Emergenze ambientali e territoriali: anche nel Mezzogiorno la svolta innovativa deve arrivare “dal basso” di Alberto Ziparo

Emergenze ambientali e territoriali: anche nel Mezzogiorno la svolta innovativa deve arrivare “dal basso” di Alberto Ziparo

1.Introduzione

La crisi climatica sta accelerando; e i suoi effetti vengono esasperati spesso dalle condizioni territoriali,colpite da degrado e ipercementificazione, che ne cancellano progressivamente la struttura ecologica , le componenti organismiche, indebolendo fortemente le sue capacità di reazione, di resilienza.

A fronte della gravità di tale situazione, enunciata continuamente da esperti e scienziati, nei programmi –e nelle reali intenzioni- di quasi tutti i decisori troviamo declaratorie e annunci, destinati quasi sempre a restare sulla carta. Le uniche forze che si battono realmente per svolte socialmente innovative e per la risoluzione dei problemi ambientali come di altre questioni di estrema gravità , sono i gruppi , le associazioni , i comitati , i centri sociali che si battono tutti i giorni contro le operazioni di attacco ambientale al territorio.

Ciò è tanto più vero nella regioni meridionali, dove al clamoroso fallimento delle “politiche di sviluppo” proposte nel passato anche recente , dalla Riforma Agraria, ai Programmi Straordinari Infrastrutturali, dai “Poli di Sviluppo”, alle grandi “Armature urbane”, fino ai più recenti “Assi” e “Piattaforme”, sta conseguendo un enorme, sostanziale disimpegno di qualsiasi forma incisiva di investimento pubblico. Al di là dei Programmi Operativi finanziati dell’Europa, attuati molto parzialmente e non certo in grado di affrontare le conseguenze della crisi “vecchia e nuova”.

Eppure ci sarebbero azioni talmente emergenti come strategie tanto necessarie quanto urgenti: dalla distribuzione di reddito di sostegno, anche per fermare la drammatica fuga dei giovani, un esodo che in queste proporzioni non si è mai visto in passato; ad operazioni di risanamento del territorio e di riqualificazione del paesaggio.

Difficili però da attuare da parte di esecutivi, ancora prigionieri della logica dell’iperconsumo di suolo, della Legge Obiettivo, abrogata ma vigente tuttora per moltissime opere, e per il resto integrata dai vari provvedimenti “Sblocca Italia” o simili. Mentre si è appena creata la nuova “Mini IRI” , la superstazione appaltante, esito della fusione dalle due aziende cui negli scorsi anni si sono regalati centinaia di miliardi pubblici, Ferrovie e ANAS, oggi gestite da “grand commis” di provata fede rispetto al partito di maggioranza relativa. Laddove ci vorrebbe invece una nuova pianificazione dei trasporti, esigenza di tutto il paese,quanto mai urgente nel Sud in cui diverse aree presentano oggi problemi di accessibilità minima, al di là degli annunci rituali di Megaopere ,”pietre filosofali dello sviluppo”, in realtà grandi balle, spesso funzionali alle ulteriori sottrazioni di risorse alle regioni interessate.

Si realizzano invece opere inutili e dannose, realizzate aggirando i vincoli territoriali e paesaggistici prescritte da norme e piani. È di qualche mese fa l’inaugurazione dell’ultima cattedrale nel deserto ad Afragola: la stazione alta velocità già sotto inchiesta della magistratura, anche per l’aggiramento o l’obliterazione di qualsiasi regola o valutazione urbanistica e ambientale (a parte il rischio di infiltrazioni criminali). È l’ennesima megastruttura fallimentare dal punto di vista del rapporto costi/benefici, oltre che ecologicamente disastrosa. Che chiude la serie inaugurata dalla “Grande Tiburtina” (vi è già capitato di andarci e trovare un deserto di cemento?) o della stazione medio –padana, in piena campagna reggiana. Sfasci economici e ambientali, ma grandi affari, perfettamente rispondenti ai dettami di un’economia e di una politica “finanziarizzate”. Serve una svolta drastica, che non si prospetta; se non in alcune tracce sparse e frammentate, di cui però si può provare a riconoscere le potenzialità.

