Mese: settembre 2021

Ecco perché sostengo de Magistris.- di Piero Bevilacqua

Ecco perché sostengo de Magistris.- di Piero Bevilacqua

Col garbo e la finezza argomentativa che lo contraddistinguono, Agazio Loiero polemizza con me su questo giornale( 26/9 ) perché io, in quanto intellettuale, e dunque dotato di ampie capacità di valutazione e di giudizio, sostengo la candidatura di Luigi de Magistris a presidente della Regione Calabria.

Cercherò perciò di esporre le ragioni per cui, proprio in virtù delle doti che lui mi attribuisce, io sostengo convintamente questa candidatura.Non senza aver espresso tuttavia, preliminarmente, il disagio di una discussione così impostata, che mi pone in una posizione di “avvocatura” nei confronti di una singola persona, quando noi, a pochi giorni dal voto, dovremmo parlare dei drammatici nodi che strangolano la regione, di programmi di riforma, di prospettive possibili per le nuove generazioni.

Ma questo è lo stato degenerato della democrazia e della vita politica in Italia. Si discute solo di uomini, di alleanze, di posizionamenti, di gruppi, cioé solo di potere, di ceto politico: i cittadini, le masse lavoratrici, le loro condizioni, sfuggono al radar di ogni considerazione.

Loiero muove critica a due apetti e momenti dell’eperienza pubblica di de Magistris: in quanto magistrato, che ha operato in Calabria per alcuni anni e in quanto sindaco di Napoli, dove non avrebbe combinato granché. Da magistrato avrebbe condotto “molte inchieste quasi tutte senza successo”; e soprattutto ha inviato avvisi di garanzia a personaggi pubblici – Prodi, Mastella, lo stello Loiero – che non avrebbero poi condotto ad alcuna condanna giudiziaria. Ma, osserva Loiero, mettere sotto accusa i potenti offre a un magistrato una visibilità mediatica enorme.

Una possibilità che de Magistris ha sfruttato a piene mani. Questo dimostrerebbe che l’attuale sindaco di Napoli sarebbe “l’archetipo di una Italia guappa e furba in cui la demagogia si coniuga con il diffuso populismo”.

Non è possibile, in un breve articolo, entrare nel merito di complicate vicende giudiziarie (ammesso di possedere le conoscenze necessarie per farlo) e io posso anche concedere ad Agazio, nel merito, qualche imprudenza, errore ed avventatezza del magistrato de Magistris, allora trentenne. Ma sotto il profilo politico io traggo conseguenze opposte. Un magistrato che punta a indagare sui potenti è un uomo coraggioso, che in un paese come l’Italia rischia di rompersi l’osso del collo, di compromettere per sempre la propria carriera.

Qui non si tratta di guapperia, caso mai di temerarietà e in una regione come la Calabria, segnata da tanta corruzione e malavita, un presidente intransigente sul piano della legalità è quanto mai necessario. A de Magistris non chiediamo di tornare a fare il magistrato, ma di governare la regione.

Su un punto devo dare ragione ad Agazio, là dove affermo che il sindaco di Napoli è stato l’unico politico meridionale a schierarsi contro l’autonomia differenziata. Intendevo una figura con carica istituzionale nel momento delle trattative del 2019. Loiero è stato in effetti uno dei pochissimi dirigenti italiani a schierarsi contro la Lega, in difesa del Sud, anche con pubblicazioni, già in anni precedenti. E veniamo al sindaco de Magistris.

Davvero non si comprende la taccia di populismo che gli viene inflitta. Perché non partecipa ai giochi dei gruppi e gruppetti annidati nei partiti politici? Napoli è stata l’unica grande città d’Italia che ha reso pubblica l’acqua, abbasandone anche il prezzo, rispettando il risultato del refenendum istituzionale del 2011, dunque ottemperando a un dettato della Costituzione. Gli altri partiti politici, a cominciare dal PD, hanno sistematicamente sabotato la volontà popolare.

A Napoli de Magistris ha risolto l’umiliante problema dei rifiuti, che in certe zone della città si innalzavano sino ai primi piani dei palazzi, e lo ha fatto con pochissimi mezzi finanziari e con un rafforzamento della macchina amministrativa pubblica, contro un andazzo neoliberista che faceva prosperare la criminalità. Ha tolto il servizio di raccolta e smaltimento alle società private che si spartivano la torta, e lo affidato all’azienda comunale Asìa.

