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Cosenza. Cementificazione di Corso Umberto: non è finita.-di Coordinamento ‘Diritto alla città’

Cosenza. Cementificazione di Corso Umberto: non è finita.-di Coordinamento ‘Diritto alla città’

Lo diciamo noi del Coordinamento Diritto alla Città, lo dicono tutti quelli che da anni stanno combattendo contro lo stravolgimento urbanistico del quartiere Riforma-Rivocati, contro chi con arroganza ed egoismo pensa solo agli interessi privati, contro chi – infischiandosene della dovuta trasparenza amministrativa – scavalca procedure giuridiche e democratiche, vincoli della Soprintendenza, regole di buonsenso economico e politico.

Oggi però lo dice pure il TAR della Calabria.

La nostra richiesta di accesso agli atti relativi alla costruzione del nuovo mostro edilizio su Corso Umberto ci è stata inizialmente negata dal Comune di Cosenza su opposizione della ditta costruttrice, ma noi non ci siamo fermati e abbiamo presentato ricorso al TAR che, con sentenza n. 01782/2024 REG.RIC. pubblicata il 9 ottobre 2025, ci dà ragione perché: “nel caso di specie, l’opposizione della società controinteressata all’accesso appare del tutto generica («poiché coperta da riservatezza e non suscettibile di divulgazione»), sicché deve escludersi che sia configurato uno dei limiti all’accesso civico generalizzato contemplati dalla legge “ e conclude che “il ricorso deve pertanto trovare accoglimento, con annullamento del diniego impugnato e disponendo che il Comune di Cosenza garantisca l’accesso ai documenti richiesti nel termine di giorni 10 dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza”.

C’è di più, infatti il TAR “condanna il Comune di Cosenza, in persona del Sindaco in carica, e Via Rivocati S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, alle spese e competenze di lite, che liquida nella misura di € 2.000,00, oltre al rimborso del contributo unificato e delle spese generali nella misura del 15%, nonché oltre a IVA e CPA come per legge”.

Siamo molto soddisfatti perché con questa sentenza:
1. viene svelata l’ignavia delle amministrazioni municipali di Occhiuto e Caruso che hanno, oggettivamente, favorito interessi privati e speculazioni, manipolato il dibattito pubblico, negato, procrastinato e infine, dopo il nostro ricorso, solo parzialmente concesso la visione degli atti amministrativi, bocciato qualsiasi proposta avanzata dal nostro Coordinamento ‘Diritto alla città’, sottovalutato e marginalizzato le proteste dei cittadini;

2. viene posto un limite allo strapotere di ditte private il cui scopo non è rendere bello il quartiere o fornire servizi ai suoi abitanti, ma solo quello di speculare e arricchirsi ai danni della comunità in tutti i modi possibili anche aggirando norme e vincoli posti dalla Soprintendenza;

3. per una volta si dimostra che a tutto c’è un limite e che l’azione persistente della comunità e della società civile può aiutare a sconfiggere l’ideologia del costruire tanto per costruire, del consumare inutilmente suolo, spazi, energie e risorse attraverso la trasformazione cieca e continua del paesaggio cittadino, e a scandagliare i passaggi più contorti di questa corsa verso il delirio urbano.

Ribadiamo il nostro impegno a vigilare affinché qualsiasi intervento edilizio rispetti i principi di sostenibilità, legalità e rispetto per gli interessi collettivi, e ringraziamo tutte le persone che hanno sostenuto la nostra lotta per un quartiere più giusto e vivibile.
Invitiamo la cittadinanza a partecipare attivamente al processo di difesa della città e del territorio e a rimanere aggiornati sulle prossime iniziative del nostro Coordinamento.

Coordinamento Diritto alla Città

L’“Ediliziomania”, bulimia da cemento tra destra e sinistra.-di Isaia Sales

L’“Ediliziomania”, bulimia da cemento tra destra e sinistra.-di Isaia Sales

Alexandre Dumas scrisse diversi racconti dedicati alla città di Napoli e li raccolse nel 1835 nel libro Il Corricolo, che era il nome del mezzo di trasporto che utilizzava per percorrere la metropoli partenopea, che all’epoca era la terza d’Europa per numero di abitanti dopo Londra e Parigi. Nel testo si racconta di un gesuita che aveva elaborato un itinerario per attraversare tutta la città da un estremo all’altro stando sempre all’ombra, così da sfuggire alla calura e ai colpi di sole.

Il gesuita e la mappa erano inesistenti, così come la possibilità di stare sempre al fresco percorrendo qualsiasi città del mondo, immaginiamo Napoli, dove palazzi che fanno ombra ci sono, eccome, ma scarseggiano parchi e viali alberati. Dumas abbinava santità a freschezza, perché solo un santo poteva fare il miracolo di trovare un percorso del genere e, arrivando all’oggi, solo un amministratore “fuori dal comune” potrebbe provare ad avvicinarsi alla mappa del gesuita napoletano: percorrere una città grande, piccola o media con un numero così alto di viali alberati e di parchi pubblici da sfiorare l’obiettivo di passeggiare godendo di un’ombra permanente e di trovare frescura anche nei giorni più assolati.

Se, dunque, l’obiettivo “tutto all’ombra” è un’utopia, cambiare le nostre città alberando ogni tratto alberabile è un programma assolutamente realistico. Perché non lo si prova a praticare?

Le spiegazioni più semplici sono due: costa poco e in più non risponde al convincimento ossessivo di qualsiasi amministratore locale: è un fallimento un mandato amministrativo senza nuove opere pubbliche realizzate, senza diverse autorizzazioni a costruire nuovi appartamenti e ridurre lo spazio non costruito, senza gigantismo edilizio così da lasciare in eredità ai propri concittadini una dose massiccia di cemento. Questa “ediliziomania” degli amministratori locali, questa bulimia da cemento non risparmia nessuno, non c’è nessun confine tra destra e sinistra su questo punto, nessuna percepibile differenza di impostazione nel governo della propria comunità tra forze politiche contrapposte. Il cemento è stato ed è il principale disintegratore dell’etica pubblica in Italia.

La mania di grandezza si respira anche nei piccoli comuni, dove i sindaci vogliono lasciare il segno con nuove costruzioni, azzerando gli ultimi spazi liberi: si sono trasformati anche loro in specialisti del cemento. In Italia su 105 capoluoghi di provincia ci sono in media 24 alberi ogni 100 abitanti. Ma anche in questa classifica, le città del Sud sono agli ultimi posti.

Perciò mi rattrista leggere programmi elettorali pomposi, esagerati, spesso copiati, che tutto propongono tranne che rispondere a esigenze elementari della vita associata, come se occuparsi delle piccole cose quotidiane fosse miserevole, limitativo, non degno della “grande politica”. Ma al contrario non c’è cosa più dignitosa per un politico (che vive in luoghi degradati) di prendersi cura con amore, umiltà e dignità di quel degrado e riempirlo di verde, di alberi, di parchi, di viali, partendo dalle piccole cose tra cui, appunto, considerare la presenza di luoghi freschi come un bene pubblico oggi essenziale.

Ho un consiglio da dare agli amministratori locali, soprattutto meridionali: si ponga fine alla politica delle costruzioni di case che hanno trasformato i nostri luoghi in caserme urbane, che “hanno circondato l’ambiente più che esserne circondati” (per dirla con Franco Arminio). E si preferisca nelle assunzioni un giardiniere a un ingegnere.

Si solleciti in ogni regione una sacrosanta legge perché nessun altro metro cubo venga offerto alla speculazione edilizia e si concentri tutto sul recupero del già costruito, eccezion fatta per nuove scuole, asili, biblioteche e quanto strettamente necessario per migliorare i servizi pubblici. Che bello se un candidato sindaco scrivesse nel suo programma: farò della mia città la più verde d’Italia, con più alberi che cittadini, più viali alberati che condomini, più giardinieri che impiegati.

Ci sarà mai un sindaco che proverà a tracciare un percorso di attraversamento della propria città tutto (quasi) all’ombra?

da “il Fatto Quotidiano” del 31 agosto 2025

Appello per Tridico Presidente della Regione Calabria

Appello per Tridico Presidente della Regione Calabria

Ci sono più ragioni per ritenere che l’elezione di Pasquale Tridico a Presidente della Regione Calabria possa segnare una svolta concreta nella storia della Calabria e del Sud.

Tridico è un docente universitario, un valente economista, con esperienze di ricerca e insegnamento in diversi paesi d’Europa e negli Stati Uniti, con varie esperienze manageriali, che ha diretto con successo, tra il 2019 e il 2022, il più importante istituto del welfare italiano: l’INPS.

Per la prima volta, la Regione Calabria può esser guidata da uno studioso con una così vasta esperienza e un così prestigioso profilo intellettuale. Per la prima volta, a svolgere il ruolo di Presidente può esser chiamato un uomo che non viene dal mondo dei partiti locali, dall’ambiente degradato dei vecchi potentati calabresi, delle clientele fameliche da soddisfare in danno di un progetto generale di riscatto generale.

Tridico è calabrese, figlio della sua terra. Ha lasciato la Calabria per gli studi universitari e per portare avanti una brillante carriera intellettuale e professionale. Ma non ha mai reciso le sue radici, non ha mai abbandonato il suo luogo d’origine. Tant’è che oggi, parlamentare europeo, mentre ricopriva importanti incarichi a Bruxelles, torna in Calabria per misurarsi in questa cruciale sfida politica.

Torna in Calabria, per realizzare un programma che faccia uscire la regione soprattutto dalla sua profonda sfiducia, dalla rassegnazione con cui i calabresi vivono da anni la vita pubblica, dominata da un ceto politico affaristico e senza visione.

Tridico è un profondo conoscitore dei processi che generano e riproducono le disuguaglianze sociali e territoriali, non appartiene alla nefasta famiglia degli economisti neoliberisti che fingono di credere nelle capacità salvifiche del mercato autoregolato. Può quindi essere la persona con il profilo e la credibilità giusti per chiamare a raccolta le migliori capacità e le più promettenti pratiche sociali locali per ideare e mettere in atto una politica di sostegno ai poveri e ai ceti più deboli e vulnerabili, condizione indispensabile per ridare fiducia e speranze a vasti strati di calabresi abbandonati e rassegnati al peggio.

Cambiare è possibile.

Un leader prestigioso come Tridico può contribuire a riattivare la propensione all’impegno e all’azione collettiva, può incoraggiare la voce e la mobilitazione dal basso, può dare rappresentanza ai territori abbandonati e marginalizzati dalle politiche pubbliche, in particolare quelli interni di collina e montagna, può dare visibilità al formicolio sociale che, sebbene in modo puntiforme, è diffusamente presente nell’intera regione.

Tridico può quindi essere il Presidente del riscatto, colui attorno al quale rilanciare la partecipazione democratica dei cittadini, costruire nuove progettualità con le realtà associative seriamente impegnate nel welfare, nell’ambiente, nella tutela dei diritti, nella tutela dei paesaggi e nella salvaguardia del Patrimonio culturale ponendo fine al dissennato consumo di suolo ed alla speculazione edilizia rurale ed urbana.

Un Presidente che capace di formare una squadra di amministratori capaci e cristallini, che realizzi un piano di investimenti pubblici innovativi, credibile e immediatamente attuabile, per lo sviluppo economico e sociale e per l’efficace contrasto alle disuguaglianze, alle discriminazioni, alle povertà della regione Calabria.

La Calabria non potrebbe avere oggi un candidato Presidente più giusto e più capace, per esperienza e relazioni nazionali e internazionali, di Pasquale Tridico.

Piero Bevilacqua, Maurizio Acerbo, Franco Arminio, Filippo Barbera, Elena Basile, Francesco Benigno, Federico Butera, Luciano Canfora, Carlo Felice Casula, Domenico Cersosimo, Laura Corradi, Giovanna De Sensi, Angelo D’Orsi, Stefano Fassina, Paolo Favilli, Luigi Ferrajoli, Roberto Finelli, Elena Gagliasso, Pino Ippolito Armino, Carmen Lasorella, Sabina Licursi, Paolo Maddalena, Laura Marchetti, Giacomo Marramao, Tomaso Montanari, Enrica Morlicchio, Rosanna Nisticò, Francesco Pallante, Marco Revelli, Mimmo Rizzuti, Battista Sangineto, Enzo Scandurra, Rocco Sciarrone, Salvatore Settis, Francesco Sylos Labini, Maria Adele Teti, Gianfranco Viesti.
Hanno aderito:
Vittorio Cappelli, Annarosa Macrì, Tonino Perna, Michele Santoro, Piero Schiavello, Mauro Francesco Minervino, Alfonso Gianni, Irene Berlingò, Monica Dall’Asta, Franco Cambi, Saverio Regasto, Francesco Cirillo, Vincenzo Albanese, Rita De Donato, Dora Ricca, Letterio Licordari, Antonio Macchione, Francesco Galatà, Guido Ortona, Francesco Zurlo, Sandro Meo, Claudio Rombolà, Paolo Napoli, Vanni Clodomiro, Alberto Ziparo, Piero Romeo, Giuseppe Candido, Delio Di Blasi,Lidia Gilberti, Antonio Nicotera, Franc Celano, Rosa Principe, Marta Petrusewicz, Consuelo Nava,Pino Greco,Loredana Nigri, Epifanio Spina, Marisa Fasanella,Giulia Cibrario, Mario Grisolia, Rocco Tassone, Renza Bertuzzi, Giuseppe Rossi, Anna Antonicelli, Michelina Paolini, Franco Trane, Gianluca Monturano,Romeo Salvatore Bufalo, Eugenio Passarelli, Gabriella Iannolo, Mario Maruca, Francesca Rennis, Michela Sassi, Massimo Zucconi,Loredana Barillaro, Alfredo Granata,Luca Cofone, Michele Cosentino, Carmine Bruno,Libero Sesti Osséo, Isabella Nicotera Angela Maida.

Per aderire all’appello: osservatoriodelsud@gmail.com

Uno sfregio al Castello di Roseto Capo Spulico.-di Battista Sangineto

Uno sfregio al Castello di Roseto Capo Spulico.-di Battista Sangineto

Proviamo a mettere insieme le immagini riguardanti la polemica che è scoppiata a proposito della variante della SS106 nei pressi del Castello di Roseto Capo Spulico. In allegato la foto (dall’alto) pubblicata dal Quotidiano del Sud del 20 agosto 2025 a corredo di uno scritto di Fabio Pugliese, direttore dell’associazione “Basta vittime sulla 106”.

