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L’onda lunga della pandemia che rimodella il pianeta. -di Tonino Perna

L’onda lunga della pandemia che rimodella il pianeta. -di Tonino Perna

Siamo entrati improvvisamente e drammaticamente nella seconda ondata della pandemia che sta modificando e ridisegnando le strutture economiche, sociali e politiche in tutto il mondo. Con effetti di lungo periodo, rintracciabili intorno ad alcune questioni di fondo. La prima riguarda l’egemonia cinese. Il paese dove tutto è cominciato è anche il paese che ne è uscito e mentre il mondo va in recessione, la Cina ha ripreso il suo cammino inarrestabile, con un Pil che si stima quest’anno crescerà intorno al 3 per cento.

Se il commercio internazionale ha subito una caduta verticale, la più forte dopo la seconda guerra mondiale, la Cina ha compensato la minor propensione all’export di alcuni settori industriali con un forte allargamento del mercato interno, a partire dal turismo come ci ricorda Simone Pieranni su questo giornale. Una indicazione che sarebbe preziosa anche per l’Italia se ci fosse una svolta nella politica economica che puntasse ad investimenti mirati nel Mezzogiorno, dalle energie rinnovabili alla agricoltura di qualità, al recupero delle aree interne, al potenziamento delle Università e centri di ricerca.

Il secondo effetto duraturo di questa pandemia riguarda le istituzioni democratiche. Il successo cinese, sia nel controllo della diffusione del virus, sia nella capacità di ripresa economica, mette in crisi la democrazia liberale che appare farraginosa, lenta, inefficace.

In più lo “stato d’eccezione”, che scaturisce dall’emergenza generata dal Coronavirus, consente svolte autoritarie che godono inizialmente del consenso della popolazione. Anche in Italia cogliamo i segni di questo cambiamento nell’atteggiamento di alcuni presidenti di regione che fanno gli sceriffi, e nell’uso di un linguaggio bellico che si sta diffondendo in tutta Europa. La democrazia vince se risulta efficace ed efficiente nel contrasto della pandemia senza bisogno di usare mezzi autoritari. Una scommessa difficile.

Il terzo effetto è decisamente positivo. Dopo trent’anni di gloria dell’ideologia neoliberista, di una avanzata che sembrava inarrestabile e coinvolgeva tutti i settori, un virus, entità invisibile, l’ha messa in ginocchio: da questa pandemia ne esce comunque rafforzato il ruolo dello Stato e la necessità di recuperare il ruolo di bene comune della sanità, della scuola, dei servizi sociali. Lo tsunami della privatizzazione che partendo dagli Usa aveva coinvolto tutti i paesi del mondo, è stato arrestato.

Il quarto effetto è devastante: cresce in tutto il mondo la povertà assoluta, le persone che soffrono la fame, che perdono il lavoro. In una economia capitalistica la recessione economica colpisce innanzitutto le fasce più deboli, i lavoratori precari e marginalizzati, il Sud del mondo più del Nord, le piccole imprese più delle grandi multinazionali. Il mercato autoregolato risulta impotente a rispondere ad ampie fasce della popolazione: solo un intervento pubblico può ridurre il malessere sociale provocato da questa recessione generalizzata.

Il quinto effetto riguarda il lavoro e la diffusione dello smart working. Coinvolge soprattutto i lavoratori della pubblica amministrazione e quelli che, nel settore privato, svolgono una attività amministrativa, di elaborazione dati, programmi di software, comunicazione, informazione, ecc.

Crea una divisione forte e inedita in queste dimensioni, tra lavoro manuale e intellettuale, e quindi una ulteriore frattura nel mondo del lavoro già soggetto a profonde frantumazioni. Riduce la socialità, perché il luogo di lavoro è stato nella storia un fattore fondamentale della socializzazione e della presa di coscienza dei lavoratori.

Il sesto effetto riguarda l’impatto ambientale di questo modello di sviluppo. Durante i mesi di lockdown abbiamo registrato una straordinaria caduta nell’emissione della CO2. Finita la clausura siamo ritornati ad inquinare come prima, anzi peggio: la paura del contagio ha aumentato l’uso di mezzi di trasporto privato. I danni che provoca l’inquinamento del pianeta, anche in termini di vite umane, sono stati “sotterrati” dai dati sulle morti da Coronavirus, e tutto il dibattito sugli effetti del cambiamento climatico è stato messo in stand by. Forse uno dei danni maggiori di questa pandemia e di come è stata gestita dai media.

Infine, esiste un impatto che riguarda il nostro rapporto col prossimo, la nostra vita quotidiana.

“Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto” è l’incipit di Elias Canetti nel famoso saggio Massa e Potere; e così proseguiva: “Tutte le distanze che gli uomini hanno creato intorno a sé sono dettate dal timore di essere toccati. Ci si chiude nella case, in cui nessuno può entrare; solo là ci si sente relativamente al sicuro”.

