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Un paesaggio sfigurato dal cemento armato.-di Battista Sangineto Uno sviluppo senza progresso

Un paesaggio sfigurato dal cemento armato.-di Battista Sangineto Uno sviluppo senza progresso

La Calabria è ammalata di un tumore inestirpabile e incurabile che ha metastatizzato tutto il suo già povero e martoriato corpo: il cemento armato.

Un milione e 375.504 abitazioni certificate dall’ultimo censimento dell’ISTAT, un’enorme quantità di case per solo un milione e 855.454 abitanti molti dei quali, lo sappiamo, non sono davvero residenti in Calabria. La nostra regione è terza, dopo la Valle d’Aosta ed il Molise, per numero di case non abitate permanentemente con l’altissima percentuale del 42,2% di abitazioni vuote: 580.819 a fronte di 794.685 case occupate in maniera più o meno permanente.

Senza (poter) contare (letteralmente) le case non accatastate che, secondo una indagine condotta nel 2013 dall’Agenzia delle Entrate, in Calabria, quelle totalmente sconosciute al fisco e al catasto, erano 143.875. Una ricerca, commissionata alcuni anni fa dalla Regione all’Università di Reggio Calabria, ha verificato che c’è un abuso edilizio ogni 135 metri dei circa 800 km di costa calabrese, ora, ormai, uno ogni 100 metri.

In Calabria, dunque, c’è una casa, spesso abusiva, ogni 1,3 calabrese che, tradotto in termini di consumo del suolo, significa che il cemento ha irreversibilmente coperto e impermeabilizzato ogni lembo pur vagamente edificabile della regione.

Sono ancora i dati dell’ISTAT del 2023 che lo dimostrano in maniera inequivocabile ed inesorabile per mezzo della misurazione del consumo di Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Nel 1982 la SAU ammontava a 721.775 ettari mentre nel 2023 era diminuita del 24,7% perché, solo in un quarantennio, sono stati consumati ben 178.522 ettari di suolo agricolo. In pochi decenni, dunque, è stato impermeabilizzato, cementificato ben l’11,7% dell’intera superficie di una regione che comprende -per una larghissima percentuale del suo territorio- valli impervie, alte colline e monti inedificabili.
Posso affermare, senza tema di smentita, che il paesaggio rurale e urbano calabrese è, ormai, irrimediabilmente sfigurato e la quantità e la natura degli scempi edilizi consumati negli ultimi anni nelle città, nelle campagne e in riva al mare non fanno altro che porre il suggello all’avvenuto disastro.

Si può parlare di estremo disordine territoriale guardando, ancora, agli impressionanti dati delle città calabresi. Esaminiamo, (come ha già fatto Davide Scaglione su questo giornale), la cosiddetta area urbana cosentina che ha il 17,5% di case disabitate: Cosenza ha il 20,7% di case vuote perché, a fronte di 36.591 abitazioni per 63.743 abitanti (una ogni 1,7 cosentini), ben 7.561 case sono vuote; Rende con 20.881 case per 36.571 abitanti (una ogni 1,7 abitanti) ha il 17% di case vuote che sono 4.931; Montalto Uffugo ha il 14, 4% di case che non sono occupate permanentemente, 1.438, a fronte di un totale di 9.966 case e quasi 20.000 abitanti. In questa area urbana- se si contano anche le 332 case vuote di Castrolibero- ci sono, ‘incredibile dictu’, 14.262 abitazioni vuote.

Davvero si vuole costruire ancora, davvero si vuole, grazie ai PSC (Piani regolatori) in via di approvazione a Cosenza e a Rende, colare cemento armato nei pochi spazi rimasti liberi, utilizzando, anche, le famigerate perequazioni urbanistiche o le fasulle riqualificazioni?

Abbiamo necessità, davvero, che si costruisca ancora a Vibo Valentia che nl suo territorio comunale ha 18.697 case, per 33.742 abitanti, delle quali ben 5.844 sono vuote? È indispensabile continuare a costruire palazzi a Reggio Calabria che, per 182.551 residenti, ha 100.960 abitazioni di cui 26.758 (quasi il 27%!) sono vuote? Si vuole continuare a costruire a Catanzaro sul cui territorio insistono, per 90.240 residenti, 46.783 abitazioni delle quali ben 11.035 non sono occupate? O si vuole colare cemento a Crotone che ha, per 58.288 abitanti, già 28 490 case di cui 4.931 vuote?