Ancora in allegato la foto (da nord verso sud) scattata da Giovanni Manoccio il 13 luglio 2025 e, per ultima, la foto (da sud verso nord) apparsa su “il Fatto Quotidiano” insieme all’articolo di Marco Lillo (del 6 agosto 2025) che ha dato il via ad una polemica alimentata da un editoriale di Tomaso Montanari, sempre su “il Fatto” del 18 agosto 2025.

Lillo e Montanari ritengono che non sia stato per niente opportuno far passare la nuova variante della SS106 -con le relative gallerie, i raddoppi e gli allargamenti- così vicina al Castello da scompaginare il paesaggio nel quale il monumento fridericiano era incardinato da alcune centinaia di anni.

Come è evidente dalla foto di Manoccio, ma anche da quella de “il Fatto”, è davvero incredibile che si possa scrivere, come ha fatto Pugliese, che l’opera è “unanimemente considerata esemplare sotto il profilo ambientale e paesaggistico”. L’opera, che sta per essere portata a termine dalla stessa ditta che costruirà lo scempio del ponte sullo Stretto, è, invece, un altro sfregio irreparabile al paesaggio calabrese, un’ennesima ferita che, nonostante i pareri contrari dei ministeri dell’ambiente e della cultura (a proposito: siamo sicuri che non vi fossero resti archeologici in quel tratto?), si è ritenuto di poter infliggere ad una regione che è considerata ormai perduta, deturpata dal cemento armato, dal consumo del suolo e dalla speculazione edilizia.

Un milione e 375.504 abitazioni certificate dall’ultimo censimento dell’ISTAT (2023), un’enorme quantità di case per solo un milione e 855.454 abitanti molti dei quali, lo sappiamo, non sono davvero residenti in Calabria. Una regione che ha il 42,2% di abitazioni vuote: 580.819 a fronte di 794.685 case occupate in maniera più o meno permanente.

Secondo i dati ISTAT, nel 1982 la SAU (Superficie Agricola Utilizzata) ammontava a 721.775 ettari mentre nel 2023 era diminuita del 24,7% perché, solo in un quarantennio, sono stati consumati ben 178.522 ettari di suolo agricolo. In pochi decenni, dunque, è stato impermeabilizzato, cementificato ben l’11,7% dell’intera superficie di una regione che contiene -per una larghissima percentuale del suo territorio- valli impervie, alte colline e monti inedificabili.

Le classi dirigenti calabresi degli ultimi decenni sono state in grado di produrre, in modo disorganico, desultorio e inefficace solo una parvenza di sviluppo basato, quasi esclusivamente, sul cemento armato, sul consumo del suolo dalla battigia fino alla montagna a vantaggio di una speculazione priva di controlli, indirizzata alla rendita immobiliare e, in secondo luogo, volta a favorire un turismo rapace, veloce, superficiale e numericamente sovradimensionato, sia al mare sia in montagna. Classi dirigenti capaci di produrre solo un malfermo e stentato sviluppo senza alcun vero progresso.

Una regione di poveri, ha ragione Montanari, che elegge una classe dirigente inetta che non conta nulla a Roma e che non riesce a far rispettare i propri territori tanto che le grandi imprese se ne approfittano per costruire strade, autostrade, aeroporti, superstrade, sterminati impianti eolici o fotovoltaici, torri di estrazione di gas a poche decine di metri da siti archeologici straordinari, porti e ponti nelle forme, nelle dimensioni e nelle aree che vogliono senza avere una vera opposizione politica. Rimane solo una ferma contrarietà da parte di associazioni e di comitati di cittadini che si sono battuti e continuano a battersi in tutte le occasioni, compresa quella di cui stiamo scrivendo, e che qualche volta, come nel caso del vincolo paesaggistico di Cosenza, riescono persino a vincere.

La sconfitta dei cittadini di Roseto e della costa jonica settentrionale che, negli ultimi decenni, si erano opposti al tracciato di quest’opera, suggerendone al contempo un altro che non è stato preso in considerazione, non può e non deve essere la fine della battaglia.
Possiamo, e dobbiamo, continuare ad opporci non solo agli scempi della nuova SS106, ma anche a tutti gli altri sfregi che si vogliono infliggere al corpo martoriato, ma ancora vivo, dei paesaggi della nostra sciagurata regione, se vogliamo avere un futuro vero, un futuro che non sia fatto di cemento armato. Contro la costruzione dell’inutile e orribile ponte sullo Stretto, in primis, e contro la cementificazione delle coste, delle montagne, dei paesi, delle città e delle campagne calabresi.

da “il Quotidiano del Sud” del 25 agosto 2025
Foto di Giovanni Manoccio

APPELLO PER LA SALVAGUARDIA E LA RIGENERAZIONE DEI PAESI.

APPELLO PER LA SALVAGUARDIA E LA RIGENERAZIONE DEI PAESI.

l 9 aprile scorso la Cabina di regia, istituita presso il Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud della Presidenza del Consiglio, ha approvato il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne. Lo ha fatto senza una reale partecipazione né consultazione dei territori.

Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne dovrebbe guidare le misure atte ad affrontare i fenomeni dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione, la rarefazione sociale e produttiva e le disuguaglianze nell’accesso ai servizi, cioè ai diritti fondamentali alla salute, all’istruzione, alla mobilità e così via. Ma nonostante gli obiettivi annunciati, il Governo si è limitato a recepire acriticamente e passivamente il contributo del CNEL che ha suddiviso le aree sulla base di “obiettivi demografici” e del CENSIS, che ha classificato le aree sulla base della struttura demografica, delle dinamiche economiche, delle infrastrutture e dei servizi essenziali presenti.

In questi studi, Comuni delle aree interne vengono suddivisi in quattro categorie, che nel Piano governativo si traducono in quattro tipologie di obiettivi:

– quelli dove si può auspicare un’inversione di tendenza relativamente alla popolazione;

– quelli in cui è ipotizzabile una ripresa delle nascite;

– quelli dove si può solo sperare in un contenimento della riduzione delle nascite, senza rassegnarsi allo scenario peggiore;

– e, infine, i comuni in cui si può puntare soltanto ad un “accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”.

A parte l’uso violento del termine “irreversibile”, ci si chiede come sia possibile misurare la condizione delle aree interne utilizzando gli stessi indicatori del modello che le ha marginalizzate, se si usano i parametri della crescita, della competitività, dell’attrattività ecc. Si salvano solo i territori che contribuiscono alla Grande Macchina del profitto?

Queste aree – dice il Piano – non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse: “Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. In pratica un accompagnamento alla buona morte, un’eutanasia dei paesi. E ricordiamo che le ultime due categorie – quelle della proclamata condanna all’irreversibilità – comprendono comuni collocati quasi totalmente nel Sud della Penisola, dai monti Sibillini in giù, per tutta la fascia appenninica, fino alla Sicilia e alla Sardegna. In pratica, una cristallizzazione e un aggravamento delle disparità territoriali e, di conseguenza, delle disuguaglianze sociali.

Di fronte a questa analisi, assunta a strumento politico di governo, i Comuni delle aree interne, le loro comunità e le loro espressioni democratiche e civili non possono restare in silenzio. Noi intellettuali, studiose e studiosi delle aree interne, consci della funzione culturale e civile che ci è assegnata, lanciamo un appello alle istituzioni nazionali e regionali per una revisione del piano strategico per le aree interne e ci mettiamo a disposizione dei territori per una mobilitazione contro l’ipotesi governativa, per il riconoscimento del patrimonio territoriale presente nei piccoli comuni italiani, presidi di territori fragili, depositi di risorse, umanità e virtù civiche preziose anche per affrontare la crisi generale della società contemporanea. Proponiamo ai Comuni italiani di discutere e approvare nei rispettivi consigli comunali ordini del giorno che stigmatizzino le analisi e le previsioni del Piano nazionale e ribadiscano la necessità di una vera strategia di sostegno e di rilancio per le aree interne del Paese.

Per adesioni scrivere all’indirizzo , indicando nome, cognome, ente di afferenza, qualifica o professione.

1) Rossano Pazzagli, Università del Molise, direttore Scuola dei Piccoli Comuni

2) Ilaria Agostini, Università di Bologna, urbanista

3) Piero Bevilacqua, Università La Sapienza Roma, storico

4) Enzo Scandurra, Università La Sapienza Roma, urbanista

5) Vito Teti, Università della Calabria, antropologo e scrittore

6) Tomaso Montanari, Rettore Università per stranieri di Siena

7) Giuseppe Dematteis, Politecnico di Torino, presidente associazione Dislivelli

8) Antonella Tarpino, vicepresidente Fondazione Nuto Revelli

9) Marco Revelli, politologo

10) Angela Barbanente, Politecnico di Bari, urbanista

11) Ottavio Marzocca, Università di Bari, presidente Società dei Territorialisti/e

12) Franco Arminio, poeta

13) Tonino Perna, Università di Messina, economista

14) Giacomo Cazzato, sindaco di Triggiano Presidente aree interne Sud Salento (LE)

15) Domenico Cersosimo, Università della Calabria, economista

16) Pietro Clemente Università di Firenze, antropologo

17) Laura Marchetti, Università di Reggio Calabria, antropologa

18) Battista Sangineto, Università della Calabria, archeologo

19) Fulvio Librandi, Università della Calabria, antropologo

20) Vanni Attili, Università La Sapienza Roma, urbanista

21) Lidia Decandia, Università La Sapienza Roma, urbanista

22) Alberto Budoni, Università La Sapienza Roma, vicepres. Società dei Territorialisti/e

23) Elisa Veronesi, Université Côte-d’Azur-Nice, italianista

24) Barbara Pizzo, Università La Sapienza Roma, urbanista

25) Daniele Vannetiello, Università di Bologna, urbanista

26) Alberto Ziparo, Università di Firenze, urbanista

27) Pino Ippolito Armino, saggista

28) Ferruccio Rizzi, membro Terre Nostre, Salviamo il Paesaggio, Attac Italia

29) Roberto Budini Gattai, Università di Firenze, laboratorio politico perUnaltracittà

30) Giovanni Menchetti, agricoltore

31) Loretta Mussi, medico di sanità pubblica, esecutivo Comitati contro l’autonomia differenziata

32) Elisabetta Confaloni, filosofa

33) Jacques Anglade, ingegnere idraulico e carpentiere

34) Federico Butera, Politecnico di Milano, sociologo

35) Carmine Nardone, presidente Futuridea

36) Helen Ampt, traduttrice

37) Michele Rea, ingegnere

38) Leonardo Rombai, Università di Firenze, geografo

39) Giuseppe Saponaro, Pontificia Università Antonianum, filosofo

40) Paolo Favilli, Università di Genova, storico

41) Eugenio Conti, Università La Sapienza Roma, dottorando

42) Ornella De Zordo, Università di Firenze, laboratorio politico perUnaltracittà-Firenze

43) Franco Matteoni, ingegnere, pres. Associazione per lo sviluppo turistico di Torri, Sambuca Pistoiese

44) Daniel Bartement, Université Paul-Valéry Montpellier 3, geografo

45) Carlo Carbone, Università di Firenze, urbanista

46) Giacomo Sanavio, progettista strategie aree interne

47) Maria Gemma Urbani, Rete dei comitati per la difesa del territorio

48) Luca Muscarà, Università del Molise, storico della geografia

49) Marco Filippeschi, dir. ALI Autonomie locali italiane e Rete dei Comuni Sostenibili

50) Franco Cambi, Università degli Studi di Siena, archeologo

51) Rita Salvatore, Università di Teramo, sociologa rurale, pres. Slow food Abruzzo

52) Massimo Rovai, Università di Pisa, professore di Estimo e valutazione

53) Mirco Di Sandro, Università La Sapienza Roma, precario della ricerca

54) Marco Marchetti, Università La Sapienza Roma, chair Urban forestry & landscape

55) Elina Gugliuzzo, UniPegaso-Napoli, storica

56) Giuseppe Barbera, Università di Palermo, professore di Colture arboree

57) Marisa Meli, Università di Catania, Borghi più belli d’Italia in Sicilia

58) Vincenzo Carbone, Università Roma Tre, sociologo

59) Dianella Pez, Liceo scient. Cervignano del Friuli (UD), docente

60) Fausto Carmelo Nigrelli, Università di Catania, urbanista

61) Katia Ballacchino, Università degli Studi di Salerno, antropologa culturale

62) Paolo Coppari, Istituto Storico di Macerata, coord. Cantieri Mobili di Storia

63) Carmelo Antonuccio, Università di Catania, dottorando e architetto

64) Marco Bersani, operatore sociale, attivista e scrittore

65) Franco Gianasso, associazione Archivio 68 Sondrio

66) Rossella Rossi, agricoltrice, vicepres. Istituto Oikos, Milano

67) Danilo Cognigni, fotografo e studioso di semiotica visuale

68) Luca Barbarossa, Università di Catania, urbanista

69) Rosario Antonio Zammuto, resp. Risk in Cassa Di Previdenza CNPR

70) Alessandra Corrado, Università della Calabria, sociologa

71) Vito Martelliano, Università degli Studi di Catania, urbanista

72) Paolo Cifolelli, docente, pres. MirorAps (IS)

73) Gennaro Parlato, Università del Molise, informatico

74) Roberto Carluccio, veterinario, pres. ANPI Termoli, Rete della Sinistra-Termoli Bene Comune

75) Gigino D’Angelo, già Sindaco di Montefalcone nel Sannio (CB)

76) Italo Di Sabato, coord. Osservatorio Repressione, Casa del Popolo di Campobasso

78) Franco Novelli, Campobasso

79) Marcella Stumpo, Termoli Bene Comune-Rete della Sinistra

90) Claudio Greppi, Università di Siena, geografo

91) Marilena Natilli, Comune di Gildone (CB)

92) Nicola Valentino, CGIL Molise, INCA CGIL Isernia, Coordinamento NO PIZZONE II

93) Francesco Bottone, giornalista professionista

94) Luigi Famiglietti, Università di Cassino, docente di diritto degli enti locali

95) Umberto Berardo, docente di lettere

96) Manuela Geri, ex dir. Ecomuseo della Montagna Pistoiese

97) Domenico Palazzo, consigliere federale Europa Verde per il Molise

98) Candido Paglione, sindaco di Capracotta, pres. Uncem Molise

99) Alessio Mastromonaco, casaro

100) Giovanna Vecchio di Montepaone, divulgatrice culturale, poetessa

101) Francesco Trane, Roma, pensionato

102) Stefania Emmanuele, ass. cult. Gennaro Placco, Museo etnico Arbëresh, sociologa

103) Franco Belmonte, dir. reg. Calabria di CIA-Agricoltori Italiani

104) Alessandro Sebastiano Citro, docente di scuola secondaria superiore, Cosenza

105) Lucio Brunetti, Università del Molise, fisico

106) Domenico De Simone, pensionato

107) Giovanni Germano, architetto, pres. APS La Terra e coord. “Cammina, Molise!”

