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Fratelli nessuno, nel mondo come gabbia di produzione.- di Piero Bevilacqua

Fratelli nessuno, nel mondo come gabbia di produzione.- di Piero Bevilacqua

“Ma la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro”, scrive papa Francesco ad avvio della sua enciclica ‘Fratelli tutti’, esprimendo un’impressione che domina oggi l’immaginario collettivo. Negli ultimi tre decenni si è aperto il vaso di Pandora da cui sono usciti odi e fanatismi dimenticati, l’individualismo sfrenato ha disfatto il tessuto delle relazioni umane, la competizione è diventata la regola di ogni rapporto fra le persone come fra i gruppi e gli stati, i conflitti politici e le dispute territoriali si trasformano in guerre sanguinose.

Ma come poteva essere diversamente? Sono trent’anni che le classi dirigenti, gli uomini politici, gli intellettuali, i media assediano giorno dopo giorno la nostra mente con un unico e ossessivo messaggio: occorre crescere, incrementare la produttività, rendere il sistema competitivo, il lavoro flessibile, accettare la sfida della globalizzazione, ecc. Poteva un dominio così esteso e durevole del pensiero unico sulle nostre società restare senza effetti sul fondo antropologico delle culture collettive, delle psicologie, dell’etica e del comportamento dei singoli come degli stati?

Ho sempre osservato con stupore la suprema indifferenza per gli esiti sociali, umani, morali (di quelli ambientali sarebbe pretendere troppo) con cui gli economisti di tutte le tendenze, anche progressisti, dettano le loro prescrizioni a sostegno della crescita. Ricordo qui per brevità il caso degli economisti agrari.

Non c’è un loro manuale che non prescriva oggi la formazione di aziende di grandi dimensioni, le monoculture, la crescita della produttività del lavoro attraverso le macchine, la proiezione verso i grandi mercati, l’abbassamento costante dei costi e quindi la competitività del prezzo dei prodotti.

Ma queste prescrizioni hanno come effetto la scomparsa degli uomini dalle campagne, e dunque la perdita di tanti territori che rimangono senza presidi, una agricoltura inquinante che produce in eccesso e impoverisce la fertilità dei suoli, la grande massa dei produttori strangolati dalla grande distribuzione, la rinascita in grande stile di un fenomeno scomparso: la schiavitù bracciantile nelle grandi aziende.

E tuttavia sarebbe fuorviante pensare che il ritorno indietro della storia sia un rinculo generale. Per il capitalismo in questi decenni non si è verificato alcun regresso. Forse che sono diminuite le ricchezze di tanti singoli magnati, e delle imprese? Non abbiamo continue notizie dell’ abnorme concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi? Non sappiamo che si sono formati colossi multinazionali che hanno un bilancio paragonabile a quello di uno stato?

In realtà il mondo a totale dominio capitalistico è andato avanti, e indietro sono tornate le classi lavoratrici, gli ultimi della Terra. Regredite sono le coperture del welfare, le sicurezze e stabilità di un tempo, e dunque anche i rapporti umani, avvelenati dalla precarietà, da una ideologia della corsa continua, della guerra economica tra stati.

La violenza diffusa e la conclamata decadenza morale che segna oggi la condizione umana, descritta con tanto coraggio da papa Francesco, sono l’esito di questo radicale dominio capitalistico, del venire meno di un efficace contrasto politico su scala globale, dell affermarsi della sua intima logica predatoria.

Si è consumato infatti un mutamento storico che è stato percepito in vario modo ma che segna un passaggio d’epoca: le società sono diventate un modo di produzione. Il modo di produzione capitalistico, sempre più privo di freni e mediazioni. La crisalide del capitale, motore segreto della società, ha rotto l’involucro e si è fatta suo corpo.
E’ questa indispensabile lettura che consente di afferrare alla radice i fenomeni in atto e di poter almeno immaginare le strategie di contrasto. Il capitalismo sta abbattendo tutte le mediazioni, quelle statuali e politiche, come quelle culturali.

Si è creduto a lungo che Silvio Berlusconi fosse un’anomalia “mediterranea”, ma oggi Trump ci mostra che il nostro ex presidente del Consiglio era un fenomeno d’avanguardia del capitalismo, non un suo residuo di arretratezza. Oggi è nello stato più potente del mondo che questo modo di produzione, in alcune sue espressioni più aggressive, ha piegato le mediazioni politiche dell’ordinamento liberale agli interessi di un magnate. Anche lo svuotamento dei partiti politici, il loro divenire semplici agenti del mercato elettorale si inscrive in questo processo di fagocitamento di tutte le espressioni della società civile dentro le logiche di un modo di produzione.

E oggi appaiono in tutta la loro nefasta erroneità le politiche europee e italiane di adattamento della scuola e dell’Università ai bisogni della crescita, il loro asservimento a criteri aziendali, la mortificazione del processo formativo ridotto ad apprendistato di mestieri e professioni. I nostri governanti devono sapere che queste politiche concorrono al declino morale, all’indifferenza, all’egoismo, all’odio per gli altri che compone oggi l’informe impasto della società rappresentata da ‘Fratelli tutti’.

da “il Manifesto” del 15 ottobre 2020
Foto di Gerd Altmann da Pixabay