2.Riterritorializzazione e definanziarizzazione dell’economia

Servirebbero oggi strategie decise quanto innovative, di definanziarizzazione “delle scelte” e di territorializzazione delle azioni di riassetto sociale; un po’ in tutto il Belpaese, ma soprattutto nel Sud.

La definanziarizzazione dell’economia (e della politica) dovrebbe comportare un riassetto sociale basato sulle caratteristiche ecologiche dei contesti territoriali. Come un grande studioso dei distretti locali e industriali, Giacomo Becattini, ha indicato nel suo ultimo libro, “La coscienza dei luoghi”. Il Belpaese potrebbe essere rilanciato dalle produzioni dei beni della terra, materiali (agricoltura) e immateriali (storia, cultura, arte, paesaggio),come sostiene anche Piero Bevilacqua (id.,2017). Da qui si potrebbero trarre anche le regole per le nuove ecosmart city. Ovvero i criteri per il rinnovo urbano e per la riconversione ecologica e tecnologica delle produzioni industriali. La riqualificazione di città e territori – per cui esistono oggi solo progetti pilota – è centrale in questo programma: che prevede riorganizzazione idrogeologica e difesa da eventi meteoclimatici esasperati nel breve periodo (resilienza ecoterritoriale : su questo il Comune di Bologna, sotto la guida dell’ex assessore e docente di urbanistica, Patrizia Gabellini, ha redatto un piano “di adattamento climatico” assai interessante;cfr. Gabellini et al. ,eds., 2017); riassetto dei sistemi paesistici e degli habitat, blocco del consumo di suolo e riuso dell’enorme patrimonio edilizio inutilizzato per le domande sociali degli abitanti vecchi e nuovi, con ripresa delle economie ecologiche anche nelle aree interne, nel periodo medio-lungo. In questo quadro, andrebbe incrementata anche la ricerca ambientale, specie pubblica. Invece si prevede di spendere un sacco di soldi per Human TecnoPole, gestito dalla privata IIT, e per istituire le scandalose “cattedre Natta”, controllate dall’esecutivo. Mentre si tagliano gli investimenti alla comunità scientifica e di ricerca, alla minore strutturazione delle università meridionali corrisponde una contrazione di finanziamenti e investimenti (una strana logica di incremento di una sperequazione penalizzante per la formazione e incentivante per la emigrazione dei ragazzi meridionali); è in forte sofferenza ,tra gli altri, il benememerito ISPRA (Protezione e Ricerca Ambientale). Forse in realtà vogliamo proprio alimentare la doppia crisi, ambientale e sociale, che nel Belpaese colpisce soprattutto il Mezzogiorno.

 

  1. Consumo di suolo, degrado, abusivismo e attacchi al territorio.

Negli ultimi tempi si è tornato a parlare di abusivismo , tra i massimi fattori di attacco al territorio, in Sicilia, in Campania , in Calabria ,soprattutto, ma anche in altre parti d’ Italia. L’abusivismo , ancora imponente nel nostro paese, anche molti lustri dopo la fine di quello di “necessità”, peraltro anch’esso devastante, contribuisce allo sfascio e al degrado di ambiente e paesaggio come componente importante,ma non certo unica. E’ solo il risvolto patentemente illegale di un attacco a valori, contenuti e caratteri del territorio in corso da molti decenni ,anche attraverso politiche e azioni istituzionali: leggi,programmi e progetti, sempre più espressioni di interessi avulsi dai contesti interessati, spesso dettati da criminalità o speculazione, favorita dalla massiccia finanziarizzazione di economia e politica che oggi impera.