108) Ferdinando Trapani, Università di palermo, urbanista

109) Silvano Privitera, coord. Forum Aree interne nell’ ambito Area interna di Troina (Sicilia)

110) Mino Dentizzi, geriatra

111) Pino De Seta, tecnico ambientale, coord. progetti di cooperazione internazionale

112) Paola Orenga

113) Alberta Massenzio, insegnante di scuola primaria

114) Fabio Sforzi, Università di Parma, economista

115) Francesco Martino

116) Erica Balduzzi, reporter freelance, progetto Montanarium

117) Eleonora Greco, Università Telematica Pegaso, dottoranda, pedagogista

118) Maria Teresa Renzo, attivista, pres. Associazione Le case di Igea, Atena Lucana (Sa)

119) Fausta Garavini, Università di Firenze, scrittice e linguista

120) Antonio Di Lalla, rivista La Fonte

121) Lucilla Parisi

122) Francesco Simonelli, cantautore e studente

123) Aldo Camporeale, professore di Economia agraria e dell’assetto territoriale

124) Nicola Giudice, docente, Ivrea

125) Renzo Lecardane, Università di Palermo, professore di Composizione architettonica e urbana

126) Giovanni Antonio Sanna, SIMTUR , vicepres. GAL Logudoro Goceano

127) Franca Peluso

128) Scilla Cuccaro, Università di Firenze, urbanista

129) Carlo Cellamare, Università La Sapienza Roma, urbanista

130) Augusta di Giorgi, avvocato specialista in diritto e gestione dell’ambiente

131) Antonietta Cozza, consigliere comunale e delegata cultura, Comune di Cosenza

132) Maria Angela Presta, funzionario Politiche di coesione

133) Michele Ponzio, docente, già assessore Comune di Favignana

134) Rossella Traversa giornalista e scrittrice

135) Roberta Curiazi, Università di Udine, economista e geografa economico-politica

136) Rossana Di Fazio, enciclopediadelledonne.it

137) Federico Varazi, vicepresidente Slow Food Italia, geologo

138) Roberta Cevasco, Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ecologa storica

139) Piero Zizzania, Università di Napoli Federico II, architetto e dottorando

140) Laura Di Tommaso, Università di Napoli Federico II, dottoranda

141) Barbara Catalani, architetto, già assessore Sviluppo politiche culturali, Comune di Follonica

142) Fabrizio Ferreri, Università di Catania, filosofo e sociologo

143) Renza Bertuzzi, resp. rivista ” Professione docente”

144) Francesca Conti, Università La Sapienza Roma, dir. rivista “La Città invisibile”

145) Stefania Cannarsa, docente

146) Alberto Di Cintio, Università di Firenze, Fondazione Italiana Bioarchitettura

147) Rosario Grillo, docente di Filosofia e Storia

148) Ramon La Torre, architetto libero professionista

149) Rossano Di Nicola, RSU Frigor box International

150) Franc Arleo, geosofo, dir. collana di Geosofia per AnimaMundi

151) Leo Bolliger, architetto, Attac Piacenza e Aps Convivio

152) Francesco Galli, Iuav, architetto e dottorando

153) Achille Flora, Università della Campania L. Vanvitelli, economista

154) Germana Facchini, pedagoga

155) Antonella Iammarino, antropologa e giornalista

156) Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia

157) Serena Milano, direttrice Slow Food Italia

158) Paolo Baldeschi, Università di Firenze, urbanista

159) Maria Carla Baroni, resp. naz. Territorio e ambiente, Partito Comunista Italiano

160) Associazione nazionale Slow Food Italia APS

161) Maria Teresa Scarlato, pensionata

162) Angelo Ferrari, architetto urbanista

163) Daniela Mongiardini, insegnante scuola media

164) Estella MIlianti

165) Anna Landi, Università degli Studi di Salerno, fondatrice Italia Minore si Svela

166) Marcello Gentile, ingegnere aerodinamico

167) Michele Conìa, sindaco di Cinquefrondi (RC), consigliere città metropolitana Reggio Calabria

168) Luigi Meconi, Società dei territorialisti/e

169) Maria Alberta Massenzio, insegnante scuola primaria

170) Maria Valente, pensionata

171) Amerigo Cuglietta, già sindaco di Cleto (CS)

172) Pierino Di Tella, assessore Comune di Capracotta (IS)

173) Maria Giovanna Mustillo

174) Domenico Falconieri, pensionato

175) Gemma Reggimenti, docente scuola d’infanzia

176) Giovanni Pollice, ex dirigente nazionale del sindacato

176) Michele Petraroia, Anpi nazionale

177) Dario De Renzis, farmacista

178) Francesco Vespasiano, Università degli studi del Sannio, sociologo

179) Giuseppe Donnarumma, Comune di Montoro, ingegnere

180) Cristina Ghirardini, Università di Trento, etnomusicologa

181) Maria Antonia Schillaci, Università di Catania, Forum Area Interna (Troina)

182) Enrico Bettini, architetto

183) Simona Bertini, ONDA

184) ONDA, Organismo Nazionale Difesa Alberi

185) Giancarlo Schiavone, architetto, pres. Pro Loco Buccino Volcei APS

186) Antonino Prizzi, architetto e pianificatore del paesaggio

187) Sergio Vellante, Seconda Università di Napoli (SUN), Economista Agrario

188) Rina Cervi, orientatrice e formatrice, Reggio Emilia

189) Angelo M. Cirasino, Università di Firenze e Società dei Territorialisti/e

190) Paola Grillo, insegnante

191) Pino Bertelli, fotografo

192) Francesco Bevilacqua, avvocato, scrittore e giornalista

193) Maria Martone, Università Sapienza di Roma, architetta

194) Alessandra Ventura, docente

195) Bruno Pino, giornalista

196) Mario Mele, docente di discipline turistiche

197) Francesco Giovannangelo, musicista, docente

198) Agnese Turchi, Università Napoli Federico II, urbanista e attivista

199) Eugenio Celestino, capogruppo in Consiglio comunale di Longobucco (CS)

200) Monica Bolognesi, Politecnico di Bari, ricercatrice

201) Centro culturale franco-italiano, Muro Lucano

202) Antonio Ciaschi, Università LUMSA, geografo

203) Carlo A. Gemignani, Università di Parma, geografo

204) Antonio Montesanti, ceramista

205) Marina Giglio, medico veterinario ASL

206) Manuel Vaquero Piñeiro, Università degli Studi di Perugia, storico dell’economia

207) Giulia Vincenti, Università degli Studi di Messina, geografa

208) Maria Paola Bordati, impiegata, ass. La Fierucola

209) Erminia Irace, Università degli Studi di Perugia, storica

210) Paolo Piacentini, pres. onorario Federtrek

211) Matteo Felitti, Università di Napoli Federico II, ingegnere

212) Sara Carallo, Università Rome Tre, geografa

213) Vincenzo Landi, libero professionista nel settore ingegneristico

214) Flaviano Lavia, massofisioterapista, perito agrario

215) Ottavio Lalli, medico veterinario specialista

216) Marino Trizio, pres. associazione Città Plurale

217) Maria Teresa Capozza, docente

218) Lucia Giovannetti, insegnante

219) Marco Giovagnoli, Università degli Studi di Camerino, sociologo

220) Alessandro Aceto, resp. Servizio legale Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

221) Lorenzo Coia, già presidente Provincia di Isernia, sindaco di Filignano (IS)

222) Maria Rosaria Gioffrè, docente, francesista

223) Franca Crocetto

224) Sarah Rosa Torregrossa, architetto

225) Francesco Di Rienzo, presidente ETS Amici di Capracotta APS

226) Associazione politico-culturale La Strada, Reggio Calabria

227) Saverio Pazzano, consigliere comunale di Reggio Calabria, insegnante e scrittore

228) Vanessa Gagliardi, docente

229) Antonio Maio, architetto e docente

230) Ester Mura, insegnante di scuola superiore

231) Associazione nazionale Città del vino

232) Luca Giuliani, archivista, ex vice sindaco Comune di Castel Viscardo (TR)

233) ASD Polisportiva di Castel Viscardo (TR)

234) Maria Teresa Cartisano, docente di scuola superiore

235) Pasquale Dragonetti, ingegnere, Associazione Terra Mediterranea

236) Emiliano Biscaro, ingegnere

237) Silvia Giandoriggio, architetta e attivista

238) Stefania Stefanini, La bancarella Editrice, Piombino

239) Stefano d’Atri, Università di Salerno, storico

240) Andrea Vento, docente, GIGA-Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

241) Laura Santoro

242) Danilo Emo, architetto

243) Linda Terenzi, Università di Firenze, ricercatrice

244) Grazia Degl’Innocenti, architetto

245) Antonietta Di Vito, MIM, docente, antropologa, scrittrice

246) Letizia Papi, insegnante e cantante

247) Francesco Cancellieri, pres. AssoCEA Messina APS, Ingegnere

248) Alessandro Camerini

249) Giuseppe Chiarillo, ex sindaco di Galliera (BO)

250) Danilo Gorga, vicepres. Slow Food Campania

251) Anna Kauber, documentarista

252) Tiziano Cardosi, No Tunnel Tav Firenze, ex ferroviere

253) Addolorata Cormano, docente geografia economica scuola secondaria superiore

254) Giuseppe Riccobono, docente, GIGA Gruppo Insegnanti Geografia Autorganizzati

255) Donatella Rosati, analista programmatrice

256) Giovanni Spinelli, pubblicista, ASA-Associazione stampa agroalimentare, ref. Campania

257) Angela Greco AnGre, poeta

258) Mario Lusi, giurista ambientale

259) Aurelio Francesco Madeo, ex dirigente scolastico, poeta

260) Stefania Marini, Università Iuav di Venezia, architetto

261) Giuseppe Magarò, avvocato

262) Rodrigo Andrea Rivas, giornalista

263) Angelo Milo

264) Roberta Pizzullo, docente

265) Flavio Pascarosa, avvocato, già consigliere comunale Atripalda (AV)

266) Carmen Silva Castagnoli, geografa

267) Marina Boscaino

268) Marina Castiglione, Università degli Studi di Palermo, dialettologa

269) Daniela Poli, Università di Firenze, urbanista

270) Salvatore Capasso, Riabitare l’Italia

271) Mariachiara Santone, archeologa, Casa del popolo Campobasso

272) Raffaella Lalli, farmacista

273) Maria Angela Astore, insegnante di liceo

274) Katia Fabbricatti, Università di Napoli Federico II, architetto

275) Teresa Maradei, dottore forestale, manager dei sistemi territoriali e aree interne

276) Giovanni Scarfò, pres. Centro studi, ricerche e formazione “Francesco Misiano”

277) Romina Deriu, Università di Sassari, sociologa

278) Anna Albano, insegnante

279) Franco Repeti, cooperativa sociale Croce del Sud

280) Antonio Piangiolino, già assessore Comune di Acquaviva delle Fonti (BA), ASSI-RECOVERY SUD

281) Angela Vitullo, docente, ref. Borghi della Lettura per Montagano (CB)

282) Federico Massimo Ceschin, pres. SIMTUR, ambasciatore del patto europeo per il clima

283) Riccardo Pasqualin, saggista

284) Dario Donatini, docente di geografia economica

285) Laura D’Angelo, Università del Molise, critico letterario, scrittrice

286) Dina Caligiuri, architetto, docente alle scuole superiori

287) Raffaella Vono, docente

288) Rita Campioni, docente, Comitati No Autonomia Differenziata

289) Mosè Antonio Troiano, sindaco di San Paolo Albanese (PZ)

290) Franco Festa, docente e scrittore

291) Laura Manganaro, pres. sezione Italia Nostra-Firenze

292) Antonio Troisi, Università del Sannio, fisico

293) Italia D’Acierno, segretaria CdLT CGIL Avellino

294) Eloisa Gizzi, architetto

295) Associazione Give Back Giovani Aree Interne APS

296) Antonella Russo, operatore culturale

297) Maria Pecoraro, scenografa e operatrice sociale

298) Rosalia Rizzo, funzionario Comune di Palermo

299) Salvatore Settecasi, architetto

300) Roberto Sullo, pres. Give Back Giovani Aree Interne APS

301) Associazione La Fierucola, Fiesole (FI)

302) Maria Romana Picuti, Università La Sapienza Roma, archeologa

303) Visenta Iannicelli, già dirigente Roma Capitale

304) Anna Cocchi, ANPI, già sindaco di Anzola Emilia (BO)

305) Mariano Genovese, architetto

306) Slow Food Toscana aps

307) ActionAid Italia

308) Alessandro Di Loreto

309) L’Eco dell’Alto Molise e Vastese, testata giornalistica

310) Laboratorio politico perUnaltracittà, Firenze

311) Costantino Leuci, docente, ref. Slow Food Matese, consigliere comunale Piedimonte Matese

312) Federico Di Cosmo, Politecnico Milano, docente di Architettura del Paesaggio

313) Margherita Ciervo, Università di Foggia, geografa economico-politica

314) Marco Gargano, psicologo

315) Laura Bonomi Ponzi, archeologa

316) Giovanni Moriello, docente

317) Giuliana Tocco, già Soprintendente Beni Archeologici, pres. ass. Antica Volcei, Buccino (SA)

318) Paolo Ferloni, Università di Pavia, chimico

319) Cristiano Lucchi, dir. rivista Fuori Binario

320) Corradino Guacci, pres. Società italiana per la storia della fauna, Giuseppe Altobello

321) Società italiana per la storia della fauna, Giuseppe Altobello

322) Leandro Janni, presidente Italia Nostra Sicilia

323) Nicholas Tomeo, Università del Molise, ricercatore e docente

324) Celeste Mantegna, Università del Molise, ricercatrice

325) Francesco Violante, Università di Bari, storico

326) Luigi Scognamiglio, Università di Napoli Federico II, ingegnere

327) Vincenzo Fundone, fotografo, pres. Archeoclub Melfi

328) Antonio Giuseppe Ottaviano, geometra

329) Roberto De Marco, geologo, già dir. Servizio sismico nazionale, Presidenza del Consiglio dei Ministri

330) Oliviero Resta, Aps Il cammino di Dante

331) Andrea Ferrannini, ARCO , Fondazione PIN, ricercatore

332) Francesco Maria Massetti

333) Pino Fabiano, giornalista, Cotroneinforma OdV

334) Roberto Guido, giornalista e scrittore

335) Massimiliano Guerrieri, docente di geografia scuola secondaria

336) Valeria Monno, Politecnico di Bari, DICATECh

337) Marco Mannino, Politecnico di Bari, architetto

338) Sebastiano Sarti, architetto libero professionista

339) Federica Cotecchia, Politecnico di Bari, ingegnere

338) Daniela Frisullo, Politecnico di Bari (dottoranda), funzionaria Regione Puglia

339) Francesca Santaloia, CNR-IRPI

340) Maria Francesca Sabbà, Politecnico di Bari, ricercatrice

341) Giacomo Pisani, Euricse, ricercatore

342) Maria Cristina Leardini, co-founder SharryLand

343) Luigi Alberton, founder SharryLand

344) Maria Anna Ilardi

345) Emanuele Gizzi, Accademia di belle Arti di Palermo, docente

346)Enza Maria Macaluso, filosofa di campo

Sulla Calabria una lastra di cemento. Troppe abitazioni vuote e troppe abusive.-di Battista Sangineto

Sulla Calabria una lastra di cemento. Troppe abitazioni vuote e troppe abusive.-di Battista Sangineto

La Calabria è sepolta sotto un’enorme ed orribile lastra tombale di cemento, il cemento armato di un milione e 375.504 abitazioni certificate dall’ultimo censimento dell’ISTAT del 2023 a fronte di un milione e 855.454 abitanti molti dei quali, lo sappiamo, non sono neanche davvero residenti in questa regione.

