Mese: luglio 2018

Dinamica Mezzogiorno di Gianfranco Viesti

Dinamica Mezzogiorno di Gianfranco Viesti

 

Il rallentamento dell’economia italiana, che purtroppo sembra in vista alla luce di fattori internazionali e interni, rischia di compromettere il modesto recupero dell’economia meridionale registratosi nell’ultimo biennio. Questa l’indicazione principale che viene dal periodico rapporto sul Mezzogiorno realizzato da Confindustria e SRM presentato ieri. La crescita del Sud nel 2018 è prevista all’1,1%, inferiore sia al dato meridionale del 2017 sia alla media nazionale per l’anno in corso, entrambi all’1,4%. L’analisi un po’ preoccupata è corroborata anche da altre fonti, dai puntuali rapporti regionali della Banca d’Italia ad un interessante studio di Prometeia, oltre che dai dati congiunturali sul mercato del lavoro. Peggiori sembrano, in questo quadro, situazioni e dinamiche di Calabria e Sicilia. Certo gli ultimi anni sono stati molto migliori rispetto ai precedenti: ma questo non ha consentito al Mezzogiorno né di recuperare i valore pre-crisi (con un PIL ancora di circa 10 punti inferiore) né di innescare un processo di crescita sostenuto, che consenta di affrontare pericolose tendenze di periodo più lungo: denatalità, invecchiamento e emigrazione dei giovani, anche a maggiore qualifica. Banca d’Italia quantifica in 173.000 i laureati emigrati dalle sei regioni più a Sud nell’ultimo decennio. Con questa realtà deve confrontarsi l’azione del nuovo governo.

Segnali positivi sono venuti e continuano a venire dal sistema delle imprese. La produzione industriale del Mezzogiorno si è drammaticamente ridotta con la crisi, ma i dati più recenti segnalano un buon rafforzamento degli investimenti (frutto anche delle incentivazioni messe in campo nell’ultimo biennio), un’espansione dell’occupazione e un miglioramento della produttività delle imprese sopravvissute. Al Sud rimangono poli produttivi molto importanti, dall’auto all’alimentare, che rappresentano basi solide per una ripresa dell’accumulazione. Va molto bene, fortunatamente, il turismo, specie internazionale. Ma questo non compensa a sufficienza la persistente debolezza delle costruzioni e il ridimensionamento “tecnologico” della distribuzione commerciale. Il Sud non potrà ripartire più vivacemente, e contribuire così alla maggior crescita nazionale, senza azioni più strutturali di potenziamento del suo tessuto industriale e del terziario avanzato. Da questo punto di vista un elemento assai importante saranno scopi e modalità d’intervento della “banca per gli investimenti pubblici” prevista dal contratto di governo, e l’azione nei prossimi mesi del gruppo Cassa Depositi e Prestiti. E’ essenziale che quest’ultima sia chiaramente orientata anche all’obiettivo strategico dello sviluppo territoriale, negli ultimi anni assente.

Il quadro è assai più negativo per gli investimenti pubblici. Siamo ai minimi storici, scesi da circa il 3% a circa il 2% del PIL nell’intera Italia; da valori intorno ai 25 miliardi all’anno di inizio secolo ai 13-14 degli ultimi tempi (a valori costanti) nel Mezzogiorno. Malissimo per l’intera Italia, ma ancora peggio, molto peggio, per il Sud: dove le carenze di quantità e qualità del capitale pubblico sono molto maggiori, e rappresentano un ostacolo proprio per l’espansione del sistema delle imprese di cui si è appena detto. Tra l’altro, stime per il Sud mostrano sia un effetto moltiplicativo sul reddito particolarmente alto, sia un forte effetto di induzione di sviluppo sul Centro-Nord: modernizzare territori e città del Sud fa benissimo a tutta l’Italia. Qui si scontano ritardi operativi (l’ultimo, recentissimo, rapporto Nuvec sui tempi delle opere pubbliche li mostra in aumento); crescenti difficoltà delle amministrazioni, per il loro impoverimento di personale e, a giudizio di molti, per il nuovo Codice degli Appalti. Ma anche le debolezze dell’azione degli ultimi due esecutivi, che poco e tardi hanno affrontato il tema: bassissima, ancora inferiore che in passato, è la spesa dei fondi europei. Condivisibili, dunque, sembrano sia le intenzioni di dare un forte impulso alla spesa al Sud della ministra Lezzi, sia le dichiarazioni del Ministro Tria sulla centralità degli investimenti pubblici.

