Mese: agosto 2021

L’occasione che i calabresi non possono perdere.-di Piero Bevilacqua

L’occasione che i calabresi non possono perdere.-di Piero Bevilacqua

Grande è la confusione sotto il cielo della Calabria a poco più di un mese dalle elezioni regionali.Molti i gruppi in campo, molti i nomi, che affondano e riemergono, pochissime idee programmatiche, nessun progetto visibile.Tranne l’eccezione De Magistris. Eppure, se si possiede un po’ di prospettiva storica, se si conoscono le vicende politiche nazionali degli ultimi anni, se si esaminano le scelte politiche dei partiti, la nebbia presente si dirada, la confusione svanisce, alcuni aspetti della battaglia elettorale in corso diventano semplici, perfino banali.

Almeno due verità inoppugnabili vanno dette oggi ai calabresi, che si trovano davanti alla possibilità di cambiare il proprio destino o di assistere all’ennesima, avvilente replica di una vecchia storia: il ritorno della regione in mano a gruppi di potere che amministrano clientele e non promuovono alcun progetto di trasformazione profonda della Calabria.

La verità più nota è che, soprattutto nella nostra regione, tanto le formazioni della destra, quanto il Partito democratico non sono più partiti, ma aggregati di potere, gruppi clientelari portatori di pacchetti di voti, la cui azione di governo si traduce, di legislatura in legislatura, nella continua mediazione per soddisfare le richieste eterogenee e particolari di tali raggruppamenti. Con i risultati, sulle condizioni della regione, storicamente constatabili da tutti.

La seconda verità, meno nota, è che tanto la destra nazionale, in primo luogo la Lega, quanto il PD, hanno accettato le lettura che dell’intero Mezzogiorno fa da tempo la borgesia industriale del Nord, la sua stampa di riferimento ( La Repubblica, Il Corriere, La Stampa), gruppi intellettuali, settori di opinione pubblica, formazioni politiche:questa parte d’Italia è una palla al piede del Paese, impedisce all’economia del Nord di competere con le grandi regioni industriali del Nord Europa ( come la Baviera), e perciò bisogna sganciare le aree più dinamiche e più prospere dai “vagoni più arretrati”, con vantaggio generale dell’Italia.

Tale narrazione sbagliata sotto tutti i profili, anche quello economico (come hanno mostrato gli studi dello SVIMEZ) ispira, come è noto, la richiesta di autonomia differenziata avanzata da Veneto e Lombardia e poi dall’Emilia Romagna, presieduta da Stefano Bonacci, autorevole dirigente del PD. Gran parte del gruppo dirigente di questo partito è convinta di tale interpretazione, o è del tutto indifferente alle vicende che riguardano il destino generale del Sud e dell’Italia.

Nel migliore dei casi cercano delle vie per rendere meno devastante la secessione, come fa Francesco Boccia, che ha curato i rapporti con le regioni nel precedente governo e ora lo fa per il PD. Ma l’aspetto più grave è che perfino autorevoli presidenti di regioni meridionali, come De Luca ed Emiliano, nel 2019, nel momento in cui la Lega stava per fare approvare in Parlamento l’autonomia differenziata, non hanno mostrato la benché minima opposizione a un progetto che emarginava irrimediabimente il Sud e metteva in pericolo l’unità del Paese. E qui debbo evocare una esperienza personale.

In quelle concitate settimane, in gennaio, io scrissi una lettera aperta ad Emiliano, presidente della Puglia, pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno, perché esprimesse una esplicita condanna di quella forma camuffata di secessione. Non ci fu alcuna risposta e nessuna azione. E per completezza di informazione debbo ricordare che l’unica figura istituzionale meridionale di rilievo, che si schierò contro l’autonomia differenziata, fu il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, il quale, invitato da un gruppo di cui facevo parte, venne a Roma e tenne un vigoroso comizio davanti il palazzo di Montecitorio.

Tutto questo prova ampiamente che al Partito democratico, come alla destra, importa poco o nulla del destino in sé della Calabria, se non come pedina nei rapporti di forza nazionali. Ora, la chiarezza semplicissima cui facevo riferimento consiste in questo: i calabresi che votano per la destra devono sapere che danno un voto a favore della secessione delle regioni del Nord, per accrescere il distacco delle aree del Sud dal resto del Paese.