Tramite la creazione di 10 isole ecologiche, una per ogni municipalità, e cinque itineranti (per raccogliere mobili ed elettrodomestici che prima finivano per la strada) l’acquisto di nuovi macchinari, la creazione di una polizia ecologica, che ha sanzionato migliaia di trasgressori, l’esportazione in Olanda, Napoli ha raggiunto il 40% della raccolta differenziata.Oggi in quasi tutti i quartieri è diffusa la raccolta porta a porta e le tariffe TARI sono fra le più basse d’Italia.
C’è stata una importante iniziativa del sindaco, che ha avuto esiti importanti per la città, ma anche effetti negativi sulla sua immagine di uomo politico. Si è trattato di una scelta politica di legalità e profondamente antineoliberista: de Magistris ha ricondotto all’interno della macchina comunale, cioé del potere pubblico, la gestione del patrimomio immobiliare di Napoli, prima affidato all’imperenditore Romeo, finito in alcune inchieste giudiziarie.

E’ stato un gesto che solo un politico di grande coraggio come de Magistris poteva compiere, gli altri sindaci non avevano osato.Perché Romeo, membro di un potentissimo gruppo finanziario, è da lunga data amico della famiglia Caltagirone, patron del Mattino di Napoli, il più diffuso e infuente quotidiano della città. Da allora quel giornale ha iniziato una vera e propria guerra diffamatoria contro De Magistris, a cui si è associata anche La Repubblica locale, che sostiene il PD, nemico giurato del sindaco, il quale fa politiche “populiste”, cioé non viene realisticamente a patti con i potenti. Gran parte dell’immagine pubblica che abbiamo del politico De Magistris viene costruita da questi giornali e dalla TV regionale, che ubbidisce agli stessi orientamenti.

E’ dunque naturale che si sappia poco di quel che egli ha realizzato a Napoli. Ad es. non si sa dei miglioramenti i apportati al sistema del traffico cittadino, con la trasformazione di quasi tutti gli incroci in rotonde, il rifacimento di centinaia di km di strade, la pedonalizzazione di gran parte del lungomare di via Caracciolo, l’incremento del trasporto pubblico con l’acquisto di 150 nuovi autobus (rinnovando una flotta risalente al più agli anni ’90), l’apertura di 5 nuove stazioni della Metro. Tutto accompagnato dal risanamento dell’azienda pubblica di trasporto, l’ANM, il cui bilancio è ritornato in attivo. Niente male per una amministrazione penalizzata da un debito accumulato dal terremoto dell’80.

Io potrei qui dilungarmi con un lungo elenco di realizzazioni che farebbero impallidire il bilancio di molti sindaci italiani. Potrei rammentare la rigenerazione del quartiere Sanità, la “riconquista” dei Quartieri Spagnoli, un tempo luoghi pericolosi, oggi pullulanti di osterie e bar, affrescati da murales giganteschi noti in tutto il mondo. Potrei ricordare gli investimenti in verde grazie all’apertura di tanti parchi, in centro come in periferia.

Potrei rammentare i tratti di spiaggia un tempo privatizzati e riconsegnati ai cittadini, i monumenti ristrutturati, i centri culturali aperti, in centro e nelle aree degradate.Ma vorrei ricordare, che il sindaco ha inaugurato una politica di ascolto dei cittadini e dei loro diritti. Napoli è stata la prima città d’Italia a dotarsi di un registro delle unioni civili, che ha permesso il riconoscimento legale a coppie dello stesso sesso e ai loro figli, anche adottivi, esempio poi seguito anche da altre città.

Almeno questo dovrebbe bastare per fare di de Magistris un candidato degno di governare la Calabria.

da “il Quotidiano del Sud” del 30 settembre 2021

Appello per Mimmo Lucano in Consiglio Regionale

Appello per Mimmo Lucano in Consiglio Regionale

Una presenza prestigiosa e trainante, in cui si riassume un’utopia concreta: quella della RIACE
accogliente, inclusiva, solidale, capace di ridare vita ad un paese in via di abbandono, come
quasi tutti i paesi delle zone interne della regione, attraverso una nuova idea e pratica dello
sviluppo locale.

