Autonomia, Di Maio tra segreti e bugie di Massimo Villone

Autonomia, Di Maio tra segreti e bugie di Massimo Villone

Di Maio ci informa dalle pagine di Repubblica che con l’autonomia non intende spaccare l’Italia. In Consiglio dei ministri andrà una pre-intesa dopo un vaglio politico suo, di Salvini e di Conte, per poi fare una trattativa con i presidenti delle regioni e andare in parlamento, dove i presidenti decideranno sulla emendabilità. Siamo sollevati. Ma poi leggiamo che Salvini ha incontrato Erika Stefani e i governatori leghisti, e ha battuto i pugni sul tavolo in una cena a Palazzo Chigi. E i dubbi tornano.

Dove sono finite le critiche ai famigerati patti della crostata? Soprattutto quando il governo per bocca di Stefani non reca chiarezza né assume precisi impegni in una sede appropriata, come certo era l’audizione del 27 febbraio nella Commissione parlamentare per le questioni regionali. Tutto rimane avvolto nel mistero e nell’ambiguità. Qualcosa è andato in Consiglio dei ministri il 14 febbraio. Ma cosa? Non era già una pre-intesa, che per Di Maio sarebbe invece ancora da scrivere? Circolano bozze di “parte generale” che si definisce “concordata”. Tra chi, dove e quando? Il Consiglio le ha approvate o anche solo viste? Esiste una “parte speciale”, o è da scrivere?

Si vuole forse portare in consiglio dei ministri e in parlamento un ddl del tutto generico, un guscio vuoto recante una sostanziale e probabilmente incostituzionale delega in bianco alle commissioni paritetiche, politicamente irresponsabili, nominate da regioni e governo? Come e quando sapremo chi guadagna e chi perde, e in che modo? Pare che anche l’agenzia Fitch certifichi che l’autonomia differenziata aggraverebbe i divari territoriali, e dubiti persino che recherebbe al Nord reali benefici. Che ne pensa Tria, qui e ora? Su tutto questo Di Maio non offre chiarezza. Dice che si potrà consentire alle regioni di gestire qualche servizio. Potrebbe venirne l’impressione che oggetto del contendere siano marginali funzioni amministrative. Magari con l’apertura di qualche sportello per i cittadini, per una amministrazione di prossimità, efficiente e amica. Ma non è così. Intanto, non si parla solo di funzioni amministrative.

Abbiamo visto nelle scorse settimane bozze, mai ufficialmente avallate, sulle quali Stefani ha glissato anche nella citata audizione. Eppure sono esistite, come c’è stato un lavoro di mesi dei tecnici del ministero e delle regioni (chi, dove, quando? esistono verbali?). Quelle bozze prevedevano il trasferimento alle regioni richiedenti di potestà legislative. Si ritagliava quindi – riducendola – la potestà legislativa statale di dettare norme di principio, e conseguentemente di formulare politiche nazionali. Si passavano nelle mani delle regioni pezzi importanti del demanio statale e infrastrutture di valenza nazionale. Altro che sportelli al pubblico. D’altra parte, cos’è un “servizio”? Tale è, ad esempio, l’istruzione, o la sanità.

Quindi, le parole di Di Maio non escludono la integrale regionalizzazione della scuola, dirigenti, docenti e amministrativi compresi, con programmi, retribuzioni e percorsi di accesso differenziati. È quello che le regioni chiedono, e che tanti nel paese vedono come l’abbattimento del primo pilastro, ieri come oggi, dell’unità d’Italia. Vogliamo sapere di cosa parliamo. Di Maio si impegni a sollevare il velo di segreti e bugie, garantisca la partecipazione paritaria di tutti i territori, assuma la piena emendabilità come obiettivo del Movimento. Passi necessari, considerando che M5S ha generato diffidenza prima scrivendo l’autonomia come priorità nel contratto di governo, e poi mettendola in mani lombardo-venete con la formazione dell’esecutivo: ministra Stefani, leghista del Veneto, e sottosegretario Buffagni, M5S lombardo. Erano già chiari – sapendo dove e come guardare – i rischi delle pre-intese stipulate dal moribondo governo Gentiloni. Mentre il Sud può oggi essere l’unica vera scommessa, più di artifici puramente organizzatori, per fermare un declino M5S in atto. Nessuno che minimamente conosca la Lega e la sua storia può pensare che abbia davvero a cuore – anche nella versione Salvini – l’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei cittadini. Ma M5S deve una risposta al paese ed al Sud. Quindi, niente scambio una Tav a me, un’autonomia a te, nemmeno in formato mini. E ci preoccupa molto nella cena richiamata la centralità – a quanto si legge in rete – delle chiacchiere. Il federalismo fiscale non trainerà nessuna crescita.

 

il Manifesto

1 marzo 2019

Follow me!

Comments are closed.