe nel Mezzogiorno vedeva da una parte gli agrari e dall’altra le masse contadine impoverite, così oggi abbiamo da una parte la nuova borghesia mafiosa – che controlla non solo una buona parte dell’economia locale, ma anche una parte importante delle istituzioni locali- e dall’altra imprese individuali, cooperative sociali, movimenti anti- mafia, che si oppongono con determinazione e coraggio.

 

 

Sono soprattutto le tre regioni a più forte presenza dell’economia criminale dove si registra da anni una vera e propria guerra a bassa intensità condotta dai mafiosi-‘ndranghetisti-camorristi a cui sono stati confiscati i beni accumulati con i proventi dell’economia criminale. Migliaia di alberi tagliati (di ulivo, kiwi, melograno, ecc.), di case e terreni dati alle fiamme, di bombe a negozi ed altri beni immobili. Da Sessa Aurunca, dove la cooperativa “Al di là dei sogni” subisce da anni attacchi continui a Progetto Sud a Lamezia, una straordinaria comunità animata da Don Giacomo Panizza che è impegnata da mezzo secolo nell’inclusione di soggetti svantaggiati , alla Coop. Valle del Marno nella piana di Gioia Tauro a cui sono arrivati a tagliare in una sola notte centinaia di ulivi secolari, alle cooperative agricole di Libera in Sicilia e Calabria(Crotone), alla cooperativa “Giovani in vita” di Cittanova, al Consorzio di cooperative Goel, noto ormai in tutta Italia, che negli ultimi tre anni ha subito più di dieci attentati, a Michele Luccisano, presidente di “Calabria Solidale” che ha mandato in galera gli usurai/mafiosi, a cui hanno fatto saltare in aria più volte l’azienda di produzione di olio di oliva, ecc. ecc. Abbiamo citato solo alcuni casi di un panorama ben più vasto[7]  che mette a dura prova queste esperienze, ma anche le rafforza perché crea intorno a queste cooperative o imprese sociali una rete robusta di solidarietà, base fondamentale di una “Altreconomia”.   Ed è questo un punto fondamentale.

Da diverse ricerche sul campo emerge che i beni e le aziende confiscate all’economia criminale hanno difficoltà a sopravvivere nell’agone del mercato capitalistico che tende a distruggerle in breve tempo, dimostrando che gli imprenditori mafiosi gestiscono le aziende meglio dello Stato e delle cooperative giovanili. I motivi sono diversi. Il primo è l’isolamento sociale di cui è vittima chi va a gestire un’azienda o terreno confiscato alla borghesia mafiosa.   L’impresa mafiosa è bene embebedd nel territorio in cui è localizzata, ha una rete di acquisti e di vendita che non è facile riprodurre o riprendere in mano. Il secondo motivo è che tutte queste esperienze sono per lo più portate avanti da giovani che non hanno capitali iniziali rilevanti da investire, hanno difficoltà di accesso al credito ordinario, sono quindi ricattabili sul prezzo di vendita dei loro prodotti da parte delle grandi imprese. Questo è per altro il vero problema di tutta l’agricoltura contadina in tutta Italia, ma riguarda anche altri settori. Il piccolo produttore è strangolato dai meccanismi del mercato oligopolistico (che Scalfari definirebbe mercato democratico) e solo una rete alternativa di vendita dei propri prodotti , come quella che si basa sui principi del “commercio equo e solidale”, può permettergli di vivere e lavorare con dignità. Per fare un esempio, chiaro e diretto, le arance che i piccoli produttori della piana di Gioia Tauro vendono alla Fanta (Nestlè) vengono pagate mediamente negli ultimi anni intorno agli 8 centesimi al Kg. I produttori locali per stare nel prezzo sfruttano bestialmente i migranti africani (per lo più nigeriani) pagandoli venti euro per dieci ore di lavoro (di cui cinque euro vanno al “caporale”che li recluta) e facendoli dormire e mangiare in condizioni disumane. Da questa condizione materiale sono nati i tristemente famosi “fatti di Rosarno” del Gennaio 2010[8] . Da questa stessa condizione è nata anche l’idea che fosse possibile dare dignità al lavoro dei braccianti attraverso la vendita diretta ai G.A.S. della Toscana, Lombardia, Piemonte, ed altre regioni del Centro-Nord.   Nasce così S.O.S. Rosarno, un consorzio di piccoli produttori che pagano regolarmente e registrano i migranti grazie al fatto che i G.A.S (Gruppi d’Acquisto Solidali) pagano le arance a 35-40 centesimi al chilo, pur facendoli pagare ai propri soci/acquirenti meno di quello che pagano al supermercato. Il Consorzio Goel che ha ormai una struttura di produzione e vendita significativa vive grazie a queste reti (GAS, Commercio equo, comunità) che garantiscono un prezzo socialmente sostenibile. Infine, non va dimenticato che sul piano del credito da oltre quindici anni interviene la Banca popolare Etica, che finanzia queste esperienze anche senza le garanzie richieste dal sistema creditizio tradizionale.

Da queste confische di beni/aziende può nascere un’Altreconomia, basata sui principi del fair trade e sulle reti dell’economia solidale. In poche parole: dalla putrefazione del capitalismo, di cui l’economia criminale è parte costituente, possono nascere i fiori di una nuova società più umana e vivibile.

 

[1] Vedi la rivista Altreconomia, numero di Aprile 2016 , ed. Altreconomia , Milano.

[2] Cfr. Fernand Braudel, La dinamica del capitalismo, il Mulino ed. Bologna , 1981.

[3] Cfr. Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo , Bompiani ed. 2014

[4]   Come è noto Marx dedica un interio capitolo nel primo volume del Capitale all’analisi dell’accumulazione originaria.

[5] Cfr. Piero Bevilacqua, Il grande saccheggio , Laterza ed, Roma-Bari, 2011.

[6] Per un approfondimento degli effetti economici e sociali della Lunga Recessione nel Mezzogiorno vedi T. Perna, Lo sviluppo insostenibile: la fine della Questione Meridionale e il futuro del Mezzogiorno, città del sole ed. 2016

[7] Vedi per esempio l’inchiesta di Angelo Mastrandrea sul quotidiano “il Manifesto” dell’8/7/2016.

[8] Per un approfondimento della filiera degli agrumi e dei “fatti di Rosarno”, vedi F. Mostaccio. La guerra delle arance, Rubettino ed. , Soveria Mannelli, 2012

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