Ischia,per esempio,l’”Isola verde” ,è diventata grigia ,con oltre il 70 % del suo territorio coperto da cemento- come mostrano le aerofoto eloquentemente-; peraltro in linea con la perdita di tutta quella che un tempo era la “Campania Felix”. Ma il consumo di suolo che al Sud è fortemente abusivo è stato drammatico anche nelle altre parti del paese, coperto da strategie e politiche istituzionali. Con un’ iperproduzione edilizia enorme egli sprechi economici e ambientali di un patrimonio abitativo vuoto o sottoutilizzato per un quarto- circa 8 milioni di case e appartamenti- e miliardi di metri cubi di volumi industriali, commerciali, turistici, infrastrutturali oggi abbandonati, incompiuti o inutilizzati.

In molti contesti meridionali, specie campani, calabri e siciliani, l’edilizia massiccia e fuori norma ha favorito la penetrazione della criminalità nel controllo del settore cementizio:spesso il porsi come “controllore e garante” dell’edilizia abusiva ha favorito i processi di accumulazione di risorse e capitali materiali e immateriali(relazioni, conoscenze, anche expertize tecnica) da parte di mafia, camorra e ‘ndrangheta, che ne ha facilitato la penetrazione in altri settori delle economie territoriali- a cominciare dalle opere infrastrutturali-, e in epoche più recenti, l’accesso al controllo economico e spesso anche politico di intere aree sub regionali e locali, non solo meridionali i (oggi diversi comuni del centro-nord sono sciolti per la presenza o la contiguità di criminalità organizzata nelle amministrazioni).

L’abnorme consumo di suolo ,abusivo e legale, con la relativa cementificazione rende il territorio più fragile rispetto agli eventi sismici e alle ricadute della crisi climatica. L’urbanizzazione magmatica che abbiamo subito negli scorsi decenni, nel distruggere paesaggi e apparati paesistici non cancella solo bellezza ,cultura e natura, ma nega l’ecofunzionalismo del territorio; abbassandone quindi consistenza e difese. Ma un territorio dagli apparati ecologici distrutti facilita anche le relazioni tra eventi sismici e idrogeologici; particolarmente gravi nei territori meridionali,spesso ad alto rischio: per esempio perché sono più facili i processi di liquefazione degli strati di terreno di sub superficie. Ischia – e tutta l’area napoletana di origine vulcanica- è buon esempio di ciò: se guardiamo ai disastri che si sono succeduti nel tempo notiamo il sommarsi di effetti diversi: caratteristiche tipomorfologiche e strutturali degli edifici inidonee, problemi di eccessiva densità e congestione urbanistica, distruzione di apparati paesistici e quindi di eco funzionalismi, mancato rispetto delle caratteristiche vulcaniche.

Oggi tutti i partiti, come il governo, fanno a gara a dichiarare guerra all’abusivismo e si accusano reciprocamente di perdurante permissività. Ma questo agitarsi odierno – pure apprezzabile-rischia e forse è inteso a coprire le responsabilità di governo e partiti nel perpetuare e accentuare, proprio in questo periodo, strategie e operazioni che continuano a favorire la deterritorializzazione. Che al sud significa un attacco diretto a quadri socioeconomici già assai problematici.

 

  1. I dati clamorosi delle strutture vuote o inutilizzate nel patrimonio edilizio meridionale e nazionale

Ormai ad ogni temporale un po’ più deciso si rischia il disastro; non solo in Sicilia,Calabria, Campania, ,ma quasi dappertutto, in quel che resta del Belpaese. Il combinato tra surplus di energia e entropia atmosferica da mutazione climatica e sfascio del territorio da ipercementificazione generalizzata si rivela micidiale. Il primo dato che emerge è la forte intensificazione del consumo di suolo; raddoppiato nell’ultimo ventennio. Il contraltare di ciò – che significa distruzione di ecosistemi e assetti idrogeologici e quindi dissesti, oltre che perdita di paesaggio- è costituito dall’abnorme quota di volumi vuoti – non solo residenziali – che sono stati realizzati nelle città e nei paesi italiani.

La Calabria si conferma come la peggiore regione, in termini di edificazioni inutili (abbiamo il 10% del totale nazionale di edifici inutilizzati, a fronte di meno del 3% di popolazione), ipercementificazione e degrado del territorio.