Infine, note negative per la situazione e assai preoccupate per i possibili sviluppi vengono dal quadro dei servizi pubblici. Con l’austerità, e con alcune precise scelte politiche, i servizi pubblici al Sud sono stati particolarmente colpiti. Fortemente ridotto il sistema universitario, elemento centrale di una politica di sviluppo; crescenti le difficoltà per i sistemi sanitari, esposti ad un processo di risanamento finanziario che si è rivelato drammatico per personale, servizi e investimenti. In entrambi questi casi è forte e crescente la mobilità interregionale, che indebolisce ancor più il Mezzogiorno e crea evidenti circoli viziosi. E’ aperta la discussione su criteri e obiettivi di riparto territoriale della spesa, a cui continua a mancare l’elemento centrale: il livello essenziale delle presentazioni da garantire a tutti gli italiani. Si continua intanto a dipingere un Mezzogiorno che non esiste più, pieno di dipendenti pubblici: spigolando fra i dati Banca d’Italia si scopre che i dipendenti del settore pubblico locale (sanità, regioni e comuni, camere di commercio e università) sono per diecimila abitanti 183 in Lombardia, dalla tanto decantata virtuosità, ma 172 in Campania e 163 in Puglia. E in questi ambiti il Contratto di governo pone come assoluta priorità un’accentuata autonomia per le regioni del Nord che, se disegnata secondo le esplicite volontà leghiste, sarebbe assai dannosa per le altre regioni, forse letale per il Sud.

Non sono questioni locali. L’Italia è da tempo (anche nelle ultime previsioni della Commissione UE) ultima in Europa per crescita economica. Solo un forte sviluppo del Mezzogiorno può far aumentare strutturalmente questa insufficiente velocità

Gianfranco Viesti

 

MESSAGGERO e MATTINO

20.7.2018

Autonomia differenziata di Gianfranco Viesti

Autonomia differenziata di Gianfranco Viesti

Nelle prossime settimane, l’Italia come la conosciamo potrebbe andare in pezzi; e diventare un paese arlecchinesco nella sua organizzazione e dalle crescenti disparità nei diritti fra i suoi cittadini. Non si tratta di un giudizio politico o etico; ma di una valutazione tecnica, collegata al processo di aumento dell’autonomia delle regioni che si è avviato con i referendum lombardo-veneti dell’autunno. In particolare fa riferimento alla bozza di legge nazionale che è stata ufficialmente proposta nei giorni scorsi, per prima, dal Presidente leghista del Veneto come base per la trattativa alla sua controparte nazionale, cioè la Ministra leghista veneta titolare della materia (che “si sta muovendo bene, in maniera seria e attiva”, a giudizio dello stesso Presidente).

Questa proposta si basa su tre elementi fondamentali. Il primo riguarda il processo: si suggerisce che l’intera materia sia delegata dal Parlamento al Governo; che poi, tramite una Commissione paritetica Italia-Veneto dovrebbe predisporre tutti i relativi decreti legislativi (articoli 2 e 3).

Il secondo riguarda il merito. La Regione Veneto vuole una competenza esclusiva su tutto. Un elenco incompleto (art. 6): la programmazione dell’offerta formativa scolastica (regionalizzando gli insegnanti), i contributi alle scuole private, il diritto allo studio universitario, la cassa integrazione guadagni, la programmazione dei flussi migratori, la previdenza complementare, la contrattazione per il personale sanitario, l’offerta universitaria, i fondi per il sostegno alle imprese, le Soprintendenze, i fondi per l’edilizia scolastica, le valutazioni sugli impianti con impatto sul territorio, le concessioni per l’idroelettrico e lo stoccaggio del gas, le autorizzazioni per elettrodotti, gasdotti e oleodotti, la protezione civile, i Vigili del Fuoco, le strade e le autostrade, i porti e gli aeroporti (e una zona franca, tanto per gradire), la partecipazione alle decisioni relative agli atti normativi comunitari, la promozione all’estero, l’Istat, il Corecom al posto dell’AGCOM, le professioni non ordinistiche. E altro.

Il terzo riguarda i soldi (art. 7). Il Veneto non reclama solo le risorse attualmente spese dal Governo nazionale. Ma propone un nuovo meccanismo di calcolo (sempre stabilito dalla Commissione paritetica Italia-Veneto, e che dovrebbe valere solo per il Veneto) basato su “fabbisogni standard” che tengano conto anche del “gettito dei tributi maturato nel territorio regionale”; con la garanzia, pure, che le risorse crescano nel tempo con “le stesse dinamiche positive del PIL della Regione”.