A queste abitazioni vanno aggiunte le altre 143.875 che, secondo una indagine condotta nel 2013 dall’Agenzia delle Entrate in Calabria, sono totalmente sconosciute al fisco e al catasto. Nella nostra regione, dunque, c’è una casa ogni 1,3 calabresi la qual cosa significa che il cemento ha irreversibilmente impermeabilizzato ogni lembo della regione come dimostrano i dati dell’ISTAT e dell’ISPRA del ‘23 secondo i quali è stato consumato ben l’11,7% dell’intera superficie di una regione che comprende -per una larghissima percentuale del suo territorio- inconsueti e multiformi paesaggi composti da valli impervie, altopiani, alte colline e montagne.

Questa varietà e singolarità di orizzonti geografici e climatici che Guido Piovene, nel suo bellissimo “Viaggio in Italia”, descrive mirabilmente così: “Viaggiare in Calabria significa compiere un gran numero di andirivieni, come se si seguisse il capriccioso tracciato di un labirinto … Rotta da quei torrenti in forte pendenza, non solo è diversa da zona a zona, ma muta con passaggi bruschi, nel paesaggio, nel clima, nella composizione etnica degli abitanti. È certo la più strana delle nostre regioni … Nelle sue vaste plaghe montane talvolta non sembra d’essere nel mezzogiorno, ma in Svizzera, nell’alto Adige, nei paesi scandinavi. Da questo nord immaginario si salta a foreste di ulivi, lungo coste del classico tipo mediterraneo … La Calabria è una mescolanza di mondi … Si direbbe che qui siano franati insieme i detriti di diversi mondi; che una divinità arbitraria, dopo aver creato i continenti e le stagioni, si sia divertita a romperli per mescolarne i lucenti frammenti”.

Come se l’inconcepibile mostruosità della lastra tombale di cemento che ci ha sottratto per sempre la multiforme bellezza della Calabria, non fosse sufficiente per far cambiare mestiere alla classe dirigente calabrese, si apprende, per sovrappiù, che l’ISTAT -nel suo annuale rapporto “Il benessere equo e sostenibile in Italia” pubblicato nel maggio del ‘25- riporta un dato rilevato dal Cresme (Centro di Ricerche di Mercato).

Questo rapporto pone, nel 2022, la Calabria in cima alla classifica dell’illegalità edilizia con il 54,1% delle abitazioni abusive al pari della Basilicata (anch’essa con il 54,1%), ma prima della Campania (50,1%), della Sicilia (48,2%) e della Puglia (34,8%), mentre la media nazionale è del 15,1%.

Al danno irreversibile inferto alla bellezza del paesaggio si deve aggiungere la beffa dell’illegalità delle costruzioni che è intimamente legata, com’è evidente, all’evasione fiscale. In un recentissimo rapporto la CGIA di Mestre rileva che -nonostante la legge in vigore riconosca ai Comuni che segnalano all’Agenzia delle Entrate situazioni di infedeltà fiscale (l’Irpef, l’Ires, l’Iva, le imposte di registro/ipotecarie e catastali) un importo economico del 50% di quanto accertato- solo il 4% dei sindaci ha denunciato irregolarità.

Su 7.900 Comuni presenti in Italia, infatti, solo 296 (pari al 3,7 per cento del totale) hanno trasmesso, in materia di evasione, delle “segnalazioni qualificate” agli uomini del fisco. In Calabria, “ça va sans dire”, solo 10 su 404 Comuni (il 2,5%) hanno inviato le suddette ‘segnalazioni’: Villa San Giovanni (Rc), Reggio Calabria, Bisignano (Cs), Luzzi (Cs), Acquappesa (Cs), Melito di Porto Salvo (Rc), Castrolibero (Cs), Altilia (Cs), Fuscaldo (Cs) e Crotone. Dal 2016 al 2023 dei 5 capoluoghi di provincia calabresi solo Reggio Calabria ha ricevuto regolarmente contributi recuperati dall’evasione (circa 400mila euro dal 2016 al 2023).

Cosenza, Catanzaro e Vibo Valentia, invece, non avendo segnalato nulla non hanno ottenuto alcun contributo, mentre Crotone ha ottenuto ben 3 (tre) euro, ma solo nel 2023.

Si deve aggiungere –grazie, di nuovo, alle statistiche ISTAT del 2023 – che questo profluvio di cemento armato non serviva a soddisfare i bisogni abitativi dei calabresi perché la Calabria è terza, dopo la Valle d’Aosta ed il Molise, per numero di case non abitate permanentemente con l’altissima percentuale del 42,2% di abitazioni vuote.

A chi, e a cosa, servono tutte queste case vuote?

Credo che sia arrivato il momento di smetterla di consumare suolo agricolo, di devastare il paesaggio rurale e quello delle città; è arrivato il momento di porre fine alle colate di cemento sia quelle legalizzate dai PSC e dai PSA sia, soprattutto, a quelle illegali, ma bisogna ristrutturare, ammodernare, abbellire le abitazioni esistenti e abbattere il maggior numero possibile delle case abusive.
Un “vaste programme”, come sarcasticamente avrebbe detto Charles De Gaulle, se un simile proponimento venisse da parte di un Amministratore di un Comune o di una Regione, ma l’imperatore Diocleziano, molti secoli prima, era già convinto che “nihil difficilius est quam bene gubernare”.

da “il Quotidiano del Sud” del 5 giugno 2025
foto: Battista Sangineto, vista di via Popilia dal Castello di Cosenza

Il socialismo umanitario a Rende.-di Battista Sangineto

Il socialismo umanitario a Rende.-di Battista Sangineto

Il risultato del referendum sulla città unica non solo ha statuito che i cittadini di Rende non volevano una prepotente ed ingiustificata annessione a Cosenza, ma ha portato alla luce un sentimento ben più radicato ed importante: l’esistenza di una comunità che possiede un senso d’appartenenza ad un luogo che era un paese antico, prima, e, dopo, quel che sembrava essere solo una ben progettata e costruita periferia della confinante, disordinata e mal disegnata, città capoluogo di provincia.

Un senso di comunità che discende e coincide con il senso politico che ha impedito -in maniera straordinariamente lungimirante sin dagli anni ’60, ma in special modo dagli anni ‘80 in poi del ‘900- che il territorio rendese diventasse un ‘non-luogo’, una delle tante periferie del mondo contemporaneo priva di senso, di bellezza e di socialità cittadina, al pari delle tante che negano la città o che la declinano solo nelle forme di “grands ensembles” costituiti soprattutto da anonimi ed enormi palazzi con, o senza, verde intorno (La Cecla 2015).

Rende, invece, non è diventata un suburbio, ma una città: ha edificato scuole di tutti gli ordini e gradi, compresa l’università, edifici pubblici come il municipio, le case popolari, le case economiche e popolari di nuovissima concezione dello straordinario quartiere CEEP, i tanto celebrati campi da tennis, il palazzetto dello sport, l’area mercatale, i numerosi parchi pubblici ed ha costruito un poliambulatorio per favorire, con grande preveggenza, un sistema di sanità territoriale diffuso, ha piantato moltissimi alberi (che ora andranno ripiantati, dopo l’ultimo decennio di deforestazione urbana) e ha imposto che anche i privati lo facessero, ha costruito chiese.

Ha rimesso a nuovo le strade e gli edifici pubblici del Centro storico dotandolo di Musei e ristrutturando, fra le altre cose, uno storico cinema che ora aspetta solo di essere gestito nella maniera più adeguata.

Una città che è in grado di essere un indispensabile “capitale cognitivo che fornisce coordinate di vita, di comportamento e di memoria, e costruisce l’identità individuale e quella, collettiva, delle comunità” (Settis 2017).

Attorno alla realizzazione di questo disegno urbanistico e sociale di città si sono formate, appunto, una comunità e un senso di identità fra gli abitanti che non vogliono rinunciare alla razionalità, alla bellezza ed all’efficienza che Rende ha posseduto e che, ancora in gran parte, possiede. Quel senso di comunità che ha fatto dire di NO alla città unica dall’81,4% dei votanti rendesi che con questa schiacciante percentuale hanno respinto non solo l’annessione, ma anche un modello di urbanità diverso da quello che vivono quotidianamente.

Ora, a Rende, bisogna solo completare l’opera dell’edificazione di una città, si tratta di realizzare a pieno l’”urbanità” che altro non è che il risultato di un’interazione adattiva fra la ‘urbs’ –che rappresenta i caratteri fisici e architettonici della città- e la ‘civitas’ che contempla i modi d’uso e le relazioni sociali dei cittadini (Consonni 2013).

Per quel che riguarda l’’urbs’, l’aspetto fisico della città, non si può e non si deve a consumare suolo e colare cemento, dato che Rende -secondo i dati ISTAT del 2023- ha nel suo comune 20.881 case per 36.571 abitanti (una ogni 1,7 abitanti) ed ha il 17% di case vuote, ben 4.931. E se, in tutta l’area urbana, le abitazioni vuote sono addirittura 14.262, a cosa, e a chi, servono tutte queste case se la popolazione in Calabria – Censimento ISTAT al 31 dicembre 2021- è in calo dello 0,3% rispetto al 2020 (-5.147 individui) e del 5,3% rispetto al 2011 e se la Svimez stima un calo del 20% della popolazione meridionale fino al 2050? (Sangineto 2025).

In questo quadro è la proposta di Sandro Principe a convincere: ha detto che nel territorio comunale si costruiranno ‘ex novo’ solo case per i giovani e per i meno abbienti. Non verrà usato il “metodo Milano” che consisteva nell’abbattere un vecchio edificio e sostituirlo con un enorme palazzo – come è già più volte avvenuto in questi ultimi anni anche a Rende, oltre che nel centro vincolato di Cosenza- con la stessa procedura con cui si autorizza il rifacimento di un appartamento, una semplice ‘Scia’. E, infine, si eviterà l’uso indiscriminato delle ormai famigerate ‘perequazioni urbanistiche’ che vanno a vantaggio solo di chi vuole consumare ancora suolo per profitto.

La ‘civitas’, l’uso della città e le relazioni sociali dei cittadini, è un altro imprescindibile elemento dell’”urbanità” di una città che non ha nulla a che fare con le dimensioni di un centro abitato perché l’urbanità è avere piazze e viali alberati, è avere un passeggio mattutino e serale che i cittadini frequentano per lavoro o ‘pour loisir’ guardando le vetrine dei negozi e incontrando amici e conoscenti, ‘urbanità’ è avere bar e gelaterie con tavolini dove si possano consumare caffè e granite senza l’intralcio di ingombranti ‘dehors’.

Una misura dell’”urbanità” è, sicuramente, la vitalità dei luoghi cittadini che non può e non deve essere raggiunta solo, come sembrano credere alcuni amministratori, attraverso la movida notturna, perché se è vero, ed è comprensibile, che la varietà delle presenze e la compresenza di motivi e di modi della frequentazione è uno dei connotati distintivi dell’urbanità è altrettanto vero che l’urbanità si misura anche dall’offerta culturale complessiva che una città mette a disposizione e Rende ha già una buona rete di biblioteche pubbliche, un cinema nel centro storico, uno storico appuntamento settembrino di spettacoli che potrà essere completato con un cartellone teatrale di livello.

Ho sentito evocare da Principe il “socialismo umanitario”, che è la declinazione del socialismo di Proudhon e Fourier adeguata ai nostri tempi di recessione e di guerra. Bene, vorrà dire che sarà il momento in cui i molti ‘beni comuni’ comunali, per prima l’acqua, torneranno ad essere di proprietà dei cittadini. Debbono tornare compiutamente ad essere di nuovo ‘beni comuni’ anche lo stadio ‘Lorenzon’, i campi da tennis, i parchi fluviali, l’area mercatale, il parco acquatico, il palazzetto dello sport et cetera.

Alcuni di questi ‘beni comuni’, oggetto di grandi speculazioni private, devono tornare ad essere valorizzati ed usati nel modo più equo, perché sono fra le più belle ed importanti strutture ed infrastrutture costruite dall’Amministrazione comunale e pagate da tutti i cittadini rendesi.

Il modello al quale sono sicuro che il socialista umanitario continuerà ad ispirarsi è quello della piccola e media città storica italiana la cui principale caratteristica di città bella e buona consiste nella sua “capacità di distribuire al proprio interno beni e servizi che possano garantire la vita civile del più gran numero possibile dei suoi cittadini” (La Cecla 2024). Un luogo nel quale, insomma, la vita quotidiana sia una buona vita, più gradevole e più equa per tutti coloro che vi abitano.

da “il Quotidiano del Sud” del 20 maggio 2025

Ambiente e sviluppo, da uno storico un progetto di futuro per Catanzaro.-di Filippo Veltri

Ambiente e sviluppo, da uno storico un progetto di futuro per Catanzaro.-di Filippo Veltri

Piero Bevilacqua fa lo storico di professione, ordinario alla Sapienza di Roma, impegnatissimo in questi mesi nella presentazione del suo ultimo libro sui temi delle guerre e del mondo in fiamme, ma torna spesso nella sua città, Catanzaro, ed ha rivolto una bellissima lettera ai suoi concittadini, su un problema di grande valenza legato al territorio sul mare del capoluogo regionale ma che va ben oltre i confini di quella città per il valore della proposta.