L’Istat, che ha ormai concluso l’elaborazione dei dati del censimento 2011, mostra che – a livello nazionale – siamo di fronte ad un patrimonio inutilizzato di svariati milioni di stanze e di quasi 20 miliardi di metri cubi per volumetrie. Gli appartamenti inutilizzati sono più di 7 milioni: in attesa del dato esatto relativo ai vani, infatti, ipotizzando un’ampiezza media di 2,8 stanze per appartamento, si rivelano tendenzialmente esatte le stime degli osservatori legati al Forum “Salviamo il Paesaggio” (circa 20 milioni).

I dati conclusivi forniti oggi dall’ISTAT, riferiti al censimento ultimo sono clamorosi: oggi il numero degli edifici presenti sul territorio nazionale è pari a circa 14,5 milioni per poco più di 31 milioni di appartamenti residenziali. In attesa di avere il dato netto circa le volumetrie e le stanze, appare accettabile la stima-assai prudenziale – di OLT di almeno di 18 miliardi di mc edificati, di cui 15,5 mld (84,3%) di metri cubi residenziali; laddove il fabbisogno nazionale aggregato è di 6,2 mld di mc (siamo 62 milioni di persone, includendo una stima molto largheggiante anche degli immigrati non censiti)!

Le Regioni meridionali esasperano il quadro nazionale: la Campania presenta circa 1 milione di edifici, di cui 65.000 vuoti e inutilizzati per una popolazione di 5.760.000 abitanti, la Puglia rispettivamente 1.100.000 e 54.200 per 4 milioni ca di abitanti, la Basilicata 117.000 e 11.700 per 580.000 abitanti, la Sicilia 1722000 e 132000 per circa 5 milioni di abitanti, la Calabria 750000 e 90000 (1.250.000 e 420.000 alloggi ) per poco meno di 2 milioni di abitanti (il 40% del patrimonio residenziale è vuoto e in molti paesi dell’interno ormai esistono più case che abitanti (!); la Sardegna risente della cogenza del Piano Paesaggistico, recentissimamente ripristinata, e presenta “solo” 570.000 edifici, di cui 70.000 vuoti o inutilizzati, per 1.640.000 abitanti.

Il dato relativo agli appartamenti vuoti –o scarsamente utilizzati- è strabiliante: quasi un alloggio su quattro è vuoto, con una ”punta” presentata ancora dalla Calabria con una quota pari al 40%;seguono Sicilia e Sardegna con circa il 30% del patrimonio abitativo inutilizzato, ancora in Piemonte 1 alloggio su 4 è vuoto, laddove in Veneto e Toscana il rapporto è di uno su cinque circa poco meno del Lazio(22%) e poco più della Lombardia(16%).

Per quanto riguarda le città, anche in attesa del dato finale , si possono considerare consistenti le proiezioni parziali, che presentano quote di vani vuoti superiori a 100000 a Torino, Milano e Roma, poco meno a Napoli, decine di migliaia nelle città di Venezia, Padova, Bologna ,Firenze e Genova. In diverse città del sud il numero dei vani costruiti supera quello degli abitanti(ancora in Calabria, a Reggio, “il top” con 40000 stanze in più dei residenti!), in molte aree interne ,non solo meridionali, gli edifici sono più degli abitanti. Emerge una considerazione: solo fino a venti anni fa il dato forse più significativo era il rapporto abitanti/stanze; con il censimento 2001, per l’emergere della “cascata di case”, oltre alla rilevanza di aspetti più sociologici, quale la tendenziale forte crescita delle famiglie mononucleari, è apparso consistente parlare in termini di abitante/appartamento. Oggi diventa significativo e iconico il rapporto abitante/edificio! In Piemonte abbiamo poco più di 3 abitanti per edificio,in Lombardia poco meno di 5, in Toscana poco più di 4, nel Lazio circa 5. Il Sud rende peggiore il quadro nazionale: nelle regioni meridionali abbiamo addirittura meno di 3 abitanti per edificio in Sardegna e in Sicilia, 2,5 in Calabria (!), 5 in Campania, 3,2 in Basilicata, poco meno di 4 in Puglia, che è in linea con il dato medio nazionale.