Si tratterebbe di una sostanziale secessione. Ma conservando, comodamente, tutti i benefici dell’appartenere all’Italia e all’Europa. Ai giuristi stabilirne la costituzionalità; ma la sostanza è chiarissima. La modalità di decisione taglierebbe completamente fuori il Parlamento, i rappresentanti di tutti i cittadini italiani, dalla valutazione delle funzioni e delle risorse da trasferire e quindi dal ridisegno dell’intera amministrazione del paese; delegando il potere ad una commissione mista, come fra due stati sovrani. Implicherebbe la rottura della programmazione unitaria di tutte le infrastrutture e del funzionamento di tutti i grandi servizi nazionali. Renderebbe vacuo il ruolo strategico, di indirizzo e di coordinamento del governo nazionale; puramente rappresentativo il ruolo della Capitale. Determinerebbe meccanismi di calcolo delle risorse regionali caso per caso; e quindi la formalizzazione di gruppi di italiani di serie A e B (e C e D), con diversi diritti e diversi servizi.

L’aspetto straordinario è che di fronte a questa proposta – tecnicamente eversiva degli attuali assetti – l’intera politica italiana tace. Non solo la Lega, che non ha interesse a rendere evidente il suo ruolo, da sempre, di partito territoriale, attento agli interessi di una parte sola del paese. Tacciono i 5 Stelle alleati di governo, alle prese con i fondamentali vitalizi. Ma tace anche l’opposizione; in particolare quella di centro-sinistra che appare, anche su questa materia, in uno stato comatoso. Anzi sul quel fronte, le giunte “rosse” si sono precipitate anch’esse a richiedere condizioni particolari di autonomia. Il culmine si è raggiunto quando anche alcuni regioni del Sud (a cominciare dalla Puglia) le hanno seguite. Forse per puro protagonismo mediatico dei Presidenti; forse per il desiderio di ottenere qualche potere di interdizione in più per la politica regionale; fingendo di dimenticare che questo processo rischia di essere devastante per tutti i cittadini del Centro-Sud. Tra l’altro, con un governo che mira con la flat tax ad una forte caduta del gettito fiscale nazionale, e con questi processi di autonomia fiscale regionale, è evidente che sarà il ruolo perequativo della finanza pubblica nazionale a vantaggio dei cittadini dei territori più deboli a risentirne nettamente.

Ora la trattativa dovrebbe essere condotta per quasi tutte le attuali regioni a statuto ordinario, definendo competenze (e meccanismi finanziari ad hoc?) caso per caso. Si sta così generando una situazione di grande caos. Ma in cui un aspetto è chiarissimo. Tutti i protagonisti mirano solo ad interessi particolari, personali, territoriali; a nessuno sembra interessare l’Italia; il complessivo interesse nazionale, la sostenibilità dell’organizzazione statuale, il ruolo di governo dell’intero paese, un corretto rapporto fra Roma e le regioni, l’eguaglianza dei diritti dei cittadini. Tutti sembrano condividere la sfiducia in un futuro comune di successo; propugnare solo la logica del “si salvi chi può”.

Gianfranco Viesti

 

pubblicati su Messaggero e Mattino

Dove va Catanzaro ? di Piero Bevilacqua

Dove va Catanzaro ? di Piero Bevilacqua

Non ha avuto molta fortuna, Catanzaro, con le classi dirigenti e gli amministratori che l’hanno governata nei 70 anni dell’Italia repubblicana. Per la verità, fin dalle sue lontane origini, né la geografia né la storia l’avevano favorita. Nata in tempi in cui le coste erano rese insicure dalla incursioni saracene e dalla malaria, i primi coloni si sono arroccati su ristretti   dorsi collinari che ne hanno condizionato la disponibilità di spazi e il futuro sviluppo. Ma anche la storia era stata avara con la città. In un simile sito era difficile che sorgessero ceti mercantili, come è accaduto a tante città medievali del resto d’Italia, che la arricchissero di strutture architettoniche, di edifici di pregio,

