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Creare occupazione intellettuale, rinnovare lo Stato.-di Piero Bevilacqua Un milione di posti di lavoro

Creare occupazione intellettuale, rinnovare lo Stato.-di Piero Bevilacqua Un milione di posti di lavoro

Si può creare un milione di posti di lavoro con una iniziativa governativa e non è una barzelletta di Berlusconi. E senza generare nuovo debito. Lo documenta un progetto elaborato da un gruppo di studiosi dell’Università di Torino e del Piemonte Orientale: Guido Ortona, Filippo Barbera, Francesco Pallante e altri. Il meccanismo è semplice: si tratta di imporre un prelievo dell’1%, una tassa di solidarietà, sulla ricchezza finanziaria con quota esente di 300 mila € e per un periodo limitato di circa 4-5 anni.

Un prelievo, si badi, da attuarsi sui 5.000 miliardi di euro che è l’attuale ammontare della ricchezza finanziaria degli italiani. Su quest’ultimo aspetto la nostra stampa sorvola sempre e comprensibilmente, visto il ruolo che gioca in difesa dei ceti abbienti. Il nostro è un paese composto da famiglie ricche che vivono in una società sempre più povera. Una ricchezza immobile, che blocca l’Italia intera.

Da questo immenso patrimonio, col prelievo proposto, si ricaverebbero oltre 27 miliardi di euro che diventerebbero stipendi per un milione di persone assunte nella Pubblica Amministrazione. Stipendi equivalenti a quello di un professore di scuola media intorno a 1.400 € al mese. Questa trasformazione del risparmio finanziario in stipendi avrebbe uno straordinario effetto moltiplicatore sull’economia: aumentando i redditi accrescerebbe i consumi e migliorerebbe al tempo stesso il rapporto tra debito pubblico e PIL.

Ma l’aumento degli stipendiati accrescerebbe il gettito fiscale allo stato, con vantaggio per le sue capacità di investimento pubblico, innalzerebbe l’efficienza della macchina amministrativa, con beneficio per l’economia, la qualità dei servizi. Nel giro di 5 anni, è stato calcolato, i 27 miliardi prelevati ne genererebbero ben 40. E Il lieve prelievo sugli alti redditi potrebbe essere anche annullato dopo 5 anni. Questo, dunque, costituirebbe uno dei più vantaggiosi investimenti pubblici oggi realizzabili.

Ricordiamo che negli ultimi 20 anni in tanti settori, nella sanità, nella scuola, nei trasporti, nell’Università, un elevato numero di personale è andato in pensione e non è stato sostituito. E noi siamo infatti i più sguarniti nei ranghi della Pubblica Amministrazione. rispetto ai grandi paesi europei. Significativamente l’Italia crea in Europa meno laureati, ma tra questi ha il numero più elevato di disoccupati rispetto agli altri grandi partner continentali.

Il nostro Mezzogiorno conosce da anni questo fenomeno devastante: ragazzi con la laurea in tasca, spesso anche un dottorato o un master, scappano in qualche città del Nord e soprattutto all’estero in cerca di fortuna. Una parte grande del dramma dei giovani laureati meridionali e non solo meridionali ha qui la sua origine: la PA non li recluta, come accade in Francia, in Germania o nel Regno Unito e loro emigrano in Francia, in Germania e nel Regno Unito. Le nostre famiglie investono una parte rilevante del loro reddito per formare i propri figli e questi, alla fine del ciclo scolastico-universitario, mettono la propria cultura e competenza a servizio di altri Paesi.

Dunque siamo di fronte a un progetto ragionevole, assolutamente sostenibile sotto tutti i profili, anche quello organizzativo: si potrebbe svolgere ogni anno un concorso pubblico per 200 mila candidati e nel giro di 5 anni 1 milione di giovani sarebbe in organico. Meno disoccupati, meno giovani frustrati e in fuga, maggiore coesione sociale, incremento dell’efficienza della Pubblica Amministrazione, crescita complessiva della ricchezza nazionale. Una possibilità che dipende esclusivamente dalla volontà politica.

La perdita dell’etica pubblica senza una fede laica nel bene comune.-di Piero Bevilacqua

La perdita dell’etica pubblica senza una fede laica nel bene comune.-di Piero Bevilacqua

In un Paese nel quale due uomini come Silvio Berlusconi e Matteo Renzi son potuti assurgere al ruolo di presidenti del Consiglio, e il primo ambisce alla Presidenza della Repubblica, con ogni evidenza è accaduto qualcosa di grave nei fondamenti della sua vita civile. Quanto è avvenuto segnala un guasto profondo nell’etica pubblica, un decadimento di vasta portata della moralità collettiva.

