
Il crollo della Lega offre una nuova chance al Mezzogiorno.-di Tonino Perna
La vera novità in queste elezioni regionali è il crollo di consensi per la Lega di Salvini. Il progetto di uscire dalle regioni del Nord per proiettarsi a livello nazionale, sostituendo Lega Nord con Salvini, dopo un rapido successo è fallito. La Lega di Salvini ritorna alle sue radici che nel frattempo si stanno consumando a vantaggio di Fratelli d’Italia. C’è il rischio concreto di perdere la leadership della Lombardia e lo stesso segretario della Lega rischia di essere sostituito.
Certo, a livello parlamentare la Lega è ancora fondamentale per la tenuta del governo Meloni, ma la sua netta perdita di consensi la indebolisce. Il che significa che i due cavalli di battaglia, il Ponte sullo Stretto e l’autonomia differenziata, perdono di slancio. Per l’autonomia differenziata si rafforza la resistenza di Forza Italia che proprio nel Mezzogiorno ha i maggiori consensi elettorali.
Per il Ponte sullo Stretto, obiettivo condiviso da tutta la maggioranza, si apre una fase di incertezza in quanto il suo maggiore sostenitore, che di fatto si è intestato questo fantomatico progetto, si è indebolito e gli alleati di governo potrebbero far valere le ragioni di bilancio, ritardando i finanziamenti per questa mega opera con impatto ambientale devastante.
Per il Mezzogiorno si apre una nuova prospettiva, se ci saranno le forze politiche in grado di cogliere questa occasione. Se viene messo in discussione il Ponte sullo Stretto, con cui il governo di destra-centro pensava di esaurire l’intervento nel Mezzogiorno, si può pensare di spalmare i 16 miliardi previsti su progetti infrastrutturali necessari: dalla famigerata SS 106 alla elettrificazione del tratto ferroviario Reggio-Taranto, ai tanti collegamenti ferroviari che sono ultra necessari in Sicilia e Sardegna, senza dimenticare le strutture sanitarie e scolastiche che sono carenti o degradate in tutto il Mezzogiorno, ed i servizi pubblici essenziali nelle aree interne.
C’è poi un fatto che è stato finora ignorato. La Trumpeconomics apre dei nuovi scenari. Le aree più produttive del nostro Paese stanno andando in crisi, con una riduzione dell’export ed un aumento dell’import, soprattutto dalla Cina che sta puntando per sostituire in parte il mercato Usa per via dei dazi sempre più pesanti. L’export dal Mezzogiorno nel 2024, pur essendo in crescita, rappresenta appena il 13 per cento del totale nazionale, a fronte di una popolazione residente pari al 32 per cento.
Anche i flussi turistici dall’estero, dove l’Italia si colloca al quinto posto nel mondo, nel Mezzogiorno si arriva al 19 per cento del totale nazionale, con una crescita notevole in questi ultimi anni: era del 12 per cento nel 2018. Solo nel 2024 c’è stato un aumento del turismo straniero del 15 per cento, contro poco più del 4 per cento nel Centro-Nord.
In sintesi, il Nord ed una parte importante del Centro-Italia sono arrivati al capolinea, sia rispetto ai flussi turistici che alla crescita industriale, con danni e problemi territoriali crescenti (overturismo, inquinamento, cementificazione, ecc.). Si aprono pertanto due opportunità: far crescere l’export del Mezzogiorno e puntare su un aumento della domanda interna.
Il che significa anche aumento dei salari e stipendi, almeno per recuperare la grave perdita del potere d’acquisto per la gran parte dei lavoratori che si è determinata in questo secolo.
Rispetto a questo scenario ci vorrebbe un nuovo progetto e una nuova visione dell’Italia che metta al centro le potenzialità del Mezzogiorno senza ripetere gli errori del passato, rispettando la storia e la qualità dei territori.
Le forze politiche di opposizione al governo Meloni invece di inseguire il primo ministro, dovrebbero pensare ad elaborare, con l’ausilio di tanti soggetti pubblici e privati, un piano per il futuro del Mezzogiorno all’interno di una visione del nostro Paese adeguata ai tempi che cambiano.
da “il Quotidiano del Sud”














