Il trasporto ferroviario in Italia nel XXI secolo: un paese sempre più diseguale di Gianfranco Viesti

Il trasporto ferroviario in Italia nel XXI secolo: un paese sempre più diseguale di Gianfranco Viesti

Le politiche per il trasporto ferroviario degli ultimi due decenni – tanto per le reti quanto per i servizi – hanno determinato un incremento delle disparità esistenti in Italia, in particolare, anche se non solo, fra Nord e Sud (si veda la Figura 1, che si riferisce a tutti i mezzi di trasporto). Nell’insieme, le politiche per il trasporto ferroviario hanno accresciuto dotazioni di rete e fornitura di servizi principalmente laddove i redditi sono maggiori e il mercato già sviluppato e non li hanno incrementati, o li hanno ridotti, nelle aree più deboli; hanno accresciuto la capacità solo laddove la domanda era già più intensa. Data la grande rilevanza della mobilità delle persone nell’economia contemporanea, questa situazione continua ad avere un significativo impatto sulle diverse possibilità di sviluppo dei territori italiani.

Figura 1 Accessibilità delle province italiane (numeri indice, media = 100)

Fonte: Banca d’Italia (2019), pag. 219

Questo contributo presenta alcune evidenze in merito, in particolare per il trasporto passeggeri a media-lunga distanza, anche in connessione ai nuovi servizi ad “alta velocità” (AV).

L’alta velocità ferroviaria rappresenta l’unico grande progetto di modernizzazione del paese realizzato in questo secolo; le sue vicende sono analizzate, fra l’altro, in un recente, assai documentato, volume curato da Ennio Cascetta (2019). Si è trattato di una scelta storica: nel secondo dopoguerra l’Italia ha sostanzialmente abbandonato il trasporto pubblico su ferro, per concentrare investimenti e attenzioni su quello privato su gomma. Fra le città; e nelle città, come testimoniato ad esempio dal completamento dello smantellamento della enorme rete tramviaria di Roma, senza sostituirla con altre forme di trasporto pubblico collettivo. Con il volgere del secolo l’indirizzo è mutato: sia nelle città (il Passante a Milano, la Metro a Napoli), sia fra le città. L’alta velocità è stata avviata nel 1975 con la direttissima Roma-Firenze; poi rilanciata nel 1992. Ha accumulato notevolissimi ritardi, ma nel primi anni del nuovo secolo ha visto il completamento di gran parte della rete programmata; e ormai da circa dieci anni l’avvio di regolari servizi. Come noto, le reti realizzate coprono l’asse Nord-Sud da Milano a Salerno, e quello Ovest-Est da Torino a Brescia; è in corso il suo completamento fino a Venezia, così come è programmato un altro asse Ovest-Est, da Napoli a Bari (MIT 2018).

L’investimento italiano sul trasporto ad alta velocità ha avuto ombre e luci. Fra le prime, costi di realizzazione molto più alti che in Francia o Spagna, anche laddove la conformazione del territorio non giustificherebbe queste differenze. Fra le seconde, la circostanza che le risorse investite per le reti hanno alla fine determinato servizi molto migliori per i cittadini delle aree urbane interessate, cioè circa 20 milioni di italiani (Cascetta 2019, pag. 22). La disponibilità di servizi è cresciuta notevolmente, dalle 71 corse/giorno del 2009 alle 303 del 2019; da Milano e Roma  circolano oggi 78 treni al giorno, 62 fra Napoli e Roma, 54 fra Torino e Milano. Fra il 2009 e il 2017 i passeggeri sono aumentati da 15 a 45 milioni. L’offerta di questi servizi ha spostato domanda dall’auto e dall’aereo verso il treno (sia per il risparmio di tempo sia per il crescente comfort del viaggio), con notevoli affetti ambientali positivi. Ma ha anche determinato spostamenti aggiuntivi: 10 milioni di viaggiatori sono stati sottratti agli aerei, 9 alla strada, 7 alla ferrovia tradizionale ma vi sono stati anche 17 milioni di nuovi spostamenti (Cascetta 2019, pagg. 37-39). Dal 2012 opera sul trasporto ad alta velocità anche l’operatore privato NTV, che nel 2019 offre 90 corse al giorno in aggiunta alle 213 di Trenitalia. Stando alle analisi contenute in Cascetta (2019, pag. 59), la concorrenza ha determinato un notevole ampliamento delle soluzioni tariffarie e una sensibile riduzione dei costi medi: essi sono diminuiti del 41% fra il 2011 e il 2017. Ancora, vi sono evidenze che la disponibilità di servizi abbia favorito lo sviluppo del turismo nelle aree raggiungibili dall’alta velocità: circa 8 milioni di viaggi/anno con motivazione turistica, di cui 2 milioni effettuati da stranieri (Cascetta 2019, pag. 44). Non tutte le linee ad alta velocità hanno però avuto la stessa priorità. Nel disegno dell’AV c’è anche la tratta da Napoli a Bari: ma, pur programmata da molti anni, non ha sinora fatto grandi progressi. Nel 2012 l’allora Ministro Fabrizio Barca (governo Monti) siglò un contratto istituzionale di programma (CIS) con il gruppo FS, che prevedeva impegni dettagliati, e cadenzati anno per anno, su quella  tratta per accelerarne la realizzazione. Fino al 2015 l’allegato “Aree Sottoutilizzate” al Documento di Economia e finanza ne riportava l’attuazione. Si scopriva così che gli impegni non venivano rispettati: per il 2015 il gruppo FS aveva ad esempio realizzato solo il 27% degli investimenti per cui si era impegnato quell’anno. Dal 2016 il problema è stato risolto: i dati del CIS non vengono più pubblicati in quel documento. Se è certamente vero che tutti gli investimenti pubblici sono rallentati con la crisi, quelli per l’AV Napoli-Bari sembrano aver sofferto di particolari ritardi.