di manufatti artistici. E tuttavia, nel corso dei secoli, i proprietari terrieri, i contadini, i lavoratori della seta, le filatrici, che hanno sostenuto la sua modesta economia, l’hanno dotata di chiese, di conventi, di piazze, di strade, di palazzi nobiliari.E’ la Catanzaro che hanno ereditato i cittadini sino agli anni ’50 del secolo scorso. La Catanzaro che abbiamo conosciuto e amato, per la decorosa modestia delle sue costruzioni, la grazia di tanti edifici e piazze, per l’impronta che essa serbava di città messa su con la fatica e l’operosità di una popolazione non fornita di particolari vantaggi e ricchezze. E, sia chiaro, non era necessario attendere la cultura urbana dei nostri anni per apprezzare il fascino sia dell’impervietà del sito, che la modestia austera e semplice del suo decoro cittadino, le sue stradine e vicoli, i suoi slarghi improvvisi, i suoi imprevisti giardini pensili. François Lenormant, il grande studioso della Magna Grecia, che la visitò nel corso dell’Ottocento, la definiva una città vertiginosa. Dall’alto dei suoi colli, nell’aria sempre salubre per i venti che la battono, essa poteva ammirare il mare di colline che la circondavano da tutti i lati incontrando, a Sud, lo splendore lontano dello Jonio. Oggi quel paesaggio è stato devastato da una colata caotica di cemento, che ha disseminato costruzioni su ogni collina, dirupo, costone, cresta, anfratto e in tutte le direzioni possibili. Le terre intorno alla città che un tempo incantavano i viaggiatori stranieri oggi somigliano a un quadro infernale di Hieronymus Bosch.

Eppure non era un destino inevitabile, legato alla crescita della popolazione e alla necessaria espansione edilizia della città. Come tanti altri centri arroccati del nostro Sud, Catanzaro aveva davanti a sé una sola direttrice di sviluppo: espandersi verso il mare, andare verso la pianura, le valli che corrono vero lo Jonio. Invece, per valorizzare i terreni di poche famiglie proprietarie, la città, prima di scendere verso Sud, ha preso assurdamente la strada della montagna. L’egoismo di poche persone ha determinato le condizioni di vita urbana delle generazioni successive. Perché il traffico che soffoca il centro storico è anche dovuto alla necessità che tanti cittadini hanno di attraversarlo per raggiungere abitazioni e servizi collocati a Nord. E invece la città poteva conservare intatta la sua struttura medievale, e il suo fascino antico, e progettare interamente a valle la sua espansione moderna.

Ricordo questi aspetti perché ancora oggi le classi dirigenti cittadine si mostrano ostinate nei loro errori. A sfregi più o meno recenti si tenta di aggiungere nuovi oltraggi.Negli ultimi anni Catanzaro ha perso la grande opportunità di salvare il suo centro storico: poteva costruire al suo interno l’Università.Ricordo che in Italia, come nel resto d’Europa, l’Università è una creazione del mondo urbano. Perché non dotare   Catanzaro, che nei secoli passati non aveva avuto i mezzi per istituirla, del suo Studium? Invece no, è stata confinata a Germaneto. Nel frattempo i lungimiranti imprenditori cittadini, che non fanno profitti producendo beni, ma saccheggiando quel che resta del nostro territorio, hanno disseminato i dintorni di centri commerciali, distruggendo il piccolo commercio e svuotando una economia fondamentale per la città.

Naturalmente, non tutto sarebbe perduto se ancora si avessero a cuore le sorti di Catanzaro. Ci sono alcune facoltà nel centro storico, ci sarebbero, per la verità, anche migliaia di studenti che giornalmente vengono dai paesi vicini per frequentare gli istituti superiori.Una classe dirigente davvero pensosa del destino della città farebbe di tutto per trattenerli con case dello studente, residenze, servizi. Non si vede nulla di tutto questo, anzi si va in direzione contraria. Come ha denunciato Maria Adele Teti a nome di Italia Nostra, il comune ha in mente di trasformare l’antico convento della Maddalena, poi adibito a scuola elementare, in residenza per militari. Per militari? Ma se sono andati via! O si attende l’installazione di qualche base NATO nei dintorni? Si tratta di progetti grotteschi, che mostrano una continuità intollerabile con il comportamento dissennato del passato.Il centro storico della città è in agonia e i nostri amministratori non solo non appaiono capaci di progettare soluzioni, ma mostrano la consueta opacità affaristica nell’uso del patrimonio pubblico. Nel frattempo squilla il grandioso silenzio del ceto politico, degli intellettuali, dei normali cittadini, che non dicono una parola sulle scelte urbane che riguardano la città, la loro vita associata, ed è come se vivessero sulla luna.

