Sadismo per piegare e sottomettere la vita di Lucano di Tonino Perna

Sadismo per piegare e sottomettere la vita di Lucano di Tonino Perna

C’è una strana atmosfera a Riace il giorno in cui il suo sindaco lascia il paese come fosse un criminale. Esiliato, umiliato, sradicato, trattato peggio di un cane randagio. «Era meglio se fosse rimasto agli arresti domiciliari» – dicono i suoi amici.

Va detto, per chi non lo sapesse, che da queste parti il divieto di residenza si è sempre comminato solo ai boss della ‘ndrangheta.

Il cielo è carico di nuvole, l’aria pesante e nella piazza principale prospicente l’anfiteatro con i colori dell’ arcobaleno (dove una volta c’era una discarica), fino a pochi giorni fa attraversata da turisti solidali, manifestanti, e tanti immigrati, solo operatori tv e giornalisti di tante testate nazionali, fermi ai lati della piazza, in attesa. Aspettano notizie di Domenico Lucano, intervistano per l’ennesima volta il padre e il fratello, cercano di saperne di più da qualche anziano seduto al bar, ma del sindaco più perseguitato d’Italia non c’è traccia. Il fratello dice che è andato a Monasterace per parlare con un avvocato, altri lo danno a Caulonia. Gli abitanti di Riace attendono increduli e preoccupati. Rischiano di saltare decine di posti lavoro per i giovani “italiani” puro sangue che lavorano nella prima e seconda accoglienza, e allo stesso tempo rischiano di chiudere i bar, le botteghe: tutto il paese teme di ritornare al passato, all’abbandono, alla morte civile.

I centocinquanta immigrati restano a Riace, non sono andati via come avrebbe voluto il ministro degli internati, ma sono molto preoccupati per il loro futuro. Dalla scorsa settimana gli esercizi commerciali non accettano più i bonus, o voucher, con cui da sette anni gli immigrati facevano tranquillamente la spesa alimentare, andavano al bar, si compravano vestiti, sigarette o altro. A differenza di altri centri di accoglienza, il sindaco Lucano ha voluto che gli immigrati accolti a Riace, indipendentemente dal loro status giuridico, potessero liberamente fare i loro acquisti come qualunque altro cittadino. A sua volta i commercianti del paese e delle aree limitrofe erano ben contenti di ricevere i bonus che potevano successivamente, quando il Comune riceveva dallo Stato il dovuto, scambiarli in euro. Il sistema funzionava così bene che è stato imitato a Caulonia, Camini, e diversi altri Comuni limitrofi. Ma, come sappiamo, improvvisamente al Ministero hanno cambiato occhiali: la rendicontazione che era stata accettata per sette anni adesso non era più ricevibile. Come si legge dalla relazione del direttrice del servizio centrale dello Sprar, Daniela di Capua, il primo e più grave capo di imputazione riguarda proprio questi bonus. Scrive testualmente Di Capua: «Per esempio Lucano si è inventato la moneta locale. Abbiamo spiegato che secondo la legge dello Stato non si poteva fare, che in caso si poteva utilizzare la moneta come buoni pasto ma il sistema andava aggiustato. Non siamo stati ascoltati». Incredibile: non c’è nessuna differenza nel modo con cui sono stati utilizzati i bonus a Riace e un buono pasto comunale!

Quello che più colpisce è il sadismo con cui si cerca di piegare, sottomettere, distruggere l’immagine e la vita stessa di Domenico Lucano. L’aver estromesso lui da Riace e obbligare la sua compagna eritrea a firmare ogni mattina nello stesso paese, ci sembra un atto degno di un tribunale della Santa Inquisizione. Ma, Lucano non si arrende e dice chiaramente: «Ritorniamo alle origini, quando per anni l’accoglienza a Riace si è fatta senza un soldo dello Stato». E ripetono in tanti nel paese: non ci arrendiamo. Riace riparte con l’appoggio di tanti soggetti sociali, associazioni, cooperative sociali, rete del commercio equo e solidale, che da tutta Italia, e anche dall’estero (a partire da Longo Mai), hanno manifestato con forza e determinazione la volontà di sostenere l’esperienza di Riace e del suo sindaco che della solidarietà ne ha fatto una ragione di vita.

il Manifesto 18.10.18

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