Naturalmente, non è possibile ipotizzare investimenti ad alta velocità – anche per il loro costo – su tutte le tratte nazionali. Ma ciò che rileva è che sia mentre veniva realizzata l’alta velocità sia successivamente vi sono stati investimenti assai modesti nelle altre aree del paese e soprattutto un peggioramento dei servizi.

Guardiamo in primo luogo ai dati sugli investimenti. La tabella 1 contiene i risultati di una originale elaborazione di dati dei Conti Pubblici Territoriali[1]. Da essa è possibile vedere che gli investimenti pubblici nelle ferrovie fra il 2000 e il 2017 sono ammontati a quasi 100 miliardi (euro costanti 2010).

Tabella 1 Investimenti pubblici nelle ferrovie 

Di essi, 57 miliardi nei primi nove anni (fra il 2000 e il 2008 compresi); a fini di una comparazione di larga massima si può tenere presente che la spesa per la realizzazione dell’alta velocità è stimabile sinora in 30-35 miliardi, per una quota rilevante effettuata in quegli anni. Non a caso, in quel periodo gli investimenti si sono massicciamente concentrati proprio nelle regioni toccate dalle linee AV. Circa 7 miliardi in Piemonte, Lombardia e Toscana, 6 nel Lazio, 5 in Emilia-Romagna. Queste cinque regioni hanno ricevuto il 57% del totale; a livello di circoscrizioni, il 53% è stato al Nord, il 28% al Centro e il 18% nel Mezzogiorno (Sud e Isole), in cui risiede il 34% della popolazione italiana. La differenza di intensità è leggibile attraverso i dati espressi in pro-capite; si va, per le maggiori regioni italiane presentate in tabella, dai 226 euro per abitante della Toscana ai 41 della Puglia.

Ma ciò che più rileva ancor più sono i dati dei nove anni successivi (dal 2009 al 2017 inclusi). Complessivamente, gli investimenti in ferrovie si riducono, anche a causa delle politiche restrittive di bilancio: si scende da 57 a 42 miliardi. Ma la loro concentrazione territoriale non muta; gli investimenti nel Mezzogiorno rimangono limitatissimi, per quanto il loro peso sul totale cresca marginalmente (dal 18% al 23%); gli investimenti 2009-17 nella sola Lombardia sono superiori a quelli in tutte le regioni del Sud continentale. Questi dati mostrano che anche dopo aver realizzato le linee ad alta velocità non vi è alcun indirizzo per accrescere gli interventi per il potenziamento e l’ammodernamento delle reti esistenti nelle altre aree del paese, in particolare nel Mezzogiorno.

Il quadro delle disparità territoriali non sembra destinato a mutare rapidamente. Per la rete ferroviaria italiana viene disegnata una interessante strategia dell’”alta velocità di rete” (Cascetta 2019, pp. 70 e seguenti), che merita attenzione. Nel Piano Industriale 2019-2013 delle FS è indicato l’obiettivo di 16 miliardi di investimenti nel Mezzogiorno (FS 2019). Tuttavia, stando ai dati d’insieme presentati nell’importante documento del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (MIT 2018) “Connettere l’Italia”, i programmi prioritari invarianti per le Ferrovie, che impegneranno il paese per i prossimi lustri continuano a concentrarsi prevalentemente nelle aree del Nord del paese (tabella 2). Al Sud sono previsti, oltre alla Napoli-Bari (5,8 miliardi), velocizzazioni sulla Salerno-Reggio Calabria per circa 400 milioni e interventi sulle reti siciliane per 6 miliardi. Anche ipotizzando che essi saranno poi effettivamente realizzati, si tratterebbe di un intervento per un valore di circa un quarto del totale, largamente inferiore al peso del Mezzogiornosul totale della popolazione, non in grado di compensare il grande divario nelle dotazione e il mancato investimento degli ultimi decenni.