‘’Cari amici di Catanzaro – scrive il prof. Bevilacqua – poiché nei prossimi anni si giocherà una partita importante per il destino della città, io che ci sono nato e, per non vivendoci più da quasi 50 anni, ho con essa profondi legami, mi sono permesso di elaborare questo progetto che sottopongo alla vostra attenzione’’.

Il progetto è assai lungo e articolato, con una premessa ed un dettagliatissimo proponimento che si spera possa essere ripreso ed attuato dagli amministratori di oggi. Riguarda specificatamente l’area di Giovino, un polmone verde affacciato sullo Jonio, nei pressi di Catanzaro Lido verso Crotone, caratterizzato dalla presenza di un’ampia pineta lungo il mare e da una distesa di dune popolate da piante selvatiche e rare, circa 240 ettari, occupata da case, strade, ma anche orti, aziende agricole, campagne, aree incolte. Per questo vasto territorio il Comune di Catanzaro ha in progetto una lottizzazione per costruire prevalentemente edifici ‘’e io invece credo che sia possibile avviare un nuovo corso di intrapresa economica, un modo avanzato e moderno, ambientalmente sostenibile, di dare valore al territorio’’.

Cioè finalmente porre un alt al cemento selvaggio che drena risorse e distrugge l’ambiente.

A Giovino potrebbe nascere un Parco delle Varietà Frutticole Mediterranee, un’area in cui si raccolgono e coltivano le centinaia e centinaia di varietà dei nostri alberi da frutto. Oggi molte di queste piante sono presenti nei vari vivai della regione, presso i privati che le coltivano in modo amatoriale, disperse e spesso abbandonate nelle nostre campagne. Ma non formano aziende agricole vere e proprie fondate sulla varietà. Per costituire il Parco occorre dunque un’opera preliminare di raccolta a cui possono concorrere tanti nostri bravi agronomi.

‘’Non si creda – scrive Bevilacqua – che sia un’operazione del tutto nuova. Ad Agrigento, nella Valle dei Templi, alcuni agronomi dell’Università di Palermo hanno costituito anni fa il Museo vivente del mandorlo: un vasto giardino con centinaia di piante che producono mandorle e che tra febbraio e marzo attraggono folle di visitatori per la loro fioritura spettacolare. Certo, Giovino non è la Valle dei Templi, ma insieme alla Pineta e alle sue dune fiorite il Parco aggiungerebbe un elemento di attrazione non trascurabile.

Naturalmente, accanto al Parco dovrebbero sorgere uno o più vivai, dove le varietà vengono riprodotte e vendute, così da sostenere la diffusione di una frutticultura fondata sulla varietà e sulla qualità in tutte le campagne del comune di Catanzaro, dentro la città, anche nei giardini, nelle aree degradate e nude, e potenzialmente nel resto del Sud’’.

Occorre dunque uscire da una subalternità culturale non più tollerabile, che riguarda l’intero Sud. ‘’Vi ricordo che la Sicilia, il giardino d’Europa, per decenni la regione prima produttrice d’agrumi nel mondo, non ha mai creato un grande marchio d’aranciata. Della Calabria, buona seconda dopo la Sicilia, quanto a produzione, non è il caso di parlare. A tal fine un completamento dell’intero progetto sarebbe la creazione di un “Istituto per lo studio della biodiversità agricola e delle piante della regione mediterranea’’.

Un centro di ricerca, che potrebbe connettersi con il Dipartimento di Agraria dell’Università di Reggio Calabria, col fine di studiare le potenzialità farmacologiche e d’altra natura delle nostre piante, ma anche il miglioramento varietale, le patologie.

La lettera, nel finale, è un auspicio: ‘’Cari catanzaresi, come sapete, nel territorio di Giovino la precedente amministrazione comunale di Catanzaro intendeva avviare un progetto di lottizzazione: nuove case, nuovi edifici, strade, nuovi centri commerciali.
Inoltre, poiché la popolazione di Catanzaro, come quella di tutta Italia, non cresce, anzi diminuisce, i nuovi abitanti di Giovino sarebbero sottratti a quelli della città. A quel punto il centro storico si svuoterebbe definitivamente e Catanzaro diventerebbe un luogo fantasma. La nuova giunta, composta anche da tanti giovani, ha davanti a sé una grande possibilità e una ancor più grande responsabilità’’.

da “il Quotidiano del Sud” del 3 maggio 2025.

Che fare? Quello che la California ci insegna.-di Tonino Perna

Che fare? Quello che la California ci insegna.-di Tonino Perna

Sono almeno dieci anni che gli studiosi hanno statisticamente rilevato un incremento della superficie bruciata a causa degli incendi in tutto il mondo. Ma, grazie ai mass media, nell’immaginario collettivo si è radicata l’idea che gli incendi devastanti siano una realtà eccezionale, una emergenza che riguarda solo alcune parti del pianeta.

Pochissimi sanno che l’area più colpita al mondo non sia l’Amazzonia, ma quella delle foreste equatoriali che dalla Repubblica Democratica del Congo si estendono all’Angola, alla Repubblica Centrafricana e ad altri Paesi limitrofi.

Non se ne parla mai nelle varie Coop, nei meeting internazionali che tentano di affrontare la questione ambientale, come se il fenomeno non incidesse sulla produzione di CO2. Si pensi solo che nel 2023 queste emissioni, come ricordava ieri Luca Martinelli, sono state pari a sei volte la CO2 prodotta dall’Italia e, secondo una stima attendibile, pari all’impatto del traffico aereo che concorre col 2% alle emissioni globali di gas climalteranti.

Non solo California, dunque, ma un fenomeno mondiale. Negli stessi Usa l’andamento del rapporto tra superfice bruciata e numero degli incendi (vedi il grafico) ci mostra come non sia tanto il numero degli incendi a crescere quanto la furia e l’impatto devastante di questo fenomeno.

Incendi negli Usa dal 1983 al 2022 (media mobile di tre anni)
Periodo/Incendi/Acri bruciati-1.000/ Acri-incendio
1986-88 86.600 3.391 39,2
1989-91 63.900 3.133 49,0
1992-94 75.000 2.646 35,3
1995-97 81.300 3.587 44,1
98-2000 88.200 4.783 54,2
2001-03 73.800 4.905 66,5
2004-06 76.000 8.890 117,0
2007-09 81.000 6.847 84,5
2010-12 68.000 7.155 105,2
2013-15 59.200 6.013 101,6
2016-18 65.100 8.101 124,4
2019-21 52.700 7.303 138,6
2022 59.900 7.577 126,5
Fonte: N.E. su dati dell’Annual Wildfire Burned Area in U.S.

Spesso la classe politica locale si dimostra talmente impotente e impreparata da sfiorare il ridicolo. Esemplare è il caso del governatore della California, David Newsome, che nell’ottobre del 2020 di fronte a uno dei più devastanti incendi che hanno colpito la California negli ultimi anni ha reagito a questo dramma con un provvedimento che vieta la vendita delle auto a benzina a partire dal 2035 (sic!).

Ma, quello che la California ci insegna è che in una delle aree più ricche del nostro pianeta la tecnologia più avanzata è impotente se pensa di fare a meno del ruolo della organizzazione sociale. Di anno in anno si moltiplicano gli elicotteri, si usano i droni, le connessioni satellitari sono fantastiche nel regno di Elon Musk, ma niente possono di fronte all’avanzata degli incendi. E non si tratta di una natura che si vendica quanto di una società capitalistica portata alle estreme conseguenze.

Chi scrive ha sperimentato con successo, quando era presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, come si potessero ridurre drasticamente gli incendi puntando sul presidio dei territori, sulla responsabilità e motivazione, nonché su una premialità per chi opera per spegnere da terra, quando parte il fuoco, affinché non si propagandi.

Il cosiddetto “modello Aspromonte” è stato per dieci anni imitato anche da altri parchi nazionali, ma poi è stato messo da parte dalla potenza delle lobbies dei mezzi aerei che affittano allo Stato le proprie prestazioni. Qualche maligno in passato ha detto “se non ci fossero gli incendi fallirebbero queste imprese” che solo nelle regioni meridionali arrivano a gestire più di duecento milioni di euro l’anno.

Il successo del “metodo Aspromonte” era basato sul fatto che i cosiddetti “contratti di responsabilità territoriale” venivano assegnate ad associazioni o cooperative che avevano nel curriculum un bagaglio di impegni in campo ambientale, unitamente al riconoscimento economico del lavoro fatto. Esattamente l’opposto di quanto avviene in California dove vengono utilizzati i carcerati per spegnere gli incendi quando ormai divampano. E questi poveretti, circa ottocento secondo le cronache, sono stati anche questa volta mandati allo sbaraglio, rischiando la vita per un dollaro l’ora.

Denaro, tecnologia, potenza militare, non servono a niente per contrastare gli incendi come dimostra un caso esemplare nel nostro paese. il Trentino-Alto Adige (Sud Tirolo). In questa bellissima regione gli incendi sono stati da sempre controllati grazie a una tradizione civica così forte e radicata che porta migliaia di volontari, ogni anno, a presidiare il territorio e a spegnere i focolai quando dovessero innescarsi.

Come ormai avviene nel campo della salute dove la durata media della vita diminuisce quando aumenta la privatizzazione dei servizi sanitari così nella cura del territorio se si abbandona questo bene comune alla logica del profitto, se non si fa prevenzione, saremo sempre più esposti ad incendi, alluvioni, e disastri ambientali.

da “il Manifesto” del 12 gennaio 2025

Il bluff del ponte che non serve.-di Gianfranco Viesti

Il bluff del ponte che non serve.-di Gianfranco Viesti

Certo, non tutti gli argomenti contrari sono convincenti. Sostenere che “con tutti quei soldi si farebbe un regalo alle mafie”, non lo è. Implica una resa preventiva dello Stato di fronte alla criminalità organizzata, sconsiglierebbe di fare qualsiasi opera pubblica; rischi ci sono, ci si deve attrezzare per affrontarli. Sostenere che “quei territori sono poveri, con basso reddito e pochi traffici; meglio spendere altrove” è obiezione persino peggiore della precedente, dato che interventi per migliorare la mobilità sono fra i più opportuni per determinare un maggiore sviluppo.

In Sicilia e in Calabria (come in Sardegna) il deficit nelle infrastrutture e nei servizi di trasporto è colossale: nell’Isola circolano poco più di 450 treni regionali (vecchi e assai lenti), la metà che in Emilia-Romagna, un quarto rispetto alla Lombardia; l’accessibilità ferroviaria è la metà rispetto al Nord.

Perché allora il Ponte non è una buona idea? Tanto per cominciare, ci sono ancora dubbi tecnici sulla fattibilità dell’opera, che ha caratteristiche che non si ritrovano in nessun altro caso al mondo. Sono legati alla lunghezza della campata, alla sismicità dei luoghi, all’altezza del ponte sul mare e a quella delle sue torri (da realizzare, tra l’altro, in zone di grande pregio ambientale), all’impatto dei venti. Le sfide ingegneristiche difficili vanno affrontate, non demonizzate: ma la realizzazione di un intervento così grande va avviata solo quando vi sia assoluta certezza di fattibilità.

Le grandi opere possono avere un notevole fascino simbolico (si pensi all’Autostrada del Sole) nella vita di una comunità nazionale: ma solo se e quando si completano. In Italia sono già molte le dighe senza condotte, i binari senza treni. Vi è il rischio tangibile che il Ponte alla fine non si faccia, ma vengano intanto assicurati alle imprese coinvolte grandi benefici economici anche in caso di mancato completamento; peggio, che si proceda anche a immani lavori preliminari (treni e auto devono essere portati alla notevole altezza del Ponte) lasciandoli poi in futuro abbandonati.

Ipotizziamo che i dubbi tecnici siano superati. Sarebbe bene farlo? Un elemento fondamentale di cui tenere conto è il suo costo: al momento quasi 15 miliardi, ma destinati assai verosimilmente a crescere molto; e che non si aggiungono ad altri interventi infrastrutturali, ma che in larga misura li stanno sostituendo. Il suo finanziamento sta già drenando ampiamente le risorse disponibili per interventi trasportistici, e in genere per investimenti pubblici, nelle due regioni. Potrebbe farlo a lungo. Quindi la vera domanda non è sì o no al Ponte. È: quale è il modo più opportuno di spendere 15 miliardi a vantaggio della Sicilia, della Calabria, e quindi dell’intero Paese?

Una forte riduzione dei tempi di percorrenza, soprattutto ferroviari, fra le due regioni e poi verso Nord è certamente molto auspicabile. Poter salire su un Frecciarossa a Catania e scendere a Napoli avrebbe un significato economico e psicologico notevole. Ma puntando tutto e solo sul Ponte, tantissimi Siciliani e Calabresi resterebbero comunque isolati; impossibilitati, come sono ora, a raggiungere le stazioni delle città. I trasporti sono un sistema a rete: toccare solo un punto può non migliorare molto le cose.

I collegamenti interni alle due regioni resterebbero nella attuale, arcaica, situazione. Basta consultare il documentatissimo rapporto Pendolaria di Legambiente per una gran mole di fatti e dati. Uno per tutti: fra Caltagirone e Catania ci sono solo due treni al giorno, che impiegano circa due ore per percorrere gli scarsi 80 chilometri che le separano. Il Ponte avrebbe il paradossale effetto di rinviare molti miglioramenti a un futuro imprecisato. Inoltre, le distanze in termini di tempo, e quindi la fluidità degli spostamenti, fra le città di Messina e Reggio Calabria sarebbero marginalmente toccate: il Ponte non collegherebbe le due città ma il punto di minor distanza fra le due coste, che è relativamente lontano dall’una e dall’altra.

Benissimo i treni a lunga distanza: ma la geografia resta un vincolo. In base alle migliori proiezioni ci vorrebbero comunque 7 ore da Palermo a Roma; tutta la fascia adriatico-jonica resterebbe irraggiungibile; al Nord non si potrebbe che continuare ad andare in aereo. Per il trasporto merci con l’Europa, poi, è il mare molto più che la strada a rappresentare la migliore opzione. Per di più, la realizzazione di un’opera non garantisce affatto sul servizio disponibile: quanti treni in più, con quale frequenza e quali standard qualitativi partirebbero da Catania solo perché potrebbero passare sul Ponte? E questo, quando?

Domande senza risposta. L’attraversamento dello Stretto può essere assai migliorato (si veda il Rapporto del 2021 della Struttura Tecnica di Missione del ministero), con costi e tempi infinitamente minori rispetto alla grande opera. Attraversare lo Stretto in treno non implica necessariamente smontare i convogli ferroviari vagone dopo vagone, traghettarli, e poi rimontarli. La tecnologia può aiutare, e molto: a ridurre i tempi morti; a integrare meglio ferro e mare con strutture di interscambio; attraverso nuovi mezzi marittimi.