Scritto con altri intenti, Canetti sembra scrivere per noi oggi: è questa la condizione in cui ci troviamo e da cui dovremmo uscire al più presto. La paura dell’altro, con il preoccupante impatto sui bambini che potrà essere stimato solo nei prossimi anni, ha un riflesso immediato sulla polis, sull’agorà, sulla vita sociale e la dimensione politica dell’essere umano. Dobbiamo resistere e, rispettando tutte le norme di sicurezza anti-Covid, continuare a incontrarci, a guardarci in faccia (sia pure mascherati), a non chiuderci nella cerchia familiare e né a ridurci spettatori bolliti davanti alla Tv o al telefonino. Per quanto internet ci abbia tenuti connessi consentendoci di partecipare a conferenze e dibattiti, non potrà mai sostituire l’incontro reale, personale, fisico.

da “il Manifesto” del 22 ottobre 2020
Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

Un diario che arriva da lontano a interrogare il nostro presente. -di Laura Marzi La recensione all'ultimo romanzo "Lettere da un altro tempo" di Piero Bevilacqua.

Un diario che arriva da lontano a interrogare il nostro presente. -di Laura Marzi La recensione all'ultimo romanzo "Lettere da un altro tempo" di Piero Bevilacqua.

Le iniziative editoriali e di quotidiani durante il confinamento sono state numerose, inevitabilmente. La necessità di soffermarsi, di riflettere e quindi di scrivere a proposito della segregazione in casa e della pandemia era impellente. La narrativa anche inizia a proporci i primi frutti di quel tempo, ancora attuale e potente l’impressione che quei mesi chiusi in casa hanno lasciato su ognuno di noi.

NEL ROMANZO di Piero Bevilacqua “Lettere da un altro tempo”, edito da Castelvecchi (pp. 128, euro 15), la protagonista è Francesca. Si tratta di una giovane donna alle prese coi suoi studi di letteratura, in particolare una ricerca universitaria sugli arredi nelle opere di Marcel Proust. Nelle prime pagine, in questo romanzo scritto in terza persona, la incontriamo mentre cerca, inutilmente, di concentrarsi su una bibliografia sconfinata degli studi sul grande scrittore francese.

Francesca, però, è preda dell’angoscia: ciò che sta avvenendo intorno a lei, negli ospedali, nelle case di riposo non le dà pace: «erano giorni e giorni, settimane ormai, che i telegiornali della sera aprivano con la notizia di migliaia di contagiati, centinaia di scomparsi, altre centinaia di infermi in rianimazione». Per lei è impossibile concentrarsi e vorrebbe tanto, nel caos della sua libreria, riuscire a scovare dei fumetti, perché è certa che potrebbero garantirle quella dimenticanza di cui ha bisogno. Trova invece una lettera che non sapeva di aver ricevuto, ancora sigillata, che le aveva scritto sua nonna Beatrice, morta ormai da due anni, con cui Francesca aveva sempre avuto un rapporto di affetto e complicità.

RIESCE con molta fortuna, visti i divieti, a soddisfare la richiesta dell’anziana donna: andare a Napoli per recuperare, prima che la casa venga venduta, una scatola con le lettere d’amore e il diario. Rientra quindi a Roma e si immerge nella vita di sua nonna, a Napoli, nel 1939. Sono proprio le lettere che Beatrice e Nino si scambiano per qualche anno e il diario di lei che costituiscono il corpo del romanzo.

In particolare, il racconto epistolare dell’innamoramento di sua nonna per quest’uomo di cui Francesca ignorava l’esistenza e la partenza di lui, disertore, per la Francia, quando l’Italia entra in guerra. In seguito, le pagine di diario di Beatrice che racconta del conflitto a Napoli. Leggiamo dei bombardamenti che in un primo momento risparmiano gli obbiettivi civili e poi di un crescendo di violenza cieca e di orrori, fino alle quattro giornate di Napoli, il primo episodio della Resistenza italiana contro gli invasori tedeschi.

Accanto ai racconti dettagliati degli avvenimenti – Bevilacqua insegna Storia contemporanea – troviamo la distruzione che la guerra generò nelle vita dei due innamorati e della famiglia di Francesca.Questa digressione storica che è poi la materia principale del romanzo ben si inserisce all’interno del presente della narrazione del confinamento e della pandemia di Covid-19, per varie ragioni. Prima di tutto, Francesca ha ereditato da sua nonna la vis polemica, la rabbia contro le ingiustizie dei potenti, come risulta dalle conversazioni telefoniche col compagno Gianni, economista che lavora in un’azienda in Lombardia. In queste occasioni, puntualmente Francesca si scaglia contro gli orrori della società neoliberista.

POI, durante il confinamento è stato molto dibattuto il paragone, spesso abusato, tra la pandemia e la guerra: dalle pagine di diario di Beatrice l’orrore del conflitto mondiale esplode con chiarezza.
Ciò non toglie che la narrazione parallela dei due momenti storici induca a una riflessione aperta sul presente, specie a partire dalla lettura delle pagine finali del diario di Beatrice.

Infine, la lingua merita attenzione, soprattutto il lessico. Bevilacqua fa uso di parole precise, quelle che molto spesso non vengono più utilizzate: «sferragliando»; «smanducando»; «sgrumulando», dando alla scrittura un’impronta inconfondibile.

da il “Manifesto” del 28.8.20