Questo è il programma nazionale della Lega approvato dagli alleati. Chi vota per il PD vota in realtà per la sconfitta del fronte democratico. E’ evidente a tutti che questo partito e l’intero centro sinistra sono caduti nel discredito generale, disamorando anche i loro antichi elettori.

L’enorme difficoltà che il PD ha mostrato negli ultimi mesi nel trovare un canditato presentabile quale presidente della Regione, mostra il disfacimento di questo partito, un arcipelago di gruppi, privo ormai, come la destra, di qualunque cultura politica , senza il benché minimo progetto di rinnovamento strutturale della Calabria. E dovrebbe costituire ragione di umiliazione e di offesa, per i calabresi, che le designazioni dei candidati, una più fallimentare dell’altra, partissero da Roma.

Ora, l’ultima semplice verità da dire è che il Partito democratico, certo della sconfitta, gioca tuttavia una sua partita elettorale: quella di impedire che vinca Luigi De Magistris.Non è affatto un paradosso. Per i gruppi di potere che operano in quel partito “destra” e “ sinistra” non hanno alcun significato. Quel che importa è poter realizzare, anche dall’opposizione, tramite i dovuti compromessi con i gruppi di destra, le operazioni e gli affari che ispirano la loro condotta. E questo, con De Magistris presidente, sarebbe molto più difficile o impossibile.

Per tale ragione è evidentissimo che chi voterà per il PD in realtà voterà a favore della destra, con tutti i danni che deriveranno alla Calabria. Perciò mi permetto di rivolgermi ad Amalia Bruni, persona degna, che ha lasciato le proprie ricerche per entrare in un mondo che non è il suo, per chiederle di riflettere sul ruolo ingrato e anticalabrese che le è stato assegnato.

da “il Quotidiano del Sud” del 24 agosto 2021.

Incendi e crisi ambientale.- di Alberto Ziparo Salvare il paesaggio e il futuro della Calabria

Incendi e crisi ambientale.- di Alberto Ziparo Salvare il paesaggio e il futuro della Calabria

Il mese di luglio 2021 è stato il più caldo di sempre. La crisi ambientale infatti sta aggravandosi sensibilmente. Le ondate di calore che imperversano vengono improvvisamente interrotte da burrasche e “bombe d’acqua”. Un’atmosfera sempre più “arrabbiata”(gonfiata da entropia crescente)si abbatte su territori sempre piu’ stressati e indeboliti dai conflitti dei cicli “ Calore/siccità / inaridimento vs. macroprecipitazioni”.

In Calabria, lo “Sfasciume pendulo”, ulteriormente piagato (abbiamo cementificato anche le fiumare), esaspera così gli effetti delle criminali azioni incendiarie di speculatori e ndranghetisti.
L’attuale disastro pero’ chiama in causa in primis le responsabilità delle istituzioni politiche ,nazionali e locali.

La “transizione ecologica” italiana infatti si sta rivelando sempre più una barzelletta: infatti stiamo facendo ridere tutta Europa pretendendo di attuare il Green Deal con misure di facciata: ancora cemento e consumo di suolo; e la perdurante dominanza dell’energia da fossili. Addirittura integrando il Recovery Plan, che già prevede di suo ca 30 miliardi di Euro per TAV e Grandi Opere (spacciati per mobilita’ sostenibile) con il Collegato,ovvero l’ennesimo “Sblocca cantieri”. In cui “recuperiamo” 57 megaprogetti- e 81 miliardi di euro- della “criminogena “ (definizione ANAC) legge Obiettivo di Berlusconi.

Così la “svolta ecologica “ italiana si dovrebbe realizzare con opere ad alto impatto ambientale per una quota pari a dieci volte quanto si investe per tutela e risanamento del territorio. Che invece sarebbe l’unica grande opera davvero utile e necessaria. E che in Calabria rappresenta un’urgenza assoluta.

Draghi dice in queste ore che finanzierà programmi di rimboschimento e risanamento ambientale delle aree piu’colpite da incendi. E’ bene che i relativi fondi siano gestiti senza improvvisazioni emotive o mediatiche , ma usando quegli strumenti di pianificazione già finalizzati a questo ; che non abbiamo mai attuato. Certo , affrontando subito l’emergenza , cui devono seguire progetti di adattamento ai mutamenti climatici. E quindi la riqualificazione ecopaesistica del territorio. L’unica risorsa ancora in grado di prospettare un futuro.

