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Sud, quante fake news dai Borbone in avanti.- di Alessandro Barbero Prefazione al libro di Marco Esposito "Fake Sud".

Sud, quante fake news dai Borbone in avanti.- di Alessandro Barbero Prefazione al libro di Marco Esposito "Fake Sud".

Fake Sud l’ho divorato da cima a fondo con grande piacere, e dunque sono ben contento di condividere le mie sensazioni con chi si appresta a seguire lo stesso percorso. Questo è un libro che entro una cornice unitaria analizza due argomenti molto diversi, che hanno beninteso un nesso, ma anche una eterogeneità irriducibile; a cui però io, che faccio lo storico, sono forse troppo sensibile.

L’autore Marco Esposito è convinto che siano due facce della stessa medaglia o, per usare la sua immagine, due oscillazioni opposte d’un pendolo: pregiudizi contro il Sud, e fake news neoborboniche a favore del Sud; e s’impegna a smontare gli uni e le altre. A me colpisce di più il fatto che dei pregiudizi contro il Sud, tema che occupa i primi due terzi del libro, l’autore non si limita a dimostrare l’infondatezza.

Nel farlo, invece, imbastisce una formidabile analisi delle scelte politiche degli ultimi anni, e una critica argomentatissima agli effetti perniciosi del federalismo all’italiana.

I primi cinque capitoli, continuazione ideale del suo precedente Zero al Sud, rappresentano un’inchiesta di straordinaria efficacia che offre uno sguardo inedito, e drammatico, sul gioco degli interessi politici e dei meccanismi decisionali nell’Italia di oggi. Per me, che vivo queste cose da cittadino qualunque, informato, come quasi tutti, solo a metà e perlopiù poco interessato a saperne di più (anche se la mia regione, il Piemonte, come rivela Marco assomiglia più a quelle del Sud penalizzate da certe scelte, che non al felice e magico Nordest), questa prima parte di Fake Sud è stata davvero una lettura rivelatrice.

Gli ultimi tre capitoli sono invece dedicati a un fenomeno che conosco meglio, e che certo rappresenta una risposta alla situazione messa in luce nella prima parte, ma è in sé di natura profondamente diversa. È un fenomeno politico solo in modo tangenziale, in quanto spesso recepito in delibere di organi amministrativi locali, ma privo delle colossali ricadute a livello decisionale, di politica sociale ed economica, con cui ci siamo confrontati nelle prime due parti: è un fenomeno le cui ricadute sono tutte a livello di mentalità e di (invenzione della) memoria collettiva.

Si tratta dell’insieme di scellerate fantasie che il movimento neoborbonico ha messo in circolo a partire dalla fine del secolo scorso reinventando da cima a fondo la storia del Mezzogiorno borbonico e dell’Unità d’Italia. Qui, la gratitudine con cui ho letto i primi cinque capitoli in verità si smorza; perché a me non può non sembrare troppo timida la critica di Marco (…) e troppo compiacente la sua trattazione della tragicommedia dei cosiddetti primati delle Due Sicilie.

Ecco, scrivo quest’ultima frase e mi sorprendo a chiedermi: ma perché ce l’hai così tanto proprio con i primati delle Due Sicilie? Non è forse vero che parecchi di quei primati sono autentici, e che Marco ha ragione di sottolinearlo nel momento in cui garbatamente rileva l’insussistenza di altri? Provo a capire perché proprio questa faccenda dei primati mi fa infuriare, e chissà che non ne esca una chiave di lettura più generale di questi tre ultimi capitoli. Prima di tutto, è per il partito preso.

Se tanti di quei primati sono dimostrabilmente falsi, vuol dire che anche chi li ha messi in elenco poteva verificarlo, e invece non lo ha fatto. Io sono uno storico e so che fare delle affermazioni sulla base di un partito preso, rifiutandosi di verificare gli argomenti in senso contrario, è una cattiva azione e produce sempre risultati bacati.

Ma qui non si tratta di accertare dettagli di interesse puramente erudito, per cui la colpa resterebbe limitata all’ambito della deontologia professionale; si tratta invece di influenzare la mentalità collettiva nel nostro paese e di accendere passioni violente sulla base di informazioni false. Altrove ho scritto che si tratta di un fine immondo, e Marco non è d’accordo; ha ragione lui e mi correggo: sono i mezzi che sono immondi. Ma il fine, per me, non giustifica mai i mezzi (…).

In questo orizzonte anche “Terroni” di Pino Aprile non è più soltanto una cattiva azione, come è, indiscutibilmente, se letto con gli occhi dello storico, ma diviene un intervento importante su cui è difficile dare un giudizio negativo, perché suscita comunque reazioni necessarie e mobilita coscienze che bisognava svegliare, e pazienza se lo storico si dispiace che per far questo si sia dovuta violentare proprio la storia.

Io, si capisce, non potrò mai seguire Marco Esposito su questa strada, ma posso accettare che il mio sia solo un punto di vista e che ce ne siano altri possibili; anche questa è una cosa che ho imparato leggendo il suo libro. Vorrà dire che, se un giorno mi scoccerò di rodermi il fegato per i primati delle Due Sicilie, scriverò io un libro per fargli le bucce, e chiederò a Marco di farmi la prefazione.

da “il Mattino” del 4 ottobre 2020.