Ci siamo chiesti a lungo perché nel nostro paese si continuasse a costruire, a dispetto del declino demografico( la quota di immigrazione appare tuttora relativa) e socioeconomico. La spiegazione è stata fornita dagli studiosi di marketing immobiliare: da tempo non si costruisce più per la domanda sociale(che infatti-nonostante tutto il patrimonio vuoto citato- resta in parte inevasa): la rendita fondiaria, poi immobiliare si è trasformata sempre più in finanziaria. I ”nuovi vani” dovevano costituire le “basi concrete” per”costruzioni virtuali” di fondi d’investimento o risparmio gestito. A parte la quota di edificato-”lavanderia”, ovvero finalizzata al riciclaggio di capitale illegale, facilmente intrecciata al primo; ma imponente nelle regioni meridionali,massime nelle 3 regioni a più alta densità criminale: i dati riferiti a Sicilia, Calabria e Campania esasperano il quadro di sprechi e costi ambientali ,già clamoroso a livello nazionale. Va rilevato che nei dati ISTAT post censimento 2011 non sono annoverati molti insediamenti abusivi,allora non ancora individuati dall’Agenzia del Territorio del MET.

Nelle tre  regioni , e in genere nei territori meridionali, questa inutile ( non per speculazione e criminalità) proliferazione di case sempre più vuote e cemento, oltre a offendere paesaggi notevoli, ha colpito componenti ambientali strutturanti per il territorio; per esempio le fiumare, elemento di interrelazione tra i grandi massicci interni(che oggi fortunatamente sono in molti casi divenuti Parchi) e le fasce piane e costiere: esse sono sovente state tombinate o addirittura direttamente cementate per le esigenze del costruito. Il dissesto è tale che ad ogni temporale appena più intenso si rischia il disastro.

Negli ultimi anni, però, anche grazie alla pianificazione paesaggistica regionale e ai piani di Ambito, è cresciuta la preoccupazione e l’attenzione per questi problemi- ormai drammaticamente clamorosi.

Oltre agli aspetti di difesa ambientale va costruita allora una grande strategia di recupero urbanistico e paesaggistico degli insediamenti che preveda anche la demolizione delle non poche situazioni non risanabili, la messa in sicurezza, la riqualificazione e il riuso dell’edificato (Resilienza ecoterritoriale).

Proprio gli Ambiti di paesaggio possono costituire gli ambienti locali dove sull’enorme patrimonio paesaggistico e storico–culturale si costruiscono strategie di tutela e resilienza ecologica e di valorizzazione sostenibile del territorio. Mentre le azioni di recupero del patrimonio edificato vanno finalizzate a risolvere il problema del disagio abitativo locale (che visti i dati citati non dovrebbe esistere) e anche a costruire politiche intelligenti di accoglienza e integrazione dei migranti.

 

  1. Un programma territorialista per il Sud e il Belpaese : l’importanza dell’azione “dal basso”

Piu’ si approssimano i programmi elettorali, più appare evidente l’incapacità di molti di prospettare scenari di futuro credibile per il Paese. Bisogna allora ascoltare coloro che, come Salvatore Settis (id., 2010) e altri, al di là del proprio campo scientifico-professionale, riescono a formulare ipotesi credibili di politiche anche economiche: “il futuro del Bel Paese è … nel Bel Paese”.

È una formulazione che in poche parole spiega che una tra le opzioni spendibili, come specificità italiana, è l’economia territorializzata, il paesaggio come guida alla sostenibilità socioeconomica. Che esprime anche la necessità di riusare il patrimonio urbanistico e paesaggistico sia in funzione della mitigazione delle ricadute della crisi climatica, sia come elemento cardine di una nuova fase di dinamicizzazione socioeconomica, basata sulla riconversione ecologica delle produzioni e sulla maggiore quanto mirata fruizione di quell’enorme deposito di beni materiali e immateriali rappresentato dal territorio nazionale, appunto il Bel Paese.