I guasti che ovunque, in Europa e in Italia, sono stati causati da modelli di sviluppo falliti e ipercementificazione, in Calabria e in altre aree a grande intensità criminale risultano ingigantite, amplificando autentiche catastrofi ambientali , come oggi gli incendi.

Eppure la Calabria si era dotata di un ottimo Piano Territoriale Paesaggistico: ma all’atto della sua approvazione l’allora giunta regionale di Centro destra- subentrata a quella di segno opposto che l’aveva formulato- pensò bene di smantellarne la normativa ; trasformando un fondamentale atto di governo e risanamento di territorio e paesaggio in una esercitazione accademica: E cancellando così anche le regola di difesa da dissesti e disastri , incendi compresi.

Con un piano realmente cogente, infatti, ciascun ambito paesaggistico avrebbe regole e misure per affrontare l’emergenza e quindi risanare il territorio. Chiunque saprebbe che la prima difesa è rappresentata dalla ricostituzione degli ecosistemi , dell’ecofunzionamento “dell’organismo territorio”. Più che da generici rinverdimenti o rimboschimenti.

Nell’emergenza odierna, bisogna tener conto del drastico peggioramento della crisi ambientale negli ultimi anni. E’ utile certamente l’idea degli ex Presidenti del Parco Dell’Aspromonte, Perna e Bombino, di rilanciare i “Contratti di Solidarietà” , investendo associazioni e cooperative locali di produttori, con funzioni di vigilanza continua e primo intervento.

Ma questo va integrato con la “Task Force “ proposta (speriamo seriamente) per il Governo dal Ministro delle Politiche agricole Patuanelli; che prevede il coordinamento e l’ampliamento degli organismi già preposti agli interventi di emergenza, Vigili del fuoco, Protezione Civile, Carabinieri Forestali e Operai Forestali residui, cui si potrebbero aggiungere i “Nuovi responsabili”, oltre ai comuni e agli enti interessati ,come i Parchi che dovrebbe continuamente monitorare il territorio con mappe digitali aggiornate in continuo .

E quindi intervenire subito: sapendo già come e dove intervenire , una volta localizzati i primi focolai. E conoscendo anche le postazioni dei siti di approvvigionamento d’acqua, in funzione delle aree di operazione.

L’emergenza incendi va affrontata usando anche la risorsa idrica dei grandi invasi interni –spesso totalmente inutilizzata – a cominciare dalla diga del Menta . Oggi è assurdo che , come è capitato in questi giorni , i pompieri possano restare senz’acqua proprio al culmine del loro intervento . Inoltre si consideri che un CanadAir impiega nel tragitto andata /ritorno tra il cuore dell’Aspromonte o della Sila e il mare circa 25 minuti, un elicottero oltre mezzora: nell’eccezionalità l’uso dell’acqua degli invasi abbatterebbe i tempi a pochi secondi.

Le emergenze di questi giorni però diventeranno sempre più una costante , sia pure in forme diverse: pensiamo alle piogge che arriveranno tra qualche settimana e troveranno un territorio già dissestato anche da migliaia di frane. Che almeno vengano liberate le vie di fuga dell’acqua, in primis le fiumare. Bisogna fronteggiare situazioni anche molto difficili.

Ma senza smarrire la capacità di guardare anche oltre. Le stesse misure previste dal piano paesaggistico, se riprese, ci indicano le operazioni utili e necessarie alla tutela e al risanamento ambientale ; compresi i progetti di resilienza ed adattamento climatico di periodo medio-breve. Fino ad un territorio riqualificato , da cui possano emergere scenari futuri di auto sostenibilità sociale legati al paesaggio.

Mentre si cercano misure per affrontare l’emergenza drammatica , risulta davvero grottesca e incomprensibile la decisione di riaprire la caccia. Vabbè che i cacciatori sono elettori, ma metter la loro incolumità e la vita stessa a rischio in contesti dissestati e accidentati da roghi appena sopiti, per renderli i giustizieri degli ultimi uccelli e della fauna sopravvissuta, sembra irresponsabile quanto- ribadiamo- incomprensibile.