Davvero abbiamo bisogno di nuove abitazioni, di nuovi palazzi più grandi e più alti nelle nostre città senza verde e sempre più senza alberi perché moltissimi vengono tagliati anche per farne biomasse?

E, infine, a cosa servono tutte queste case se la popolazione in Calabria – Censimento ISTAT al 31 dicembre 2021- è in calo dello 0,3% rispetto al 2020 (-5.147 individui) e del 5,3% rispetto al 2011 e se la Svimez stima un calo del 20% della popolazione meridionale fino al 2050?

Già mi par di sentirli i retori paesani che insorgeranno, indignati, gridando che in quella loro località, in quella loro valle o in quel loro tratto di costa il paesaggio e/o il mare sono incontaminati, ma questo, anche se fosse vero, non cambierebbe il quadro di forte ed irreversibile degrado complessivo della regione.

La cementificazione dei territori calabresi per ironia della sorte, o forse per una qualche nemesi metastorica, ha sgretolato uno dei capisaldi della “calabresità” quale s’era stratificata nell’anima dei calabresi: lo strettissimo rapporto natura/primitività accreditato con forza, per esempio, da Corrado Alvaro. La natura intesa come scaturigine di vitalità, di primitività positiva per lo spirito umano dei calabresi. Con la sostanziale scomparsa del paesaggio naturale, avvenuta nel breve volgere di tre o quattro decenni, è stato scardinato anche questo nesso psicologico d’identità.

Come si può spiegare in maniera diversa -per fare un esempio recente sollevato su questo giornale da Giuseppe Smorto- il disinteresse per quel gioiello di invenzione naturalistica del Villaggio ex Valtur a Nicotera progettato da uno dei più importanti paesaggisti italiani, Pietro Porcinai?

La Regione Calabria avrebbe dovuto approvare una legge paesaggistica, come disposto dal D.L. 2004/42, che avrebbe potuto mettere ordine e porre un freno alla cementificazione, ma la legge regionale presentata il 7 luglio 2022, n.5 presentava pesanti criticità sollevate dal MiC ed è stata ripresentata, dopo una sostanziale revisione concordata fra Ministero e Regione, come legge regionale 127/2022 depositata per l’esame in Consiglio regionale il 17.11.2022. ma, a tutt’oggi, non approvata. Cosa aspetta la Regione a promulgare questa legge che ha per titolo “Norme per la rigenerazione urbana e territoriale, la riqualificazione ed il riuso”?

Le classi dirigenti calabresi degli ultimi decenni sono state in grado di produrre, in modo disorganico, desultorio e inefficace solo una sembianza di sviluppo basato, quasi esclusivamente, sul cemento, sull’edificazione, sul consumo del suolo a fini di speculazione privata incontrollata. Sono stati capaci di produrre solo un malfermo e stentato sviluppo senza alcun vero progresso.

Sull’apparente sinonimia di sviluppo e progresso Pasolini, negli ‘Scritti Corsari’ scriveva: “Il progresso è dunque una nozione ideale (sociale e politica): là dove lo sviluppo è, invece, un fatto pragmatico ed economico. Ora è questa dissociazione che richiede una sincronia tra “sviluppo” e “progresso”, visto che non è concepibile un vero progresso se non si creano le premesse economiche necessarie ad attuarlo”.

Una sincronia che, in Calabria, non c’è mai stata e, fondatamente, dubito che mai potrà esserci.

dal “il Quotidiano del Sud” del 27 febbraio 2024
foto Ansa

L’ecobonus, dalla transizione ecologica a regalo alla rendita.-di Gaetano Lamanna

L’ecobonus, dalla transizione ecologica a regalo alla rendita.-di Gaetano Lamanna

I provvedimenti del governo Draghi sulla casa spiegano bene il collegamento tra aumento delle diseguaglianze sociali e inefficienza e iniquità fiscale. La casa è una questione sociale irrisolta e, al tempo stesso, si delinea come uno snodo importante delle politiche ambientali. Grazie all’ecobonus del 110 per cento sugli interventi di riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio residenziale, il comparto dell’edilizia è in forte ripresa.

Detto questo, è pur vero che un provvedimento, di per sé positivo perché per la prima volta antepone la manutenzione al consumo e alla cementificazione del suolo, presenta due gravi difetti. Il primo è che le maglie dei possibili beneficiari si sono troppo allargate, arrivando a comprendere seconde case, collegi, ospizi, conventi, seminari, case di cura, e via dicendo. Sarebbe stato quanto meno opportuno affidare alle amministrazioni locali un ruolo di coordinamento e di programmazione degli interventi, anche per stabilire criteri di priorità.