 

 

ll diritto alle città di Battista A. Sangineto

ll diritto alle città di Battista A. Sangineto

Le città calabresi, ed i loro paesaggi, sono sotto assalto da molto tempo, ma ora l’attacco, in Calabria, si è fatto più duro, forse è quello finale, quello all’ultimo sangue. A Cosenza come a Catanzaro, i sindaci hanno deciso, programmato e attuato, come nel caso del capoluogo bruzio, la demolizione di edifici rinascimentali e post-rinascimentali nei Centri storici delle città che amministrano. La Petizione di Italia nostra, che vi invito a firmare, vorrebbe fermare la demolizione di alcuni edifici che si trovano nel Centro storico di Catanzaro: non solo il Convento della Maddalena ed il Convento della Stella costruiti fra il XVI ed il XVII secolo per erigere residenze per militari, ma anche il Convento di S. Agostino del XVII secolo per sostituirlo con nuove costruzioni destinate a funzioni imprecisate. Tutta questa furia demolitrice è finanziata, tramite la Regione Calabria, con il fondo europeo Horizon 2020.

Sì, proprio la Regione Calabria il cui presidente, Mario Oliverio, ha di recente affermato che “Il bando sul recupero e la valorizzazione dei borghi che sono un patrimonio incommensurabile della nostra terra, uno scrigno preziosissimo della nostra cultura e della nostra identità è un’altra grande occasione per dare impulso al cammino che abbiamo intrapreso. Facciamo nostra questa sfida culturale ad una impostazione che, per un lungo periodo di tempo, ha inteso la crescita e la modernità come sinonimo di creazione di nuove volumetrie ed eccessiva cementificazione”. Ecco, questa, è l’occasione buona per fare quello che ha detto: ritiri il finanziamento per questa ulteriore ed inutile cementificazione, presidente Oliverio.

Il Sindaco Abramo, nonostante avesse criticato il suo omologo cosentino proprio sul Centro storico, si comporta, dunque, nello stesso modo del Sindaco Occhiuto: entrambi demoliscono edifici antichi nei martoriati Centri storici delle loro città. Nel caso di Catanzaro per sostituire edifici di antica fondazione con il cemento armato, in quello di Cosenza per incapacità di gestire situazioni urbanisticamente, architettonicamente e socialmente complesse come quelle che si presentano nel pluristratificato e plurimillenario Centro storico bruzio. Sia nel caso di Catanzaro, sia nel caso di Cosenza non abbiamo percepito, purtroppo, la presenza dello Stato e dei suoi organi periferici, le Soprintendenze, ma sono sicuro che d’ora in poi il Soprintendente ABAP per le Province di Cosenza, Crotone e Catanzaro, dott. Mario Pagano, interverrà per far valere le leggi della tutela e per evitare gli ulteriori scempi che si preannunciano.

Di recente l’architetto Occhiuto, per sferrare il colpo finale, ha esteso la Zona a Traffico Limitato all’impervio Centro storico di Cosenza non per preservare e tutelare, come è accaduto dappertutto, i monumenti e gli edifici storici -per i quali ha già dimostrato, avendone demoliti alcuni, un totale disprezzo-, ma perché “con l’allungamento della vita … gli spazi urbani diventino percorsi di invecchiamento attivo, per stimolare le persone a camminare” (sic!). Nonostante la professione, l’architetto Occhiuto sembrerebbe aver fatto giuramento ad Ippocrate, invece che a Vitruvio.

L’attacco finale alle nostre città è stato sferrato, ma è stato sferrato in primo luogo contro i titolari del diritto alla città: i cittadini medesimi. Noi cittadini dobbiamo smetterla di subire e dobbiamo reclamare il diritto alla città, dobbiamo rivendicare il potere di dar forma ai processi di urbanizzazione, ai modi in cui le nostre città vengono costruite e ricostruite, e dobbiamo rivendicare il potere di farlo in maniera radicale.

Propongo la costruzione di un coordinamento fra gli abitanti delle città calabresi -potrebbe chiamarsi “Diritto alle città”- che si opponga a queste devastazioni urbane e del paesaggio rurale, che si opponga all’esproprio dei nostri diritti costituzionali e civici. Smettiamo di essere masse indistinte e prive di consapevolezza collettiva che popolano le città calabresi e proviamo ad essere una serie di comunità, una serie di comunità che abbiano, ognuna, la piena coscienza comune del nostro diritto alle città. Perché le città sono la rappresentazione materiale dei più importanti conflitti politici, sociali, culturali ed economici del nostro tempo.