Alcune grandi opere servono, specie al Sud. Non sempre, non tutte. Insieme ad alcuni grandi interventi sono soprattutto indispensabili efficienti sistemi di opere anche minori, disegnati con intelligenza e ben funzionanti nel produrre in tempi ragionevoli servizi per cittadini e imprese: come per il trasporto pubblico in Calabria e in Sicilia. Inoltre, le risorse per gli investimenti, così come per i servizi pubblici, potrebbero tornare ad essere scarse con la nuova austerità. Tutti elementi che dovrebbero imporre una discussione collettiva aperta, serrata, informando e coinvolgendo i cittadini, su come utilizzare al meglio ciò che abbiamo, sulle scelte migliori per il futuro.

Da questo punto di vista il percorso verso il Ponte sullo Stretto è l’esatto contrario: la retorica degli annunci roboanti, l’inganno della soluzione facile, la ricerca del consenso immediato, l’ombra del grande intervento che oscura le difficoltà quotidiane di milioni di persone, l’opacità dei processi, gli interessi nascosti. Destinare con queste modalità colossali risorse al suo avvio è l’immagine non di un futuro, ma del difficilissimo presente del nostro Paese.

Una grande questione, che richiede una diversa soluzione. Forse, allora, Schlein e Conte potrebbero pensare di trasferirsi con i loro gruppi parlamentari per un weekend in Sicilia e in Calabria. Per tenere cento e cento assemblee nelle città. Per raccontare come loro utilizzerebbero quelle risorse, per discuterne con i cittadini, per raccogliere suggerimenti, per dar forma e rendere chiara un’offerta politica alternativa, a partire da un esempio molto concreto.

da “il Fatto Quotidiano”

Al Ponte di Salvini altri 1,5 miliardi tolti ai trasporti.-di Roberto Ciccarelli

Al Ponte di Salvini altri 1,5 miliardi tolti ai trasporti.-di Roberto Ciccarelli

Finanziare il Ponte di Messina e togliere le risorse per completare i lavori sui nodi ferroviari di Reggio Calabria, Catania e Palermo. Soddisfare le velleità e gli interessi che fanno a capo al vicepremier leghista e ministro dei trasporti e non completare le opere la cui mancanza rende faticosa la vita di chi aspetta la velocizzazione della linea tra Catania e Siracusa o il «potenziamento» della linea Sibari-Catanzaro Lido-Lamezia Terme.

Non è un paradosso, è un progetto voluto dal governo Meloni e in particolare dal vicepremier leghista Matteo Salvini. Una volta di più è diventato chiaro quando è passato l’emendamento della Lega alla legge di bilancio che sarà votata venerdì dalla Camera e votata definitivamente dal Senato il 28 o il 29 dicembre. Lungamente annunciato e infine approvato l’altra notte nella commissione Bilancio della Camera, l’emendamento che porta la prima firma del capogruppo leghista Riccardo Molinari aumenterà le risorse per il Ponte sullo Stretto di 1,3 miliardi di euro prendendo le risorse dai Fondi per lo sviluppo e la coesione. Quest’ultimo è stato rifinanziato dalla manovra con 3,88 miliardi, ma quasi la metà di questi soldi sono stati destinati alla mega-opera dedicata al culto di Salvini e al festante codazzo degli interessi che rappresenta.

L’emendamento approvato cambierà sensibilmente la distribuzione dei costi: quelli a carico dello Stato scendono a 6.962 miliardi mentre balzano a 4.600 miliardi i costi sui fondi di coesione delle amministrazioni centrali. Resta il fatto che i fondi di coesione (1,6 miliardi) che avrebbero dovuto essere usati dalle regioni Calabria (1,3 miliardi) e Sicilia (300 milioni) per avere infrastrutture minimamente efficienti sono stati dirottati per costruire un’opera megalomane.

A chi ieri gli ha chiesto dell’aumento delle risorse in più per il Ponte l’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini (il Consorzio che farà il Ponte) ha liquidato la faccenda sostenendo «Sono questioni tecniche legate a come il governo stanzia i soldi. Credo siano sistemazioni di ragioneria e non c’è nessuna modifica rispetto a quelli che erano i numeri precedenti, per quanto ne sappia. Chiedete al vicepresidente Salvini se il Ponte si farà. Noi siamo soldati, eseguiamo gli ordini».

Nello stesso emendamento leghista c’è un miliardo in più alla Tav Torino-Lione, più un altro a Ferrovie per le opere del Pnrr. «E neanche un centesimo per le due linee metropolitane di Torino» hanno commentato i parlamentari e i consiglieri regionali piemontesi dei Cinque Stelle.

Per Legambiente il progetto del Ponte sullo Stretto «continua a drenare ingentissime risorse pubbliche». In valori assoluti «i finanziamenti nazionali per il trasporto su ferro e su gomma sono diminuiti da circa 6,2 miliardi del 2009 a 5,2 miliardi nel 2024, ben al di sotto delle necessità e pari a un -36% se si considera l’inflazione degli ultimi 15 anni».

«Come mai per quello i soldi si trovano, mentre per pensioni, sanità, trasporto pubblico non si trovano e anzi i fondi sono stati tagliati? Si vergognino» ha detto Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra. «Il Fondo di sviluppo e coesione dovrebbe essere usato per le infrastrutture davvero urgenti per il Sud, ma viene usato come un bancomat qualunque – ha osservato Pietro Lorefice (M5S) – Ricordo che altre risorse erano state drenate dall’ex “superministro” Fitto per tappare i buchi da lui stesso aperti nel Pnrr, con un taglio di interventi che ha fatto male a paese».

Il Ponte di Messina «è un’opera perfettamente inutile, imposta per la vanagloria politica di Salvini – ha detto Pasquale Tridico (Cinque Stelle) – per mantenere equilibri fragili all’interno del governo Meloni, che considera il Mezzogiorno un mero serbatoio di voti».

Sul Ponte c’è stata una polemica a un question time alla Camera, tra il ministro Gilberto Pichetto Fratin e Bonelli (Avs). Il primo si è difeso dalle critiche di avere fatto «nomine politiche» nella commissione per la Valutazione di Impatto Ambientale «che è indipendente». Per Bonelli ha «detto il falso» ed è «commissariato da Salvini. State utilizzando i fondi pubblici per foraggiare imprese che non hanno il progetto tecnico validato da nessun organismo dello Stato».

da “il Manifesto” del 17 dicembre 2024

Lettera-appello contro la legge Salva-Milano.

Lettera-appello contro la legge Salva-Milano.

Il Senato sta discutendo, dopo l’approvazione alla Camera dello scorso 21 novembre, la proposta di legge numero 1987, ora 1309. È stata chiamata “Salva-Milano” ed è la risposta politica alle indagini giudiziarie sull’urbanistica milanese.

Nata come un condono per sanare le irregolarità del passato, è stata trasformata in provvedimento “di interpretazione autentica” che, se approvato definitivamente, imporrà come legge in tutta Italia e per sempre la pratica dell’urbanistica seguita a Milano, abrogando le disposizioni che impongono la pianificazione attuativa delle città, a garanzia dei servizi dovuti a tutti i cittadini.

Questa proposta di legge cambierà radicalmente il futuro delle nostre città, rendendole sempre più congestionate ed elitarie. Toglierà ai Consigli comunali il potere di controllare che i costruttori e i fondi immobiliari facciano l’interesse pubblico, e cioè realizzino, insieme ai nuovi palazzi, anche i servizi per la città, edilizia sociale, parcheggi, marciapiedi, piste ciclabili, parchi, scuole, biblioteche eccetera.

Lo spazio urbano potrà essere occupato da edifici senza un disegno unitario, senza un piano, senza una visione di città, se non quella degli operatori e dei fondi immobiliari. Verrà inoltre ampliata a dismisura la categoria della ristrutturazione edilizia, nella quale rientreranno anche le nuove costruzioni senza alcun rapporto con quanto demolito, riducendo così di molto le disponibilità finanziarie dei Comuni per la realizzazione della parte pubblica delle città.

Non è vero che la “rigenerazione urbana” si possa fare senza piano e con oneri ridotti nelle aree già urbanizzate, perché queste sono già infrastrutturate e ricche di servizi: tutti i cittadini sanno quanto verde, quanti parcheggi, quanta edilizia sociale e quanti servizi manchino proprio lì dove la città già esiste, eppure si intende densificarla, aumentando i carichi urbanistici.

Se approvata, questa legge impedirà di promuovere politiche di vera “rigenerazione” e riqualificazione delle nostre città e delle periferie, ridurrà verde e servizi, innescherà dinamiche finanziarie che aumenteranno i prezzi dell’abitare e accresceranno le disuguaglianze nelle città.

Rileviamo in questa legge forti profili di incostituzionalità. Non è infatti una misura “di interpretazione autentica”, perché questa è possibile soltanto quando la legislazione su cui interviene sia davvero contraddittoria e di difficile interpretazione, mentre sono chiarissimi i principi fondamentali della legislazione statale, più volte confermati da pronunce della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte costituzionale. Questa è invece una riscrittura delle norme urbanistiche, con una evidente intromissione del potere legislativo volta a vanificare le inchieste giudiziarie in corso.

Per questi motivi, noi professori appartenenti alla Accademia italiana, urbanisti, giuristi, economisti, storici, sociologi, ecologi, territorialisti e geografici appelliamo ai Senatori della Repubblica affinché non approvino la proposta di legge numero 1309.

Antonella Abbà, Politecnico di Milano
Ilaria Agostini, Università di Bologna
Vittorio Angiolini, Università degli studi di Milano
Mariella Annese, Politecnico di Bari
Arianna Azzellino, Politecnico di Milano
Valeria Bacchelli, Politecnico di Milano
Angela Barbanente, Politecnico di Bari
Filippo Barbera, Università di Torino
Marco Belan, Politecnico di Milano
Gianluca Bellomo, Università di Chieti
Luca Beltrami Gadola, direttore Arcipelago Milano
Auretta Benedetti, Università di Milano Bicocca
Paolo Berdini, Università di Roma Tor Vergata
Roberto Bin, Università di Ferrara
Ivan Blecic, Università di Cagliari
Nando Boero, Università di Napoli
Marco Bombardelli, Università di Trento
Paola Bonora, Università di Bologna
Sergio Brenna, Politecnico di Milano
Paola Briata, Politecnico di Milano
Grazia Brunetta, Politecnico di Torino
Luigino Bruni, Università Lumsa di Roma
Alberto Budoni, Università La Sapienza di Roma
Emma Buondonno, Università Federico II di Napoli
Maria Agostina Cabiddu, Politecnico di Milano
Debora Caldirola, Università cattolica di Milano
Francesca Cangelli, Università di Foggia
Roberto Canziani, Politecnico di Milano
Marina Caporale, Università di Bologna
Enrico Carloni, Università di Perugia
Claudia Cassatella, Politecnico di Torino
Andrea Castoldi, Politecnico di Milano
Alessandra Casu, Università degli studi di Sassari
Arianna Catenacci, Politecnico di Milano
Piero Cavalcoli, Università di Bologna
Arnaldo Bibo Cecchini, Università di Sassari
Filippo Celata, Università La Sapienza di Roma
Carlo Cellamare, Università La Sapienza di Roma
Floriana Cerniglia, Università cattolica di Milano
Claudio Cerreti, presidente della Società Geografica Italiana
Vincenzo Cerulli Irelli, Università La Sapienza di Roma
Pier Luigi Cervellati, Università Iuav di Venezia
Lorenzo Chieffi, Università della Campania
Paola Chirulli, Università La Sapienza di Roma
Giuseppe Cinà, Politecnico di Milano
Stefano Civitarese Matteucci, Università di Chieti
Guido Clemente di San Luca, Università della Campania
Giovanna Colombini, Università di Pisa
Grazia Concilio, Politecnico di Milano
Giancarlo Consonni, Politecnico di Milano
Pierre-Alain Croset, Politecnico di Milano
Alessandro Dama, Politecnico di Milano
Giovanni D’Angelo, Università cattolica di Milano
Melania D’Angelosante, Università di Pescara
Luciano De Bonis, Università del Molise
Marcello De Carli, Politecnico di Milano
Marzia De Donno, Università di Ferrara
Claudio De Fiores, Università della Campania
Gabriella De Giorgi, Università del Salento
Michele Della Morte, Università del Molise
Vezio De Lucia, Università La Sapienza di Roma
Ambrogio De Siano, Università della Campania
Valentina Dessì, Politecnico di Milano
Daniele Donati, Università di Bologna
Marco Dugato, Università di Bologna
Leonardo Ferrara, Università di Firenze
Daniel A. Finch-Race, Università di Bologna
Antonio Finizio, Università di Milano Bicocca
Carlotta Fontana, Politecnico di Milano
Edoardo Fragale, Università di Trieste
Gianfranco Franz, Università di Ferrara
Adriana Galderisi, Università della Campania
Piero Garau, Università La Sapienza di Roma
Gianluca Gardini, Università di Ferrara
Maria Cristina Gibelli, Politecnico di Milano
Fabio Giglioni, Università La Sapienza di Roma
Carla Giovannini, Università di Bologna
Francesca Governa, Politecnico di Torino
Elena Granata, Politecnico di Milano
Nicola Grasso, Università del Salento
Federico Gualandi, Università Iuav di Venezia
Giovanna Iacovone, Università della Basilicata
Maria Immordino, Università di Palermo
Arturo Lanzani, Politecnico di Milano
Francesca Leder, Università di Ferrara
Stefano Levi della Torre, Politecnico di Milano
Antonio Longo, Politecnico di Milano
Alberto Lucarelli, Università di Napoli
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale
Stefano Mambretti, Politecnico di Milano
Vanessa Manzetti, Università di Pisa
Anna Marson, Università Iuav di Venezia
Federico Martelloni, Università di Bologna
Scira Menoni, Politecnico di Milano
Livia Mercati, Università di Perugia
Francesco Merloni, Università di Perugia
Annalisa Metta, Università degli studi Roma Tre
Stefano Micheletti, Politecnico di Milano
Tomaso Montanari, Università per stranieri di Siena
Mario Angelo Neve, Università di Bologna
Lucia Nucci, Università degli studi Roma Tre
Francesca Nugnes, Università di Pisa
Francesco Pallante, Università di Torino
Rita Paris, direttore Parco Archeologico dell’Appia Antica
Marco Peverini, Politecnico di Milano
Paolo Pileri, Politecnico di Milano
Alessandra Pioggia, Università di Perugia
Pierluigi Portaluri, Università del Salento
Matteo Proto, Università di Bologna
Lucia Rigamonti, Politecnico di Milano
Leonardo Rignanese, Politecnico di Bari
Luisa Rossi, Università degli studi di Parma
Ugo Rossi, Gran Sasso Science Institute de L’Aquila
Renzo Rosso, Politecnico di Milano
Antonio Ruggeri, Università di Messina
Maria Alessandra Sandulli, Università degli studi Roma Tre
Enzo Scandurra, Università La Sapienza di Roma
Renata Semenza, Università degli Studi di Milano
Salvatore Settis, Accademico dei Lincei
Alberto Tagliaferri, Politecnico di Milano
Giulio Tamburini, Università de L’Aquila
Alberto Tarozzi, Università del Molise
Graziella Tonon, Politecnico di Milano
Gabriele Torelli, Università Iuav di Venezia
Lucia Tozzi, ricercatrice
Aldo Travi, Università cattolica di Milano
Paolo Carlo Maria Tremolada, Università degli studi di Milano
Cristina Treu, Politecnico di Milano
Pasquale Tridico, Università degli studi Roma Tre
Paolo Urbani, Università La Sapienza di Roma
Riccardo Ursi, Università di Palermo
Alberto Vanolo, Università di Torino
Massimo Venturi Feriolo, Politecnico di Milano
Gianfranco Viesti, Università di Bari
Stefano Villamena, Università di Macerata
Massimo Villone, Università Federico II di Napoli
Ignazio Vinci, Università di Palermo
Carmen Vitale, Università di Macerata
Daniele Vitale, Politecnico di Milano
Federico Zanfi, Politecnico di Milano
Iacopo Zetti, Università degli studi di Firenze
Alberto Ziparo, Università degli studi di Firenz