Invece l’ecobonus, lasciato alla mercé della libera iniziativa privata, sta diventando appannaggio quasi esclusivo di fasce sociali ed entità giuridiche più informate e più pronte a coglierne i vantaggi. Il risultato è che le impalcature si vedono dappertutto, fuori e dentro le mura urbane, soprattutto davanti ai palazzi condominiali dei quartieri di media e ricca borghesia o intorno alle ville unifamiliari, meno nelle nostre periferie, nei centri storici degradati, nelle borgate e nelle zone ex Iacp (case popolari), dove gli impianti di riscaldamento sono inefficienti e costosi. L’ecobonus, scansando nella sua attuazione pratica i ceti a basso reddito, si configura come l’ennesimo fattore di disparità sociale.

In secondo luogo, al netto di frodi e truffe (già venute a galla) migliaia di immobili, ritrovando efficienza e qualità, aumentano sia il valore d’uso che quello di scambio. La ratio della legge è il recupero di valore d’uso, anche in chiave di contrasto al cambiamento climatico. Ma a prevalere, ancora una volta, è il valore di scambio. I lavori di ristrutturazione contribuiscono in modo considerevole a determinare il prezzo di mercato dell’immobile, che negli anni si rivaluta anche grazie ai processi di riqualificazione urbana ad opera della mano pubblica: verde, infrastrutture, servizi.

Ciò potrebbe spingere il proprietario a incassare il capital gain (il guadagno di capitale) maturato nel tempo e quello acquisito con l’ecobonus. Assistiamo così al paradosso che case, ville, fabbricati con varia destinazione d’uso, ristrutturati con i soldi dei contribuenti, possano essere rivenduti con tanti saluti e ringraziamenti da parte di chi fa l’affare. Il provvedimento non prevede nulla che impedisca operazioni speculative subito dopo la fine dei lavori.

Com’è noto, nel nostro paese, a differenza del resto d’Europa, manca un’imposta sulle plusvalenze realizzate con le transazioni immobiliari. Le poche imposte che si pagano, quelle catastali, sono solo a carico degli acquirenti. Siamo di fronte a un caso di scuola. Un esempio eclatante di legislazione per la “transizione ecologica” piegata a vantaggio dei ceti benestanti e dei rentiers (beneficiari di rendite).

Ma non finisce qui. Tra le misure di sostegno, varate in piena pandemia dal governo Draghi, c’è la possibilità per i giovani sotto i 36 anni di comprare casa con mutui agevolati e garantiti dallo Stato. Una grande banca si spinge a offrire mutui al 100 per cento fino a quarant’anni!

I proprietari di decine di migliaia di edifici, rimasti invenduti nelle periferie urbane, applaudono. Dietro la parvenza di una politica per i giovani si cela in realtà un grosso regalo alla rendita. A che serve concedere incentivi per comprare casa quando, con insistenza, viene chiesto ai giovani di essere disponibili alla mobilità territoriale per trovare lavoro? Sarebbe molto più coerente investire nella ricomposizione e nell’allargamento di uno stock di alloggi sociali in affitto.

Si continua, insomma, a privilegiare la proprietà quando sarebbe di gran lunga preferibile un riequilibrio del rapporto proprietà-locazione. Siamo dunque di fronte a un provvedimento sbagliato, che favorisce i figli di papà e, comunque, famiglie agiate che possono investire nel mattone, intestando la proprietà ai figli.

In Italia abbiamo un surplus di abitazioni – solo a Roma se ne contano 200 mila inutilizzate -, ma senza un uso adeguato della leva fiscale il mercato dell’affitto non riparte. Il punto è che la rendita non è tassata ed è favorita in tutti i modi. Le imposte sul patrimonio contribuiscono con un misero 7 per cento al gettito fiscale complessivo.

Quelli che quotidianamente criticano il reddito di cittadinanza come fonte di sprechi non spendono mai una parola sui proprietari che non pagano l’Imu sui palazzi invenduti o la pagano solo al 50 per cento. Un vero scandalo. Solo una tassazione efficace può evitare che grandi ricchezze continuino ancora a nascondersi e che la rendita si ponga come motore di sprechi e di nuove ingiustizie, senza essere chiamata in alcun modo a contribuire al benessere collettivo.

da “il Manifesto” dell’11 dicembre 2021