 

Catanzaro, “Salviamo la Maddalena” Firma la petizione

Catanzaro, “Salviamo la Maddalena” Firma la petizione

PETIZIONE POPOLARE

L’ASSOCIAZIONE ITALIA NOSTRA SEZIONE DI CATANZARO, PROPONE ALLA POPOLAZIONE, FORZE POLITICHE E SOCIALI UNA PETIZIONE VOLTA ALLA REVOCA (o RIALLOCAZIONE) DEI FINANZIAMENTI REGIONALI ASSEGNATI AL COMUNE DI CATANZARO, NELL’AMBITO DELL’EDILIZIA PUBBLICA RESIDENZIALE, CON IL PARTENARIATO LOCALE (EX L.R. 33/1996), DA LOCALIZZARE, PREVIA LA DEMOLIZIONE, NEL GIÀ CONVENTO DELLA MADDALENA DEL XVI SECOLO, ADIBITO A SCUOLA ELEMENTARE, PER L’EDIFICAZIONE DI RESIDENZE PER FAMIGLIE DI MILITARI. NEI PROGETTI COMUNALI SONO, inoltre PREVISTE, LA DEMOLIZIONE DI ALTRE DUE STRUTTURE, EX CONVENTI DEL XVI e XVII SECOLO, STRUTTURE CHE, OPPORTUNAMENTE RESTAURATE, FAREBBERO LA FORTUNA DI QUALUNQUE CENTRO STORICO!

 

Il quartiere Maddalena, che prende il nome dal convento e chiesa esistenti fin dal XVI sec., è uno dei quartieri più importanti della città, dove nel passato sono state localizzate importanti funzioni urbane, religiose, giudiziarie e produttive (filanda Bianchi) e numerosi palazzi nobiliari ( Marincola, Veraldi, De Salazar, De Riso ecc) e, fino a tempi recenti, sede di botteghe artigiane qualificate (ebanisti, restauratori, decoratori, argentieri ecc.). Nel recente passato incolti amministratori hanno procurato ferite gravi con la demolizione e realizzazione di due complessi edilizi residenziali, gli immobili noti come “palazzo Silipo”, (adiacente alla chiesetta storica della Maddalena) e “palazzo Failla” che hanno non poco alterato l’assetto complessivo. Trattasi inoltre di un quartiere tipico dell’assetto urbano della città che si dipana in stretti vicoli e si attesta su una piccola piazzetta triangolare posta sul declivio sud della città. In realtà al di là dei palazzi nobiliari citati, l’edilizia presente è di piccole strutture residenziali tipiche dell’età medievale e oltre, dove la nuova costruzione calerebbe come un inutile oggetto estraneo ai contesti. Un quartiere di difficile accesso dove sono inesistenti i parcheggi anche per gli abitanti attuali. Il convento si attesta alla base dell’omonima piazzetta triangolare e posto in un “cul de sac” da cui è difficile uscire.

Distruggere l’ex convento, che malgrado le recenti trasformazioni mantiene le strutture originarie intatte, con la tipica muratura in tufo, anche se occultata da paramenti in cemento e intonaci recenti, vuol dire procurare una ferita indelebile e definitiva al centro storico della città, già fortemente compromesso da precedenti demolizioni che, alterando il primitivo assetto medievale, hanno sortito un ibrido che fa annoverare la città tra le più brutte d’Italia. In questo SACCHEGGIO, sono sopravvissute alcune strutture site nei quartieri periferici, oggi oggetto di pernicioso interesse dell’Amministrazione comunale, che vorrebbe distruggere manufatti rinascimentali, degradati e alterati da decenni di colpevole incuria (CONVENTO DELLA MADDALENA, CONVENTO DELLA STELLA costruiti tra XVI e XVII sec.), PER REALIZZARE RESIDENZE PER MILITARI ( L.R.33/1996). Inoltre il CONVENTO DI S. AGOSTINO già OSPEDALE CIVILE (XVII SEC.) che si vorrebbe demolire e adibire a varie funzioni. Nel convento della Stella, dove esiste un contenzioso sulla proprietà, si è presentato, con la Regione, sul fondo europeo Horizon 2020 ”SmartINSPACT”, un progetto per la realizzazione di residenze militari! SEMBRA STRANO CHE SI REALIZZINO TANTE RESIDENZE MILITARI OGGI CHE LA DIVISIONE MILITARE NON CÈ PIÙ NELLA CITTÀ!