La Società dei Territorialisti/e, l’associazione di studiosi del territorio e delle sue scienze, presieduta da Alberto Magnaghi, osserva i contesti locali da prospettive disciplinari diverse, e offre nelle sue elaborazioni e nei suoi periodici simposi elementi concreti in tale direzione, che finiscono per comporre un quadro programmatico di interesse almeno nazionale. Qualche mese fa si è svolto a Matelica, nel pre-Appennino marchigiano, in zona colpita dal sisma dello scorso anno ma fuori dal “cratere”, l’ultimo di tali appuntamenti (SDT,2017). L’essere in zona “terremotata”, ma non colpita da gravi distruzioni, tali da legittimare “l’avvento di progetti di emergenza”, ha favorito due piani di riflessione, segnati da due diverse necessità: quella di saper rivisitare le diffuse fragilità del territorio nazionale quali “invarianti strutturali”, da rispettare e ridefinire nell’azione sociale; insieme alla continuità tra ricostruzione e ri-territorializzazione, cioè tra ricostituzione ambientale e recupero sociale dello spazio. Nel caso di Matelica e dell’Appennino marchigiano il post-sisma è stata occasione per il rilancio o l’accelerazione di strategie socioeconomiche “dal basso” già presenti: si sono re-incrementate le colture/culture agro-rurali, con una presenza particolare delle attività anche zootecniche di montagna (i “montanari testoni”), si è rafforzato il turismo territoriale (da rileggere forse quale visiting eco-socio-culturale), si è accentuata la necessità di relazione primario-secondario, con la riconversione ecologica, oltre alla penetrazione dell’innovazione tecnologica, delle produzioni e la verifica degli impatti delle attività esistenti. Con forti interazioni p.es. tra attività agricole e produzioni energetiche rinnovabili «verso una bioregione decarbonizzata» – sostiene Gianni Scudo del Politecnico di Milano.

Il convegno di Matelica ha costituito solo l’ultima puntata di un percorso, fatto di laboratori, osservatori e dibattiti, che ha portato negli ultimi anni a riscoprire e a relazionarsi con molte realtà nazionali, capaci di emergere come contesti territoriali “eco-eco”, in grado di attivare economie antiche e nuove attorno a una riproposizione sostantiva di valori e pratiche ecologiche. In questo il paesaggio – insieme alle versioni più recenti dello strumento mirato a tutelarlo e valorizzarlo, il Piano paesaggistico – può rivelarsi fattore decisivo e chiara direttrice orientativa. Infatti oltre alla Sardegna, negli ultimi anni, si registrano diversi di tali progetti in grado di assumere in toto le valenze che si attribuivano al Piano paesaggistico sardo: «i profili del prossimo sviluppo possibile sono disegnati dallo strumento paesaggistico»: un approccio che ; dalla Sardegna può proiettarsi su altre regioni, come sottolinea Anna Marson, ex-assessore al Territorio della Regione Toscana. Nelle Regioni meridionali, in Abruzzo, in Molise, ma anche i Sicilia ; e soprattutto in Puglia ,si sono approvati piani paesaggistici che possono andar oltre la pur doverosa tutela e costituire il frame per la ripresa sociale; un approccio peraltro utile nel Sud come in tutto il BelPaese ( Magnaghi,ed., 2016). Questo passa anche per il riutilizzo del suo patrimonio naturale e costruito: da un punto di vista ecologico, con il blocco alla sfrenata cementificazione ed al consumo di suolo; e quindi con la rigenerazione “organismica”, eco-paesistica dei contesti; da un punto di vista civile ed economico con il riuso dell’enorme quota di patrimonio abitativo vuoto o inutilizzato (oltre 7 milioni di case, pari a un quarto del volume abitativo complessivo; cui si aggiungano alcuni miliardi di metri cubi vuoti o abbandonati già commerciali, industriali, direzionali, infrastrutturali). Questo enorme spreco economico e ambientale può diventare la risorsa che ci permette – sottolinea il sociologo Sergio De La Pierre, Responsabile dell’Osservatorio Migranti di SdT – anche di accogliere i migranti ed integrare i “nuovi italiani”; ormai fondamentali per molte attività economiche e vista anche la crisi demografica nazionale. In questo senso è sempre da notare il caso di Riace in Calabria, modello di accoglienza sociale e di efficienza socioeconomica oltre che politica.