da “il Quotidiano del Sud” del 18 agosto 2021.
Foto di ojkumena da Pixabay

Senza l’economia agricola e forestale l’Italia va in fumo.-di Piero Bevilacqua

Senza l’economia agricola e forestale l’Italia va in fumo.-di Piero Bevilacqua

Ricordate il teorema del lampione? Un uomo, mentre rientra a casa, perde le chiavi davanti al portone. E’ notte, è buio, le cerca invano per un po’, poi scorge alcuni metri più avanti la luce di un lampione e vi si dirige. Là non le troverà, ma almeno riuscirà a vedere dove mette i piedi. Viene in mente questa storiella quando si pensa alle recenti uscite del governo, che riprende (con diverso impegno) i vecchi progetti delle grandi opere, il Tav in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto. Non affronta nessuno dei gravi problemi del territorio italiano e però sa come muoversi. Può rivolgersi a grandi imprese di costruzione, utilizzare meccanismi collaudati di strumentazione finanziaria (financing projet), assoggettare un pezzo di territorio plasmato da secoli dalle popolazioni locali, e ottenere alla fine un prodotto finito, per il quale ricevere applausi dal grande pubblico.

Non torno sulle ragioni che si oppongono a queste opere, argomentate con competenza su questo giornale da tanti esperti e studiosi. E tengo a precisare che non nutro pregiudizi sulle grandi opere in sé. Nel territorio impervio della Penisola è stato necessario far ricorso a imprese di alta ingegneria per dotare il paese di una moderna infrastrutturazione.

Anche se sappiamo che tanta ingegneria, nell’Italia repubblicana, è stata impiegata soprattutto per le autostrade. Sicché oggi ci troviamo privi di un sistema ferroviario per le merci lungo la Penisola, mentre le autostrade, (e le statali, le provinciali, le comunali) sono flagellate da autotreni, camion, furgoni.

Oggi tutto il sistema della mobilità, anche urbana, è esploso. E fa sorridere l’enfasi sulle auto elettriche. Il problema non sono solo i motori delle auto, ma soprattutto le auto. Ormai anche il più piccolo dei paesi è soffocato dal traffico automobilistico. Ma la cultura economica di chi ci governa, rimasta al ‘900, una cultura pre-ecologica, non considera lo spazio un bene, perché non lo identifica con una merce, e non riesce a valutare il crescente disagio di vita dei cittadini che lo perdono.

Ma la considerazione fondamentale da fare è un’altra. Riproporre oggi il Tav e il Ponte sullo Stretto è come portare un ferito con fratture multiple dall’estetista, anziché in ospedale. Investire somme ingenti ( il Ponte a totale carico dello stato) per queste opere è una scelta delittuosa di fronte allo stato della Penisola. Debbo ricordarlo. Sull’Italia incombe la più grave questione territoriale e ambientale d’Europa: è il progressivo spopolamento e abbandono delle aree centrali dello Stivale e il corrispondente intasamento delle zone a valle. Si tratta di uno squilibrio all’interno del quale si svolgono i più vari e distruttivi fenomeni.

Nelle zone interne, appenniniche e preappenniniche, si perdono terre fertili, vanno in rovina patrimoni abitativi, si deteriorano i nostri boschi. La ragione fondamentale, insieme ai mutamenti climatici, di incendi così vasti e devastanti come quelli che hanno distrutto le selve delle Sardegna e della Sicilia, e che ancora si accaniscono in Calabria e altrove, è l’assenza degli uomini. Mancano le economie agricole e forestali di un tempo, la cura dei boschi e dei territori contermini. E gli incendi non devastano solo aziende, patrimoni vegetali, tesori di biodiversità anche animale, ma trasformano i boschi d’altura, che sono i serbatoi d’acqua d’Italia, in suoli carbonizzati destinati a franare.

A valle accade che, a ogni temporale intenso, ormai sempre più frequente, fiumi e torrenti lasciati senza cura devastino abitati, aziende, ponti e strade. Quando piove gli spazi urbani diventano luoghi di rischio. Nel Sud ci sono città senz’acqua potabile, alle prese con sistemi fognari vecchi e inadeguati.

Chi, in questo periodo di grande pressione antropica, gira per le cittadine di mare – il cuore del nostro turismo balneare – può avvertire il fetore di fogna che si spande per le strade. Ma dovunque, città o piccoli centri, soffocati dal traffico, si avverte uno stato di assenza di manutenzione degli spazi pubblici, le periferie sono invase da erbe e immondizie, gli spazi verdi non ricevono alcuna cura.