Nel Centro storico, d’altra parte, l’unica cosa di cui non si sente la necessità, è di residenze: moltissime sfitte quasi tutte degradate che aspettano di essere recuperate, attraverso un’opera di vera rigenerazione urbana, rispettosa dei caratteri originari.

SI DELINEA UN VERO ATTENTATO AL CENTRO STORICO di Catanzaro CUI INTENDIAMO OPPORCI CON TUTTE LE NOSTRE FORZE APPELLANDOCI ALLE FORZE SANE DI QUESTA CITTA’, REGIONE, SOPRINTENDENZA E all’opinione pubblica nazionale NAZIONALE, AL FINE DI SCONFIGGERE L’ANTISTORICO PROGETTO POSTO IN CAMPO DALL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE

LA NOSTRA PROPOSTA È CHE L’IMMOBILE RESTAURATO VENGA ADIBITO A STRUTTURE UNIVERSITARIE E DI RICERCA MANCANTI IN CITTÀ, dove, per reperire locali da adibire a Master universitari, si è chiuso l’Archivio Storico Comunale, dopo anni spesi faticosamente ad allestirlo !

I calcoli di 4 milioni di euro necessari -secondo i dati forniti dal comune – al restauro della Maddalena, sono volutamente gonfiati a dismisura per dare una giustificazione plausibile ad un assurdo progetto di ricostruzione che costerà molto di più. Visto, infatti, che sono previsti due milioni di euro per la sola demolizione del vecchio fabbricato, mentre non viene per niente menzionato la perdita storica della città e il danno irreparabile alla sua immagine complessiva.

La realtà è che IL COMUNE DI CATANZARO È ORMAI DA ANNI CHE HA RINUNCIATO AD UNA RAZIONALE PIANIFICAZIONE URBANISTICA (si vedano le vicende per la redazione del PSC, ancora mancante, di adeguamento alla legge regionale 19/2002!) e pertanto è sempre impreparato a programmare una strategia volta a utilizzare proficuamente, senza demolire antichi fabbricati, i finanziamenti regionali ed europei. Ciò è dimostrato dall’incapacità di redigere, a partire dal secondo dopoguerra, un piano urbanistico in grado di prefigurare uno sviluppo reale della città capoluogo di regione. I progetti e piani hanno sempre guardato più agli interessi particolari, di proprietari e costruttori, che alla reale necessità della popolazione e allo sviluppo della città, che sempre più sprofonda nello spopolamento e nel caos edilizio.

IL CENTRO STORICO, MALGRADO TUTTO, MANTIENE UNA RICONOSCIBILITA’. SALVIAMOLO E PRESERVIAMOLO DA ULTERIORI MANOMISSIONI, ANCHE sottoscrivendo QUESTA PETIZIONE.

ADESIONI : catanzaro@italianostra.org

Primi firmatari:

Maria Adele Teti

Salvatore Settis

Vezio De Lucia

Enzo Scandurra

Piero Bevilacqua

Battista Sangineto

Ilaria Agostini

Alberto Ziparo

Tonino Perna

Luisa Marchini

Anna Marson

Vito Boarini

Roberto Budini Gattai

Piero Caprari

Giorgio Nebbia

Paola Bonora

Francesco Santopolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se la Lombardia pensa solo agli affari suoi di Gianfranco Viesti

Se la Lombardia pensa solo agli affari suoi di Gianfranco Viesti

Che succederà al funzionamento e al finanziamento dei grandi servizi pubblici nazionali, e quindi ai diritti di cittadinanza di tutti gli italiani con un governo nel quale la Lega ha un ruolo primario? Qualche indicazione ci viene dall’intervista rilasciata ieri a questo giornale dal Presidente della Lombardia Attilio Fontana.

L’intervista prende spunto dalle trattative in corso fra il governo (rappresentato dal ministro Erika Stefani, della Lega) e le regioni Lombardia, Veneto e Emilia (le prime due con Presidenti leghisti) sul trasferimento di ulteriori competenze, e delle relative risorse, in seguito alla richiesta di maggiore autonomia: sostenuta nei primi due casi anche dai referendum dello scorso ottobre. Fontana rivela che la Lombardia sta preparando per metà luglio un documento sulle materie che la regione vuole gestire e sulle procedure da seguire. Come era lecito attendersi, su questo specifico aspetto del Contratto di Governo si procederà a passo di carica.