Città unica, una memorabile vittoria dei cittadini.-di Battista Sangineto

Città unica, una memorabile vittoria dei cittadini.-di Battista Sangineto

Una vittoria memorabile dei cittadini e una sconfitta storica per la classe dirigente di questa regione. È questo lo straordinario, letteralmente fuori dall’ordinario, risultato del referendum sull’unificazione di Cosenza, Rende e Castrolibero. L’unificazione promossa e sostenuta con entusiasmo da tutti i partiti, da Sinistra Italiana a Fratelli d’Italia, dagli imprenditori, dagli speculatori edilizi e, persino, da una parte dei sindacati è stata rigettata dai cittadini delle tre città.

Quei cittadini, alcuni dei quali riunitisi in Comitati spontanei, hanno respinto con forza, più del 58 % di NO, questa arrogante e, nei contenuti, irricevibile proposta di unificazione. A Cosenza, in particolare, due Comitati spontanei e autofinanziati –‘NO alla Fusione’ e ‘NO alla fusione. Per una Città Policentrica’, composti da non più di una quindicina di persone in tutto- sono stati capaci di persuadere il 30% dei votanti della città capoluogo a votare NO.

Quasi il 60% dei cittadini ha rifiutato questa proposta soprattutto perché l’unificazione aveva come unica ragione, falsamente di buon senso comune, che, essendo i territori comunali confinanti, la città unica esisteva già nelle cose e nella percezione delle persone.
Ogni città, invece, è fatta di molte cose, alcune materiali ed altre immateriali; una città è fatta di un patrimonio culturale “interno”, la memoria culturale, e di uno “esterno”, i monumenti, le piazze, le strade, i giardini, i palazzi, i viali alberati, i beni culturali.

Le città e i paesi italiani sono diversi gli uni dagli altri perché hanno forme, avvenimenti storici e sociali, stili e materiali architettonici e paesaggi nei quali si incastonano, molto differenti fra loro (Settis). Cosenza, Rende e Castrolibero avevano ed hanno forme e storie diverse che non sono omologabili, così come non sono omologabili neanche i loro cittadini che, infatti, hanno nettamente rifiutato l’unificazione.

I ‘leader’ dei partiti che hanno promosso questa unificazione vanno dicendo, ora, che è stato solo il metodo -senza dubbio impositivo e arrogante- che ha spinto i cittadini a votare contro, ma lo fanno solo per nascondere l’intimo rifiuto che, invece, i loro stessi elettori hanno avuto a conformarsi al pensiero unico della presunta ‘convenienza ed attrattività’ economica e della falsa modernità incarnata dalla grandezza che si otterrebbe con un unico Comune. Dicono queste cose perché fanno finta di non capire che i cittadini hanno bocciato, per sempre, l’unificazione più che il metodo.

Questa, invece, è stata una vittoria sul luogo comune che vorrebbe che il successo di una città sia misurato dalla sua Bigness (Koolhass) e dalla sua capacità di competere con altre città di egual dimensione. Una vittoria di coloro che pensano che il successo di una città dipenda, invece, dalla sua capacità di distribuire equamente al proprio interno beni e servizi che possano garantire la vita civile del più gran numero possibile dei suoi cittadini.

Un’unificazione che è stata bocciata dai cittadini perché avrebbe definitivamente condannato i territori delle loro città ad essere soltanto suolo da ridurre a merce, preda degli speculatori che, dopo aver cementificato quasi del tutto Cosenza, vogliono espandere la metastasi cementizia verso le colline più appetibili di Castrolibero e, soprattutto, verso la pianura di Rende.

Il Sindaco di Cosenza potrebbe cogliere l’occasione per provare, come indicatogli dal voto dei cittadini, a liberare il territorio del suo Comune dal giogo avvilente della speculazione edilizia e rivedere dalle fondamenta il Piano Strutturale Comunale –adottato, ma non approvato dall’allora sindaco Occhiuto- per farlo diventare strumento di progresso urbanistico, civile e sociale invece che approvarlo, ‘sic et simpliciter’, producendo solo mero sviluppo cementizio.

Mi permetto, sommessamente, di suggerire ai Commissari di Rende di non approvare il PSC della città che è l’atto più importante -dal punto di vista non solo urbanistico, ma anche economico, sociale e culturale- di qualunque Amministrazione comunale, ma di lasciarlo alla discussione e all’approvazione democratica del prossimo Consiglio comunale e del Sindaco che i cittadini vorranno eleggere, speriamo al più presto possibile.

Si potrebbe, ora, provare ad aprire, come suggerisce Sandro Principe, una fase di concertazione tra i Sindaci di Cosenza, Castrolibero ed i Comitati del NO per elaborare uno Statuto per l’Unione dei tre Comuni che è l’unico strumento idoneo per imboccare la strada indicata con chiarezza dal voto dei cittadini.

da “il Quotidiano del Sud” del 5 dicembre 2024

Lettera aperta al ministro Giuli sul Museo Alarico

Lettera aperta al ministro Giuli sul Museo Alarico

I sottoscritti ritengono che l’attuale Amministrazione comunale di Cosenza commetta un grave errore nel continuare l’opera dell’ex Sindaco Occhiuto dicendo di voler “imprimere un’accelerazione”, come affermato dall’attuale Sindaco Franz Caruso, alla ripresa dei lavori di costruzione del Museo Alarico già fermata nel novembre 2018 da un provvedimento dell’allora Direzione generale del Mibac che revocava, in autotutela, il permesso paesaggistico concesso, all’epoca, dal Soprintendente ABAP di Cosenza, Mario Pagano.

I sottoscritti chiedono che il MiC per mezzo dei suoi organi centrali, Direzione generale, e periferici, Soprintendenza Abap di Cosenza, impedisca la costruzione di un qualsivoglia manufatto- che, del resto, sarebbe del tutto privo di reperti attribuibili ad Alarico o ai Goti- ai piedi del Centro storico della città di Cosenza che ha già un vincolo diretto e un vincolo paesaggistico sin dal 1969.

Un qualunque edificio costruito in quel luogo con forme, tecniche e materiali moderni sarebbe del tutto fuori contesto rispetto al tessuto architettonico e urbanistico della città antica. Auspichiamo che al posto dell’ormai abbattuto ex Hotel Jolly venga allestito, invece, un giardino pubblico alberato, un luogo destinato alla visione paesaggistica della confluenza dei due fiumi, come è stato già dagli anni ’20 del XX secolo (in foto).

I sottoscritti si chiedono, ancora una volta, cosa spinga anche questa Amministrazione comunale, a voler costruire un Museo -in totale assenza della più piccola testimonianza materiale alariciana e per un costo fra i 7 e i 10 milioni di euro- intitolato ad un violento aggressore che – dopo aver saccheggiato Roma e tutta la penisola nel 410 d.C., secondo un racconto poco attendibile del solo Iordanes, l’apologeta dei Goti vissuto 150 anni dopo i fatti- muore, per caso, nei pressi di Cosenza.

Dal racconto di Iordanes, se pure fosse verificato, si deduce che, a causa dell’accidentale morte del re nei pressi di “Consentia”, centinaia di antichi cosentini furono costretti dai Goti prima a deviare il fiume e, poi, a seppellire Alarico con il bottino frutto del saccheggio di Roma e di tutta l’Italia meridionale. Per evitare di lasciare testimoni ed eventuali, futuri cercatori di tesori, i Goti assassinarono tutti i prigionieri cosentini che avevano partecipato alla sepoltura. Perché, dunque, celebrare Alarico e i Goti che avrebbero trucidato, milleseicento anni or sono, centinaia di progenitori dei cosentini?

I sottoscritti ritengono che l’intitolazione di un museo ad un personaggio storiograficamente controverso e il seduttivo vagheggiamento del ritrovamento di una sepoltura leggendaria, della quale non è stato rinvenuto neanche il più piccolo frammento, siano elementi che concorrono attivamente all’offuscamento della coscienza collettiva e della conoscenza della Storia che conduce all’estrema e perversa conseguenza di una pericolosa ed infondata invenzione identitaria.

I sottoscritti ritengono che la costruzione di un Museo Alarico, che non potrebbe contenere nulla che sia materialmente riconducibile ad Alarico o ai Goti, sia non solo storicamente sbagliata e socio-antropologicamente manipolatoria, ma anche umiliante per una città -dal IV sec. a.C. capitale dei Brettii e, poi, importante municipium romano- ed una popolazione che, nel corso dei secoli, hanno saputo esprimere ben altre, e più alte, personalità: Aulo Giano Parrasio, Bernardino Telesio, Sertorio Quattromani, Valentino Gentile, Francesco Saverio Salfi, Giovan Battista Amico, Alfonso Rendano, Pasquale Rossi et cetera.

I sottoscritti sono convinti che solo il restauro complessivo e capillare -che deve necessariamente comprendere gli edifici privati e non, come l’attuale Amministrazione comunale sta facendo, solo gli edifici di proprietà pubblica- della Cosenza storica potrebbe mettere in moto un meccanismo virtuoso nel quale la “redditività” del patrimonio culturale cosentino e calabrese non risiederebbe solo nella sua commercializzazione e nel turismo che esso potrebbe produrre, ma in quel profondo ed indispensabile senso di appartenenza e di cittadinanza ispirato dalla propria Storia e dai valori simbolici ad essa collegati.

I sottoscritti chiedono, dunque, al competente Ministro, Alessandro Giuli, di usare gli strumenti a sua disposizione -amministrativi, di governo e anche di impulso legislativo- per impedire la costruzione del Museo di Alarico e auspicano, invece, il restauro degli edifici pubblici e privati del cadente Centro storico di Cosenza che permetterebbe di restituirlo ai cosentini, prima che un acquazzone un po’ più forte lo porti via.

Battista Sangineto, archeologo, Unical
Armando Taliano Grasso, archeologo, Unical
Salvatore Settis, archeologo, Accademia dei Lincei
Pier Giovanni Guzzo, archeologo, Accademia dei Lincei
Tomaso Montanari, storico dell’arte, Rettore Univ. Stranieri Siena
Vito Teti, antropologo e scrittore, Unical
Paolo Liverani, archeologo, Università di Firenze
Lucia Faedo, archeologa, Univ. di Pisa
Franco Cambi, archeologo, Univ. di Siena
Alessandra Anselmi, storica dell’arte, Univ. di Bologna
Alberto Ziparo, urbanista, Univ. di Firenze
Roberto Budini Gattai, urbanista, Univ. di Firenze
Tonino Perna, economista, Univ. di Messina
Francesco Raniolo, politologo, Unical
Mariafrancesca D’Agostino, sociologa, Unical
John Trumper, linguista, Unical
Marta Maddalon, linguista, Unical
Enzo Scandurra, urbanista, Univ. La Sapienza Roma
Donatella Loprieno, costituzionalista, Unical
Maria Teresa Iannelli, archeologa, già funzionario Mibac
Maurizio Pistolesi, archeologo, Cosenza
Pino Ippolito Armino, storico
Annarosa Macrì, giornalista, Cosenza
Paolo Veltri, ingegnere idraulico, Unical
Alessandra Carelli, storica dell’arte, Cosenza
Mauro Minervino, antropologo, Accademia Belle Arti CZ
Teresa Liguori, Consigliere nazionale Italia Nostra
Maria Cristina Lattanzi, Consigliere nazionale Italia Nostra
Liliana Gissara, Consigliere nazionale Italia Nostra
Laura Comi, Consigliere nazionale Italia Nostra
Federazione provinciale Rifondazione Comunista Cosenza
USB, Federazione di Cosenza
Associazione La Base, Cosenza
Forum Ambientalista Calabria
Antonio Trimboli, ingegnere, Cosenza
Massimo Ciglio, dirigente scolastico, Cosenza
Ida Selene Broccolo Tommasi, operatrice culturale, Cosenza
Sergio Nucci, medico, Cosenza
Stefano Catanzariti, attivista civico, Cosenza
Sergio Aquino, imprenditore, Cosenza
Ercole Barile, imprenditore, Cosenza
Argia Morcavallo, architetto, Cosenza
Francesco Saccomanno, attivista politico, Cosenza
G. Pino Scaglione, architetto, Univ. di Trento
Monica Nardi, chimica, Università Magna Grecia
Francesco Gaudio, docente, Fermi-Brutium” Cosenza
Angelo Broccolo, medico, Corigliano
Vincenzo Reda, vicepreside Fermi Brutium Cosenza
Emilio Nigro, poeta, Cosenza
Luigi Gallo, docente, Cosenza
Valerio Formisani, medico, Cosenza
Antonio Curcio, bibliotecario, Cosenza
Maria Pia Funaro ingegnere ambientale, Cosenza
Rosanna Tedesco, docente, Liceo Classico Telesio
Giuseppe Bornino docente, Liceo Amantea
Antonio Romeo, docente, Liceo Classico Telesio
Simona Serra, docente, Liceo Fermi
Lisa Sorrentino, cittadina, Cosenza
Franca Garreffa, sociologa, Unical
Pino Scarpelli, cittadino, Cosenza
Maurizio Nuccio, avvocato Cosenza
Giusy Branda, docente ” Scorza” Cosenza
Francesco Cirillo, giornalista e scrittore
Andrea Bevacqua docente, IstC Cosenza
Pierluigi Grottola, docente Convitto Nazionale Telesio
Giorgio Marcello, sociologo, Unical
Eliodoro Loffreda, docente, Liceo Telesio
Giulia Fragale attivista, Cosenza
Francesco Morelli, cittadino, Cosenza
Maria Grazia Francesca Cavaliere, cittadina, Cosenza
Giuseppina Calvelli, cittadina, Cosenza
Patrizia Gallo, dottore commercialista, Cosenza
Sergio Crocco, Associazione Terra di Piero
Giuseppe Cirò, cittadino, Cosenza
Giovanni Sole, storico e antropologo, Unical
Ida Rende, sociologa, Cosenza
Loredana Bruselles, cittadina Cosenza
Massimo Sisca commerciante, Cosenza
Alessandro Iantorno cittadino, Cosenza
Paola Pietramala, matematico, Cosenza
Francesca Canino, giornalista, Cosenza
Eduardo Zumpano, storico, pres. Anppia Cosenza

Altro che fusione, meglio tre città piccole e a misura d’uomo.-di Battista Sangineto

Altro che fusione, meglio tre città piccole e a misura d’uomo.-di Battista Sangineto

Le città sono la rappresentazione materiale dei più importanti conflitti politici, sociali, culturali ed economici del nostro tempo e l’unificazione dell’area urbana di Cosenza è, in Calabria, quella più importante e gravida di significati e interessi politici, economici e sociali.