Non si tratta di un percorso individuale ma di un’ esperienza inedita, difficile e affascinante
costruita in vent’anni attraverso un’ampia partecipazione corale – accanto a Mimmo Lucano – di
apporti culturali, politici e umani provenienti da tutta Italia e da molte parti dell’Europa.
RIACE è un modello di riferimento mondiale sui temi dell’accoglienza e dello sviluppo locale
“dolce”, basato su inclusione e lavoro, su integrazione sociale e partecipazione. Un modello che,
nel post pandemia, si presenta come un vero e proprio paradigma per alimentare relazioni umane
ed economie circolari, sostenibili e durature nelle zone interne e nell’insieme delle aree
marginalizzate da un trentennio di politiche liberiste.

Mimmo Lucano è un’icona di attaccamento e radicamento al proprio paese, alla terra, alla
Calabria. Non un radicamento chiuso, autocontenuto, localistico, bensì un radicamento dinamico
e aperto agli influssi esterni. Per Mimmo Lucano la forte simbiosi con la propria terra non
significa chiusura agli esterni, agli stranieri, al contrario la forza e l’originalità del suo modello è proprio la capacità di ibridazione tra locale ed esterno, tra bisogni dei nativi e bisogni dei nuovi
arrivi, tra i desideri di rinascita dei paesi e le speranze di ricominciare altrove degli immigrati.
Dunque è del tutto “naturale” la candidatura di Mimmo Lucano in una lista a sostegno dello
pseudo “straniero” De Magistris candidato a Presidente della Calabria. Una candidatura, peraltro,
che se da una parte ha forte connotato identitario, per la sua spiazzante originalità va ben al di
là del centrosinistra e ben oltre la nostra regione.

Radicamento non vuol dire isolamento.
Anche per questo un modello – in cui la visione locale si innesta in una globale – è diventato con
Mimmo Lucano l’espressione nel mondo dell’Altra Calabria e, insieme, di un altro Pianeta possibile.

Mimmo Lucano, che si è candidato con la sola forza delle sue idee, della sua grande umanità e
con l’esperienza concreta della sua Riace, rischia paradossalmente di apparire, proprio per
queste sue qualità, una sorta di “alieno”. In particolare in questa competizione elettorale che
egli ha affrontato “a mani nude”, con il sostegno delle persone candidate nella sua lista e dei
volontari impegnati nel coordinamento della campagna elettorale.

Ecco perché riteniamo necessario che, accanto a chi è già in campo, si muova, non stando alla finestra o dileguandosi, tanta gente libera che crede in valori importanti e vuole contribuire, mettendoci la faccia, ad aprire – attraverso una precisa scelta di campo- uno squarcio sul futuro amministrativo,
economico e sociale desiderabile della propria terra.

Noi, pur nel rispetto di opinioni diverse e degli altri candidati impegnati nel progetto di
cambiamento , lanciamo un appello a tutti i Calabresi che ne hanno conosciuto ed apprezzato la
storia ma anche agli altri ( soprattutto i delusi della politica altrimenti orientati all’astensionismo)a VOTARE MIMMO LUCANO

PERCHÉ LA SUA PRESENZA IN CONSIGLIO REGIONALE SAREBBE DI PER SÉ SPECIALE,
DIROMPENTE E CONSENTIREBBE DI METTERE IN MOTO CON PIU’ ENERGIA LE FORZE
INTERESSATE AL CAMBIAMENTO E ALLA TRASFORMAZIONE SOCIALE E POLITICA DELLA
CALABRIA, QUALUNQUE POTRA’ ESSERE LO SCENARIO CHE USCIRÀ DALLA
COMPETIZIONE.