Dunque sono le grandi opere la risposta a questo precipitare? Non facciamoci ingannare: il riscaldamento della Terra non sarà arrestato. Quali che saranno le iniziative dei governi, noi dovremo fare i conti con mutamenti di vasta portata per un periodo incalcolabile. E allora le terre fertili, i boschi, le acque, gli spazi abitabili delle colline e delle montagne diventato preziosi, un patrimonio di riserva che non possiamo dilapidare.

E noi, che crediamo nelle piccole opere, sappiamo quali sono i soggetti in grado di invertire la rotta di un indirizzo nefasto che assegna valore solo ai manufatti in cemento. Sono i comuni, l’ossatura storica del territorio italiano. Rimettiamo i comuni al centro del suo governo. Alla luce del fallimento storico delle Regioni, diamo risorse e competenze a questi organi, investiamo nei nostri giovani laureati, impediamo che portino altrove il loro sapere e la loro energia.

da “il Manifesto” del 12 agosto 2021.

Calabria, l’oblio delle buone pratiche.- di Tonino Perna

Calabria, l’oblio delle buone pratiche.- di Tonino Perna

Nella torrida estate del 2003 mentre tutta l’Europa del sud bruciava, dal Portogallo alla Grecia, mentre per l’ondata anomala di calore morivano nella sola Francia 25mila persone, venne alla ribalta dei mass media il caso del Parco nazionale dell’Aspromonte. Per la prima volta nella storia contemporanea, si parlava di questa montagna mitica e misteriosa, non per i sequestri di persona, né per omicidi di ‘ndrangheta, ma per un sistema di contrasto agli incendi che da tre anni funzionava.

Il sistema era semplice e andava al nocciolo del fenomeno incendi. Siccome non riusciamo a prevenirli, data la molteplicità delle cause e dei soggetti coinvolti, bisogna trovare il modo di spegnerli appena partono. Con un bando pubblico i circa 40.000 ettari di foresta del Parco nazionale dell’Aspromonte venivano dati in affidamento a soggetti del Terzo Settore (cooperative, associazioni, ecc.) con un contratto che prevedeva un contributo iniziale, in base agli ettari adottati e alla orografia del terreno, e un saldo finale solo nella misura in cui gli ettari andati in fumo non fossero superiori all’1% della superficie adottata.

Veniva evitata la gara al ribasso dell’offerta economica che tanti danni ha provocato, e sostituita con parametri oggettivi. Questi «contratti di responsabilità sociale e territoriale» hanno rappresentato uno strumento per ristabilire un rapporto con questi territori abbandonati, spopolati, dove un tempo vigevano gli usi civici e tutta la comunità si faceva carico della manutenzione dei boschi, del loro uso a fini alimentari e non (legna da ardere, carbone, e persino ghiaccio nelle aree di alta montagna).

Il cosiddetto «metodo Aspromonte» fu imitato da alcuni parchi nazionali e regionali, venne preso in considerazione da Bruxelles, dove nel 2005 chi scrive fu invitato dalla Commissione che si occupa di forestazione, biodiversità, ecc. Fu introdotto in alcuni Comuni con delle interessanti varianti, che davano questa responsabilità territoriale ai contadini piuttosto che ai soggetti del Terzo settore. Insomma, sembrava logico che questa modalità di contrasto degli incendi diventasse una pratica comune. Ed invece nel tempo è prevalso l’oblio. Non a caso: il grande business delle società private che gestiscono l’antincendio ha prevalso e ci ha portato al disastro odierno.

Certo, il surriscaldamento della Terra, estati sempre più afose, lunghi periodi di siccità, tutto questo sappiamo che è dovuto al mutamento climatico indotto dall’uomo, ma proprio per questo dovremmo attrezzarci. Ed invece la cosiddetta «resilienza» appare solo come un vezzo per giustificare investimenti, per utilizzare risorse comunitarie, ma non si vede un piano di resilienza per le città quanto per le zone interne. Aspettiamo la prossima alluvione per gridare alla mancanza di cura del territorio quando potremmo fin d’adesso prendere atto che bisogna dare priorità alla manutenzione e stabilire una nuova relazione con l’ambiente in cui viviamo, fondata sul principio di responsabilità sociale e territoriale.

da “il Manifesto” dell’8 agosto 2021
Foto di jlujuro da Pixabay