Occorre ricordare che i processi di degrado dell’etica pubblica, in atto in Italia, ingigantiscono in virtù dei singolari caratteri originali del nostro Paese, un fenomeno di per sé universale: lo svuotamento ideale e il decadimento della politica quale arte moderna del governo delle società, pratica della sua trasformazione progressiva o rivoluzionaria. Si tratta di questioni note: il tracollo delle ideologie del ‘900, la dissoluzione dei partiti popolari e la loro riduzione a comitati elettorali, la corruzione dilagante, ecc. Questa analisi coglie però una parte della realtà.

La scomparsa dell’antagonista storico del capitalismo (comunismo e in parte socialdemocrazia) ha favorito, insieme ai processi materiali della globalizzazione, la marginalizzazione dei ceti medi e della classe operaia avanzata, che avevano costituito per decenni la base più estesa di consenso e partecipazione pubblica nelle società industriali. Erano questi ceti che garantivano la moralità progressista della politica. La loro regressione sociale, anche per effetto della riduzione del welfare, ha allontanato masse estese dalla militanza politica, dalla partecipazione elettorale, da ogni interesse per la cosa pubblica.

Al loro posto è emersa una nebulosa indistinta di gruppi e individui priva di connotazioni politiche coerenti, che sostituisce rivendicazioni e prospettive di riforma dell’esistente con espressioni rancorose di risentimento, confuse pretese risarcitorie, ostilità contro l’”altro”. Mancando la direzione dell’intelletuale collettivo che erano i partiti, la scena pubblica viene occupata così da un magma sociale a cui politologi e commentatori, in mancanza di meglio, hanno dato il nome di popolo. Un lemma vecchio per una realtà del tutto inedita.

Se un dato distingue le società industriali questa è la loro ricchissima stratificazione sociale. Il popolo è un concetto dell’800 per l’800. Ma l’analisi politologica non ha ancora colto l’essenziale. Dietro la decadenza della politica si erge gigantesco un fantasma che rimane nascosto agli sguardi superficiali: il nichilismo. Quanto profetizzato da Nietzsche, la morte di Dio e la perdita di fondamenti di ogni morale, è ormai senso comune e investe la politica alle radici. Col dissolvimento della religione, la scomparsa, per lo meno in Occidente, delle fedi delle varie confessioni, veicolo pur sempre di valori morali, anche la politica tracolla.

Se la scienza politica, a partire da Machiavelli, fa a meno della religione, la politica corrente muore se nessuna “religione” la sostiene, neppure la fede laica nel bene comune e nella possibilità di cambiare il mondo. E non è senza significato che ad anticipare questi anni sia stato il nostro Leopardi, il quale diversi decenni prima di Nietzsche aveva intravisto «questa universale dissoluzione dei principi sociali, questo caos che veramente spaventa il cuor di un filosofo, e lo pone in grande forse circa il futuro destino delle società civili». Si rilegge oggi con brividi di emozione e stupore il Discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani(1824), per la potenza disvelatrice di uno sguardo che non lascia ombre alla situazione desolante del nostro tempo.

Dunque, il quadro generale è quello di una grave involuzione antropologica delle società umane, ma entro il quale, l’Italia è, per ragioni che Leopardi esamina in maniera impeccabile, il Paese in più gravi condizioni: «L’Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun altra nazione europea e civile». Sembra scritto in questi giorni: «Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico di tutti i popolacci». L’egoismo, il narcisismo, l’invidia, l’odio per l’altro erano allora la norma, prima che gli ideali del risorgimento investissero lo spirito pubblico.

Naturalmente all’analisi di Leopardi manca il ruolo dei media, i quali amplificano, rendono popolare, materia di spettacolo l’immoralità crescente del ceto politico e della cosiddetta società civile.

So per certo, per parafrasare Leopardi, che se le leggi l’avessero consentito, non pochi giornalisti avrebbero invitato Totò Riina ai loro programmi televisivi. Costoro sono incarnazioni perenni del tipo italiano dell’analisi leopardiana. Ebbene, è dalla profondità di tale catastrofe culturale e spirituale che la sinistra e le forze democratiche dovrebbero oggi prendere le mosse, perché la dissoluzione della società non abbia quale rimedio al caos un governo autoritario.

da “il Manifesto” del 20 novembre 2021
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