In definitiva, il percorso prospettato da elaborazioni, tavoli e meeting territorialisti negli ultimi anni prefigura un quadro nazionale, unificato da esigenze di difesa del suolo e riqualificazione ecologica del paesaggio, verso territori “resilienti” anche di fronte alla crisi ambientale: la prima e forse unica “Grande Opera” davvero necessaria; al di là degli annunci delle varie “Casa Italia”, il MISE aveva già stimato la quantità di spesa per la messa in sicurezza del territorio dai vari rischi, programma ventennale da circa 9 miliardi l’anno. In questo scenario emergono tante differenti “bioregioni urbane” le cui economie territorializzate sono già all’opera, “dal basso”, spesso ignorate o lontane dalle istituzioni, per disegnare un nuovo Bel Paese(Idem).

Anche nei territori meridionali, l’azione di affermazione dei valori ambientali da parte di gruppi e associazioni,insieme ai nuovi”abitanti-produttori” ha spesso trovato riscontro nei recenti strumenti della pianificazione. Negli ultimi anni in Sicilia,anche grazie alla Linee Guida della pianificazione paesaggistica regionale e ai piani di Ambito, in Puglia, con il piano territoriale paesaggistico, in Abruzzo e nel Molise,con i piani paesaggistici, e perfino in Calabria, dove pure Il Quadro Territoriale a valenza Paesaggistica è stato approvato con normativa evanescente che vanifica la tutela diffusa e l’attuazione ei progetti per il paesaggio , è cresciuta la preoccupazione e l’attenzione per questi problemi- ormai drammaticamente clamorosi.

Oltre agli aspetti di difesa ambientale va costruita allora in queste regioni una grande strategia di recupero urbanistico e paesaggistico degli insediamenti che preveda anche la demolizione delle non poche situazioni non risanabili, la messa in sicurezza e la riqualificazione dell’edificato( Resilienza eco territoriale).

Nei territori meridionali, proprio gli Ambiti di paesaggio, ribaditi anche dai piani, possono costituire gli ambienti locali dove sull’enorme patrimonio paesaggistico e storico–culturale si costruiscono strategie di tutela e resilienza ecologica e di valorizzazione sostenibile del territorio. Mentre si portano avanti operazioni di recupero edilizio e urbanistico dell’edificato anche abusivo (richiamate in modo decisivo e anche massiccio da dimensioni e stato del patrimonio), finalizzate –ribadiamo-sia a risolvere il problema del disagio abitativo locale (che visti i dati citati non dovrebbe esistere) che a realizzare strategie intelligenti di accoglienza e integrazione dei migranti.

Sia a livello nazionale che nelle regioni del Mezzogiorno, le istituzioni ai diversi livelli oggi sembrano troppo deboli e disattente rispetto ai termini dei problemi citati per procedere direttamente alla costruzione delle azioni richieste. Per questo , laddove sono già avviate le politiche di riutilizzo del patrimonio e di recupero del territorio, si sono individuate istanze e strutture ,promosse “dal basso” dalle soggettività sociali più sensibili a questi problemi, spesso insieme a università ed esperti, che siano di ausilio , orientamento e stimolo per l’azione istituzionale (Laboratori territoriali che devono rilanciare la propria azione diffondendosi sul territorio regionale, Osservatori locali e regionali sul disagio abitativo, Forum, Tavoli e altre istanze di partecipazione ). In questo l’Osservatorio , insieme alle strutture meridionali della Società dei Territorialisti , laboratori già operanti in collaborazione con associazioni,gruppi e comitati ambientalisti locali, può giocare un ruolo assai importante.

 

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