Da qualche decennio accade che sull’idea di città in troppi si esprimano in libertà tanto da far diventare luogo comune l’idea che la grandezza, la ‘Bigness’ delle città, e delle loro più o meno sterminate periferie-‘sprawl’, garantirebbe alla nostra società, in un mondo di città sempre più grandi e globalizzate, prosperità e benessere. Secondo questa ricetta neoliberista l’agglomerazione urbana farebbe della dimensione in quanto tale (attraverso le economie di scala e gli effetti di rete) un fattore che innescherebbe di per sé il successo delle grandi città.

La grandezza delle città avrebbe il vantaggio di trasformare la dimensione stessa in un motore di creatività attraverso la competitività di produttività, di successo e, dunque, di felicità. La ‘Bigness’ e l’urbanizzazione delle campagne circostanti alle città, invece, non è altro che uno dei tanti modi che il neoliberismo ha trovato per estrarre più ricchezza dalle città sempre più grandi trasformando lo spazio in merce e aumentando, per mano della speculazione edilizia, la diseguaglianza sociale ed economica (Settis 2017).

Per mettere le mani sulla città gli speculatori e la politica si affidano agli urbanisti e all’urbanistica che era nata, come disciplina autonoma, durante la rivoluzione industriale con la vocazione di correggere lo sviluppo industriale e i danni causati dal capitalismo. A partire dagli anni ’80 essa ha perduto, però, la sua originaria vocazione riformatrice per diventare, con le sue competenze giuridiche e tecniche, un potente strumento nelle mani dei governanti, amministratori pubblici, immobiliaristi e, persino, finanzieri, per manipolare e condizionare lo sviluppo delle città e il governo del territorio nella direzione della speculazione, dello sviluppo edilizio infinito e incontrollato (Scandurra 2024).

Un sviluppo incontrollato che, per esempio, a Cosenza si manifesta con le demolizioni/ricostruzioni nella porzione nobile della città otto-novecentesca in Via Rivocati, Corso Umberto, via Parisio, (come denunciato dal Coordinamento ‘Diritto alla città’), ma ora anche l’ecomostro di lusso alto più di 15 piani con ben 19.000 mq. di estensione che vorrebbero costruire lungo via Popilia, mentre a Catanzaro è, persino, più evidente perché si vogliono demolire, addirittura, l’ex Convento della Maddalena (XVI sec.) nonché il Convento della Stella (XVI-XVII sec.) e l’ex Convento di S. Agostino (XVI sec.) per ricostruirli, tutti, sotto forma di residenze per militari e per altre destinazioni d’uso (come denunciato da un appello di Italia Nostra).

La questione dello sviluppo infinito non riguarda solo gli specialisti di sviluppo urbano, di geografia economica, di architettura e urbanistica, ma deve riguardare la politica, soprattutto quella di sinistra, perché riguarda l’interesse generale dei cittadini. In un recente studio multidisciplinare pubblicato sul prestigioso “Cambridge Journal of Regions, Economy and Society”, alcuni studiosi europei sostengono che “il successo di una città non dovrebbe misurarsi dalla sua grandezza né dalla sua capacità di competere con altre città di egual dimensione, ma piuttosto dalla sua capacità di distribuire al proprio interno beni e servizi che possano garantire la vita civile del più gran numero possibile dei suoi cittadini” (Engelen, Johal, Salento, Williams 2017).

E se la principale caratteristica di una città bella e buona consiste, come credo fermamente, nella sua “capacità di distribuire al proprio interno beni e servizi”, bisogna avere, come già proposto da molti urbanisti e studiosi della città negli anni ’70, città più a misura d’uomo, rifacendosi, per esempio, al modello delle piccole e medie città storiche italiane (La Cecla 2015).

Non capisco, dunque, perché la sinistra politica– o quel che ne rimane a Cosenza, Rende e Castrolibero- non si opponga fermamente alla città unica che si presenta come un’annessione di Rende e Castrolibero alla città capoluogo, configurandosi come un’altra, inutile e ingovernabile, “nebulosa urbana” pensata per ridurre ancor di più lo spazio a merce.

Un’annessione, come quella che vorrebbe il presidente Occhiuto, che costringerebbe, peraltro, i cittadini di Rende e Castrolibero a pagare, oltre che per i propri, anche per gli enormi debiti fatti dalle Amministrazioni di Cosenza. Ci sono, per di più, almeno due fondamentali questioni che riguardano l’esercizio democratico dei diritti da parte dei cittadini: 1) il referendum non può essere né consultivo, né complessivo, ma deve essere ‘decisivo’ e valevole per ogni singolo comune i cui cittadini devono avere il diritto di manifestare, a maggioranza, la propria volontà di aderire o meno all’unificazione 2) il referendum ‘decisivo’ non può avvenire prima delle nuove elezioni comunali a Rende perché la condizione di una comunità politicamente acefala -per altri sei mesi, in tutto due lunghissimi anni- renderebbe l’espressione del voto dei suoi cittadini democraticamente più debole.

Per quel che riguarda il potere esercitato dai tre commissari insediatisi nella Casa comunale di Rende si deve lamentare un abbassamento della tensione democratica perché essi non hanno voluto, in nessun modo, tener conto delle molte, e differenti, istanze avanzate dai cittadini e dalle loro associazioni riguardo ad argomenti importanti quali: la radicale decimazione del verde pubblico, la complessiva riduzione dell’illuminazione delle strade, l’insostenibilità delle piste ciclabili sempre deserte, l’affidamento di beni pubblici come parchi, impianti sportivi o mercatali a privati a titolo gratuito o a prezzi risibili, il disturbo della quiete pubblica provocato da circhi con animali esotici e assordanti luna park nel pieno centro della città, nonché la musica ad altissimo volume proveniente da locali e da sedicenti feste durante 3 settimane in un parco pubblico, addirittura patrocinate dai commissari medesimi, la mancata disinfestazione cittadina mentre si diffonde, in provincia di Cosenza, il contagio del virus West Nile, trasmesso dalle zanzare.

Non sarebbe meglio, forse, continuare ad avere, nell’area urbana cosentina, tre città, due medio-piccole ed una piccola, per poter governare meglio ambiti territoriali a misura d’uomo e a misura delle limitate capacità di governo dimostrate (se si escludono poche lodevoli eccezioni) dalle Amministrazioni comunali? Non sarebbe, forse, meglio avere tre piccole città che facciano insieme scelte e infrastrutture urbanistiche ed abbiano, questo sì, i servizi essenziali unificati: trasporti, spazzatura, mense e viabilità?

Un’opposizione di merito, la mia, dunque e non, come giustamente lamenta il mio amico Enzo Paolini riguardo a quasi tutte quelle fin qui avanzate, di bassa cucina da ‘politique politicienne’.

Il modello al quale bisognerebbe ispirarsi è proprio quello della piccola e media città storica italiana, quella nella quale si va a piedi, si può andare in bicicletta in un reticolo urbano denso e pluristratificato dal punto di vista funzionale, sociale ed economico, con una corposa densità abitativa ed una armoniosa compattezza architettonica che permette tragitti brevi ed elevata funzionalità sociale.

Un modello che non è solo architettonico e urbanistico, ma che rappresenta anche l’unica possibilità di restituire a tutti il ‘diritto alla città’ perché per i cittadini la priorità non è che la loro città diventi più competitiva e più di successo di altre, ma che sia un luogo nel quale la vita quotidiana sia più gradevole e più equa per coloro che vi abitano.

da “il Quotidiano del Sud” del 3 ottobre 2024

Foto di ZENON JUSZKIEWICZ da Pixabay

Eolico. Siamo Sindaci o burattini? Si leva la voce dei primi cittadini italiani per una transizione energetica ecologica e democratica

Eolico. Siamo Sindaci o burattini? Si leva la voce dei primi cittadini italiani per una transizione energetica ecologica e democratica

Nel contesto autoritario nazionale e internazionale che si è creato i movimenti finanziari globali ( la cosiddetta “ volontà dei mercati “) determinano le decisioni dei governi e le leggi dei parlamenti. La transizione energetica si è avviata in Italia impedendo alle comunità locali da noi rappresentate di incidere sull’ubicazione degli impianti per la produzione di energia rinnovabile e su altri aspetti connessi, in grado di pregiudicare i già fragili equilibri dell’ambiente di insediamento delle nostre popolazioni.

La nostra osservazione comune è che ci troviamo nello stesso tempo di fronte a un sintomo e a una causa di aggravamento della crisi del sistema democratico. Per scongiurare la sindrome nimby, da tanti commentatori evocata e demonizzata quando danno conto delle diffuse proteste territoriali, la transizione energetica deve essere giusta, incardinata dentro percorsi politici e democratici e non può essere attuata in palese violazione del dettato costituzionale.

Grazie al rinnovato articolo 9 della Carta fondamentale, del patto fondativo che dal 1948 unisce gli italiani, la Repubblica tutela il paesaggio, gli ecosistemi e la biodiversità anche nell’interesse delle future generazioni. Nessun principio costituzionale può essere sacrificato per realizzarne un altro o, men che meno, per perseguire un contingente” prioritario interesse nazionale”: i singoli valori espressi e tutelati dalle disposizioni della Costituzione sono tutti assoluti e dello stesso rango, all’interno di un impianto complessivo orientato a promuovere la dignità della persona umana nel suo contesto ecologico e sociale.

Le leggi vigenti in materia energetica invece puntano a massimizzare i guadagni di un settore economico privato a scapito tra l’altro dei soldi versati al fisco dai cittadini. Noi sindaci chiediamo, interpretando la volontà del tessuto sociale dei luoghi da noi amministrati, che la produzione e la distribuzione dell’energia ridiventino un servizio pubblico essenziale: solo così la produzione energetica da fonti rinnovabili non sarà più insostenibile e non aggredirà il patrio suolo (con la sua funzione di fondamentale regolatore climatico), gli ecosistemi , la biodiversità e il paesaggio.

Solo enti pubblici collettivi, rappresentando l’interesse generale, potranno dedicarsi all’indispensabile passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili con interventi finalizzati alla riduzione degli sprechi energetici e all’utilizzazione in via primaria di suoli già consumati in tutta la nazione per l’ubicazione degli impianti (9000 chilometri quadrati secondo l’ ISPRA, una superficie grande quanto l’Umbria occupata da infrastrutture dismesse, capannoni agricoli e industriali, cave e miniere in disuso etc. , grazie alla quale si potrebbero abbondantemente superare gli 80 GigaWatt da raggiungere entro il 2030 ) .

I territori sono prima di tutto gli ambienti vitali di chi li abita, e non possono trasformarsi in zone di sacrificio assegnate alla monocultura energetica: devono essere vissuti dagli allevatori, dagli agricoltori, dagli apicoltori, da chi costruisce giorno per giorno un rapporto spirituale ed emotivo con il paesaggio, dagli operatori turistici, dai pescatori, insomma da tutte le categorie che noi rappresentiamo.

La crisi ecologica deve essere un’occasione per passare a una fase più avanzata della civiltà umana, per uscire tutti insieme da un dramma con un cambiamento di rotta, non un’ulteriore opportunità di guadagno per pochi nel solco già tracciato da un’economia anti ecologica, votata alla distruzione della vita e della bellezza del mondo.

Giulio Santopolo, sindaco di Petrizzi ( Catanzaro) ;
Michele Conía, sindaco di Cinquefrondi ( Reggio Calabria) e consigliere della Città
Metropolitana di Reggio Calabria ;
Giuseppe Cusato, sindaco di Agnana Calabra ( Reggio Calabria) ;
Luca Alessandro, sindaco di Polìa ( Vibo Valentia) ;
Domenico Stranieri, sindaco di Sant’Agata del Bianco (Reggio Calabria) ;
Angelo D’Angelis, sindaco di Serrata (Reggio Calabria) ;
Maurizio Onnis , sindaco di Villanovaforru (Sud Sardegna) ;
Mario Gentile, sindaco di Stalettì (Catanzaro) ;
DoNicolaenico Penna, sindaco di Roccaforte del Greco (Reggio Calabria) ;
Michele Tripodi, sindaco di Polistena (Reggio Calabria) ;
Giacomo Lombardo, sindaco di Ostana (Cuneo ) ;
Giuseppe Alfarano, sindaco di Camini (Reggio Calabria) ;
Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano ( Milano ) e consigliere
Metropolitano della città di Milano ;
Daniela Arfuso , sindaco di Cardeto (Reggio Calabria)
Luca Lepore, sindaco di Aiello ( Cosenza )
Nicola Fiorita, sindaco di Catanzaro
Antonio Lampasi, sindaco di Monterosso Calabro (Vibo Valentia)
Rossana Tassone. Sindaco di Brognaturo ( Vibo Valentia)
Danilo Staglianó , sindaco di Cardinale ( Catanzaro )
Alfredo Barillari, sindaco di Serra San Bruno ( Vibo Valentia)
Mimmo Donato, sindaco di Chiaravalle centrale ( Catanzaro )
Raffaella Perri, sindaco di Decollatura ( Catanzaro)