Si tratta di temi di grande rilevanza: il riferimento è alle 23 materie di “legislazione concorrente” elencate al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Fra di esse, l’istruzione, la previdenza complementare, la ricerca scientifica, i porti e gli aeroporti, le grandi reti di trasporto, l’energia, il commercio con l’estero e i rapporti con la UE, la protezione civile e il governo del territorio, i beni e le attività culturali; e altre ancora. In questi casi oggi la legislazione dello Stato determina i principi fondamentali, in base ai quali le Regioni esercitano la propria potestà legislativa. E’ evidente che il venir meno di principi fondamentali nazionali in materie così ampie e delicate in alcune importanti regioni avrebbe conseguenze assai rilevanti sull’organizzazione e il funzionamento di fondamentali beni e servizi pubblici nell’intero paese. Ciascuno può immaginare, a partire dalla scuola, che situazione si potrebbe creare con tre grandi regioni del Nord (e magari altre che le seguissero) che legiferano a propria assoluta discrezione.

L’idea di Fontana e della Lega è che più si spostano competenze verso le regioni, meglio è. Ma questo è dubbio: sia per i cittadini delle regioni coinvolte sia per gli altri. Possono esservi ambiti in cui una maggiore autonomia si giustifica; altri invece in cui è assai discutibile: nell’elenco ce ne sono molte in cui una frammentazione di regole e competenze potrebbe essere assolutamente negativa.

Il discorso va fatto pragmaticamente, caso per caso, e a partire da una concreta evidenza dei vantaggi dell’autonomia per i cittadini coinvolti, e dell’assenza di svantaggi per gli altri. Quel che è certo è che il tema riguarda tutti gli italiani; merita una ampia e tempestiva informazione e un’approfondita discussione pubblica; i tempi necessari a maturare decisioni ben fondate. Appare assai incongruo, per usare un eufemismo, che il Presidente del Consiglio abbia attribuito questa competenza, e quindi la difesa dell’interesse nazionale, ad un Ministro di un partito che da sempre guarda più agli interessi delle regioni coinvolte, cioè della “controparte”, che a quelli di tutti i cittadini. Uno dei grandi obiettivi che si vogliono raggiungere con l’autonomia è il grande aumento del potere, e della capacità di regolazione e di intermediazione della politica a livello regionale. Questo dipende anche dal disporre di risorse molto maggiori. Il Presidente della Lombardia quantifica in 8-9 miliardi per la sola Lombardia il valore dei finanziamenti coinvolti; citando però una stima fatta da un’associazione di categoria (veneta) non particolarmente autorevole su questioni così delicate.

Per cominciare a ragionare ci vorrebbero numeri certi. Fontana, quasi en passant, smentisce mesi di propaganda, e il suo stesso collega veneto: quel che la Lombardia chiede è solo quanto oggi lo Stato centrale spende, su quelle materie, nel territorio della Lombardia: “non stiamo parlando di residuo fiscale” ma di “fondi che comunque ci sono dovuti”. Bene, dunque, che si abbandoni la propaganda sul residuo fiscale. Ma male che il Presidente si rifiuti di considerare i “soldi che ci sono comunque dovuti” nel quadro d’insieme delle risorse disponibili in Italia e dei loro criteri di riparto; di leggere, insieme agli articoli 116 e 117 della Costituzione, anche il 119.

Che dispone che “la legge dello stato dispone di un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante” e che “lo Stato destina risorse aggiuntive e effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni”: in entrambi i casi il chiaro riferimento è al Mezzogiorno. Sono principi basilari della nostra convivenza nazionale: il gettito fiscale non è delle regioni, ma deve essere usato per garantire diritti di cittadinanza e prospettive di sviluppo a tutti i cittadini italiani. Si tratta di diritti, non di elemosine.

L’autonomia per alcune regioni va definita tenendo prioritariamente in evidenza anche questi diritti; per tutti. E spiace molto che invece Fontana ritenga che il tema dei livelli essenziali di assistenza “non c’entra nulla con l’autonomia” e che la perequazione tra Nord e Sud “non è un problema all’ordine del giorno”. Spiace che il Presidente della più grande regione italiana ritenga che il suo ruolo sia solo quello di occuparsi degli interessi del suo territorio e non di contribuire ad una discussione, complessa ma imprescindibile, sull’intero paese; che interpreti il ruolo di Milano solo come quello di un capoluogo amministrativo di regione, e non come di una delle città guida dell’intero paese. Una “capitale morale” che ha grande potere ma anche grandi responsabilità sulle prospettive dell’intera Italia.

 

Gianfranco Viesti

 

pubblicato su Il Mattino 29.6.2018