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Lo scandalo della patrimoniale e la necessaria riforma fiscale.-di Alfonso Gianni

Lo scandalo della patrimoniale e la necessaria riforma fiscale.-di Alfonso Gianni

È ben noto che Cesare Beccaria nella sua opera principale non si limitò a pronunciarsi contro la pena di morte e la tortura (pensatore attualissimo come pochi, dato il persistere dei due flagelli), ma si spinse a mettere in dubbio il diritto di proprietà “terribile, e forse non necessario diritto”. Al punto da inquietare un filosofo come Jeremy Bentham, il quale considerava “sorprendente che uno scrittore giudizioso come Beccaria possa avere inserito, in un’opera dettata dalla più ragionevole filosofia, un dubbio sovversivo dell’ordine sociale”.

Ma la virulenta alzata di scudi che in queste ore si sta sollevando contro un emendamento alla legge di bilancio che vorrebbe introdurre una tassa patrimoniale, presentato da Fratoianni e Orfini, non ha nulla da spartire con le finezze di quella diatriba settecentesca.

Nell’accanirsi contro un elementare principio di giustizia fiscale non si teme di sfondare il muro del ridicolo, come Salvini che invita all’arresto immediato degli estensori della norma eversiva. Ma non molto meglio fanno gli altri della destra, nonché i massimi esponenti dei due partiti governativi, tra cui spicca un Di Maio non si sa se più incompetente o in malafede. Il nervo scoperto è stato colpito e la reazione non si è fatta attendere neppure un tempo di riflessione.

C’è chi, pur non privo di conoscenza di dottrine economiche, come De Nicola su La Stampa, scomoda Keynes per dire che non si possono alzare le tasse in un periodo di recessione. Infatti si tratta di vedere chi viene colpito da una tassazione patrimoniale. Non è una novità che la patrimonializzazione della ricchezza italiana sia tra le più alte in Europa. Stando a uno studio dell’Istat e della Banca d’Italia la ricchezza netta delle famiglie italiane è di circa 8 volte il loro reddito disponibile. Era il rapporto più elevato in Europa fino al 2014 poi è andato un poco riducendosi.

Non può esistere alcuna giustizia fiscale se non si incide sulla ricchezza data dal possesso di case e di titoli finanziari. Usciamo dal nostro paese: Warren Buffet nel 2015 ha pagato 1,8 milioni di dollari di tasse sul reddito, per un patrimonio stimato di 65 miliardi di dollari, quindi lo 0,003%. L’emendamento in questione, stando ai più recenti dati forniti da Oxfam, in realtà colpirebbe solo il 10% più ricco che in termini patrimoniali possiede oggi oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.

La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco (che detiene il 22% della ricchezza nazionale) vale 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana. Secondo dati di Bankitalia risalenti al 2016 la linea di demarcazione in termini di ricchezza netta fra il nono e il decimo decile era di 462mila euro.

In sostanza si tratterebbe di colpire solo il decile più alto e, visto lo scalare delle aliquote previste, anch’esso in modo progressivo, mentre non vi sarebbero effetti ritorsivi sui decili più bassi e quelli intermedi. Senza contare che l’emendamento prevede l’esenzione per le persone fisiche a partire dal 2021 dal pagamento dell’Imu e dell’imposta di bollo sui conti correnti bancari e sui conti di deposito dei titoli.

Naturalmente le grandi riforme, e quella fiscale sarebbe una delle maggiori e più significative quanto a impatto reale sulla distribuzione della ricchezza, non si fanno a colpi di emendamento. Ma poiché lo stesso governo ha ripetutamente affermato che intende avanzare nell’anno che viene una proposta di modifica complessiva del sistema tributario, è bene ricordare che senza l’introduzione di una tassa patrimoniale ordinaria anche il migliore sforzo risulterebbe vano.

Certamente bisognerebbe riordinare le patrimoniali “reali” già esistenti – l’Imu appunto ne è un esempio -; valutare la congruità delle imposte sostitutive sui redditi da capitale; per quanto riguarda la componente immobiliare va fatto riferimento al valore di mercato; vanno studiati tutti i modi per combattere le forme di elusione e evasione che a fronte di una patrimoniale verrebbero scovati.

Andrebbe introdotta una tassa di successione, la cui misura tenga conto dell’entità della patrimoniale ordinaria. Il che permetterebbe un sostanziale alleggerimento della pressione fiscale sui redditi da lavoro, con una riduzione delle aliquote effettive, a favore di una maggiore progressività secondo il principio costituzionale che nei fatti è stato mortificato e scardinato dalla lunga serie di leggi e leggine che negli ultimi decenni hanno caratterizzato il nostro sistema tributario.

da “il Manifesto” del 1 dicembre 2020
Foto di Peter H da Pixabay

La distruzione del sistema fiscale alla base delle diseguaglianze sociali.-di Piero Bevilacqua

La distruzione del sistema fiscale alla base delle diseguaglianze sociali.-di Piero Bevilacqua

Tra gli effetti indesiderati della pandemia che continua a sconvolgere la vita quotidiana di miliardi di persone c’è il drammatico restringimento del nostro immaginario. Gran parte dei nostri pensieri è assorbita dall’andamento della malattia e dal corredo di conseguenze che trascina con sé. Problemi economici e sociali di rilevante urgenza scompaiono dalla vista generale e dal pubblico dibattito.