Tabella 2 Programmi prioritari invarianti

Mentre crescevano moltissimo i servizi sulle linee AV si riducevano sulle altre. In parte come effetto diretto proprio dei nuovi collegamenti: per Genova “la realizzazione della dorsale si è tradotta nella deviazione dei servizi provenienti da Torino e diretti a Roma, con riduzione netta delle frequenze di collegamento per la capitale” (Cascetta 2019, pag. 67). Ma lo stesso è avvenuto in altre parti del paese, a causa della forte riduzione delle risorse pubbliche nazionali per il trasporto ferroviario interregionale, con la  scomparsa, ad esempio, dei servizi fra Pescara e Roma, o sulla dorsale ionica. I collegamenti nel Mezzogiorno sono in particolare estremamente modesti: le due principali città del Sud continentale, Napoli e Bari non hanno neanche un collegamento ferroviario diretto.

Se ne ha contezza con i dati dell’assai ben documentato rapporto “Pendolaria” (Legambiente 2019): nel 2010-17, mentre i passeggeri dell’AV aumentavano del 114%, quelli degli intercity calavano del 42%. Nell’insieme, dal 2002 ad oggi il servizio Intercity si è ridotto in tutto il paese, ma mentre in larghe fasce del Centro-Nord è nato il servizio AV, nel Centro-Nord periferico e nell’intero Sud è rimasto ben poco (Legambiente 2019). La figura 2 mostra un quadro di lungo periodo; certo, in misura importante si è trattato di sostituzione con i nuovi servizi AV; in altri casi si è sviluppata l’offerta dei voli low-cost. Ma non per tutti.

Figura 2 Traffico ferroviario passeggeri in Italia, 1990-2015

Fonte: Cascetta (2019), pag. 63 su dati CNIT, Istat, NTV, Trenord

La politica si è “ritirata”, riducendo le risorse per finanziare la mobilità interregionale su ferro, ed ha lasciato spazio prevalentemente al mercato: si viaggia solo dove conviene a chi offre i servizi. La figura 3 rende bene il quadro.

Figura 3 L’offerta di treni sulla rete ferroviaria italiana (2018)

Fonte: Legambiente (2019)

Infine, dati gli effetti della concorrenza sui prezzi nei collegamenti AV di cui si è detto, “le città non servite dall’AV non solo hanno minori collegamenti (frequenze più basse) con prestazioni (velocità commerciale) inferiori, ma tariffe più alte” (Cascetta 2019, pag. 68). Si vedano i dati della tabella 3: la tariffa economy, per cento km fra Firenze e Napoli è di 5,5 euro, ma per 100 km fra Milano e Genova è di 12,1 euro e fra Napoli e Reggio Calabria è di 9,3 euro.

Tabella 3 Frequenze, velocità e tariffe medie di treni diretti fra alcune principali città italiane

Fonte: Cascetta (2019, pag. 69)

Per gli esclusi dall’alta velocità il mancato ammodernamento delle reti è stato accompagnato da un netto peggioramento del servizio offerto: meno collegamenti e relativamente più cari. Nell’insieme si ha l’impressione che le scelte pubbliche si siano limitate a lasciare che le esigenze aziendali del Gruppo FS guidassero l’evoluzione del paese; naturalmente, dato che esse producevano l’effetto desiderato. Ciò solleva un grande tema: quello di discutere pubblicamente i grandi indirizzi politici che devono guidare l’azione delle società a controllo pubblico; bene fa il Forum Disuguaglianze e diversità (2019) a porre il problema della missione che deve essere affidata alle imprese pubbliche.

A ciò dovrebbe essere aggiunta la situazione del trasporto ferroviario all’interno delle regioni (CDP 2017, Ambrosetti 2019, Legambiente 2019). In questa sede può solo essere ricordato che “al Sud storicamente circolano meno treni, ma in questi anni sono diminuiti ancora per i tagli ai regionali e agli intercity. Ogni giorno in tutto il Sud circolano meno treni regionali che nella sola Lombardia” (Legambiente 2019, pag. 12). Il servizio ferroviario è quasi inesistente nelle Isole: in Sicilia ci sono 428 corse (lentissime) di treni regionali contro 2396 in Lombardia. Infine, occorrerebbe considerare anche il trasporto urbano o peri-urbano: nel trasporto pubblico locale si sono consolidate e accentuate grandi disparità, con forti riduzioni dell’offerta di posti/km per abitante in quasi tutte le regioni e grandi città (con la rilevante eccezione di Milano), in particolare del Mezzogiorno: si vedano i dati Istat presentati in Balduzzi (2018). Trasporto regionale e offerta di trasporto pubblico locale dipendono dalle amministrazioni regionali e locali: sia dalle loro scelte politiche e capacità tecniche, sia dalle risorse che essi hanno a disposizione. Altra questione fondamentale, anche connessa ai più generali criteri di riparto territoriale delle risorse pubbliche.

In conclusione, la politica del trasporto ferroviario è intervenuta quasi esclusivamente con investimenti e servizi sulle tratte più redditizie. Si è trattato di una delle non poche politiche pubbliche di questo secolo che hanno coscientemente e intensamente accresciuto le disparità territoriali e creato le condizioni affinchè esse crescano ulteriormente in futuro.

*Università di Bari

**L’autore desidera ringraziare, per gli utili commenti ricevuti, la Redazione di economiaepolitica.it e il Prof. Andrea Boitani (Università Cattolica, Milano).

fonte: https://www.economiaepolitica.it/

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