In Italia è il caso di tantissime questioni fra le quali spicca la ventilata riforma fiscale, che solo in questi giorni il presidente del Consiglio Conte ha opportunamente ripescato dall’oblio generale, ponendola come uno degli obiettivi dell’agenda governativa per il 2021.

Torno sul tema perché va richiamata l’attenzione di tutte le forze democratiche. Se vogliamo che la riforma annunciata non si esaurisca in un semplice aggiustamento dell’ordine esistente, è necessaria un’ampia mobilitazione dell’opinione pubblica e soprattutto una spinta sociale nel paese che faccia sentire il suo peso sul Parlamento e sul Governo.

Solo realizzando un ordinamento fiscale coraggiosamente progressivo si abbatte il caposaldo che ha retto le politiche neoliberiste degli ultimi 40 anni: la bassa pressione impositiva sui ceti ricchi e le grandi fortune.
Questa scelta, inaugurata da Thatcher e da Reagan, era sostenuta da una teoria economica che l’aveva nobilitata, quella dell’offerta, la cosiddetta supply side economics.

Secondo questa scuola di pensiero diminuire il carico fiscale ai ceti ricchi avrebbe portato più investimenti, posti di lavoro, maggiore ricchezza generale. Già nel 1998, molto prima della grande crisi del 2008, il premio Nobel Paul Krugman l’aveva definito un “errore economico” di cui “gli eventi hanno dimostrato la falsità”. Mentre il suo connazionale, James Galbraith, che ribattezzò la teoria in supply side failure, cioé fallimento, ha ricordato nel 2009 che i ceti ricchi favoriti dall’allentamento fiscale “hanno risposto punteggiando il paesaggio di case signorili”.

La distruzione del sistema fiscale su cui nel Dopoguerra aveva poggiato lo stato sociale è alla base delle inaudite disuguaglianze che lacerano le nostre società, in Italia hanno accresciuto in forme abnormi la ricchezza privata e la povertà pubblica, contribuendo non poco alla crescita del suo debito. Alberto Banti ha appena fornito un quadro ricco di dati su tutto questo che illustra in maniera schiacciante l’andamento delle ricchezze negli ultimi 40 anni connesso ai sistemi fiscali neoliberisti (“La democrazia del followers”, Laterza)

Se vogliamo comprendere le ragioni ultime dell’emarginazione della sanità pubblica, del definanziamento di scuola e università, dell’impoverimento generale dei comuni, della decadenza delle nostre città, dell’assenza di investimenti statali strategici, le dobbiamo cercare in gran parte nel del nostro sistema fiscale.

È davvero avvilente assistere in questi giorni drammatici della vita nazionale allo spettacolo di infermieri e addetti alle pulizie degli ospedali costretti a urlare per le strade la miseria dei loro salari a fronte di lavori massacranti. Mentre sappiamo quante fortune sono ammassate e si vanno ammassando presso tanti settori e ceti, anche in questi mesi che per tanti italiani sono stati di lutti e di angoscia.

Non si capisce, dal momento che nessuna solidarietà viene al paese da tali ambiti, perché il Governo non intervenga con un prelievo d’emergenza finalizzato ai problemi urgenti che incombono. Se non si opera in questi momenti allarmanti della vita nazionale, quando la necessità del sacrificio comune è così evidente, allora quando? Tanti nel Parlamento e forse nel governo non vogliono guastarsela con i potenti che sostengono con discrezione le loro campagne elettorali. Guardano ai personali interessi, fine ultimo del loro agire politico. Sarebbe meglio non dimenticare che quando usciremo dalla pandemia ci attende un debito pubblico gigantesco e senza un sistema fiscale di incisiva progressività il paese tracolla.

Per questo credo che la sinistra e soprattutto le forze sindacali – le uniche organizzazioni che oggi hanno una capacità di mobilitazione popolare – devono guardare a questo passaggio strategico nella vita italiana. La riforma fiscale decide una svolta strutturale nell’assetto economico e sociale del paese. Perciò i sindacati devono muoversi con tutta la loro forza su questo aspetto che non riguarda vertenze e salari.

Mentre noialtri cani sciolti della sinistra, con tutti i mezzi di cui disponiamo, dai giornali alle riviste, dai social alle campagne on line, non dobbiamo dare tregua ai sabotatori nascosti in Parlamento, e mostrare quanto l’ingiustizia fiscale sia alla base del declino recente dell’Italia.

da “il Manifesto” del 18 novembre 2020
Foto di b0red da Pixabay