Quello di Lucano sarebbe un servizio fortemente utile a tutti i cittadini, con una attenzione particolare agli
“ultimi”, agli “invisibili” e ai “non garantiti” nei propri diritti.
Ci impegniamo – e lo chiediamo a ciascuno – a contribuire in modo concreto, a dare maggiore
solidità e prospettiva agli ideali, ai sogni, alle utopie di Mimmo Lucano. E’ l’ occasione giusta
per farli nostri e provare almeno in parte a realizzarli.
Primi firmatari:

Mimmo Rizzuti- docente, attivista politico-sociale-
Nuccio Barillà –ambientalista, pubblicista-
Piero Bevilacqua storico, saggista-
Mimmo Cersosimo- economista, docente UNICAL –
Maria Josè Attinà- docente volontaria-
Edoardo Bai medico, comitato scientifico medici per l’ambiente(ISDE) –
Erminia Barca insegnante –
Cecilia Cavallo insegnante ,
Alessandra Corrado-sociologa – docente UNICAL-
Giuseppina Cundari neuropsichiatra infantile-
Piero Fantozzi – sociologo, docente UNICAL-,
Luigi Ferraro già presidente CAF CGIL Cosenza,
Stefania Fratto responsabile Centro Antiviolenza Mirabal,
Giuseppe Gaudio primo ricercatore centro politiche e bioeconomia- CREA,
Peppino Lavorato storico dirigente del PCI Calabrese, sindaco anti ndrangheta di Rosarno-
Rita Latella psicologa-
Maria Francesca Lucanto- Responsabile
BIBLIOTECA DONNE BRUZIE- Ugo Melchionda-Coordinatore GREI 250 –
Corrispondente OCSE
per INTERNATIONAL MIGRATION OUTLOOK-
Tomaso Montanari Rettore UNIVERSITÀ PER STRANIERI SIENA dal 1 Novembre 2021, commentatore politico- Ercole Giap Parini direttore DISPES UNICAL dal 1 novembre 2021 –
Romolo Perrotta Ricercatore UNICAL,
Riccardo Petrella
socioeconomista- saggista presidente AGORA’ degli ABITANTI della TERRA,
Piero Polimeni
ingegnere, ambientalista-
Francesca Prestia ARTISTA-cantastorie, docente-
Santa Rodà
casalinga-
Battista Sangineto-Archeologo docente UNICAL,
Enzo Scandurra scrittore saggista ,
Martina Talarico UNIURB,
Anna Maria Vitale sociologa docente UNICAL , A
lberto Ziparo-docente UNIVERSITA’. Firenze-
Per aderire scrivere a: mimmo.rz@gmail.com

Tocqueville e i suoi fantasmi. Una lezione di filosofia.-di Filippo La Porta Saggio (con gusto letterario) di Bevilacqua

Tocqueville e i suoi fantasmi. Una lezione di filosofia.-di Filippo La Porta Saggio (con gusto letterario) di Bevilacqua

Piero Bevilacqua, storico meridionalista e scrittore, ha orchestrato un dialogo impossibile tra alcuni giganti del pensiero moderno, altrettanti spettri convocati nel 2021 in una sontuosa dimora vicino Parigi, dal visconte Alexis de Tocqueville: Illustri fantasmi nel castello di Tocqueville (Castelvecchi), e lo ha fatto con gusto letterario, sapiente messinscena e senso dei dialoghi.

Di fronte a noi sfilano Marx, Burke, Nietzsche, Lenin, Rosa Luxemburg, Gramsci, Friedman… tutti molto informati sulle trasformazioni del mondo contemporaneo. Credo che il nostro ceto politico – apparentemente nato da se stesso (riuscite a immaginare una biblioteca dietro i nostri partiti?) – avrebbe l’obbligo di leggere questo libretto, anche solo per acquisire un senso del passato, una consapevolezza della politica stessa, una cognizione sufficientemente precisa del conflitto di idee così come ci viene dalla tradizione.

Dichiaro subito la mia totale condivisione dello spirito del libretto, della sensibilità che lo sottende, della segreta identificazione dell’autore con Rosa Luxemburg (se non mi sbaglio), l’unica capace di attaccare sia la “ragione”occidentale, legata al dominio, e sia il soggettivismo rivoluzionario privo di misura, che non riconosce al caso alcuna importanza. Inoltre segnalo, in queste pagine, alcune perle assolute: la originale riflessione sulla mancanza di una vera tradizione di sinistra negli Usa, la disputa sulla illusione che basti produrre più ricchezza per elevare il livello di tutti, la denuncia dell’applicazione agli animali dei metodi di sterminio collaudati nel secolo breve, la confutazione del cosiddetto “stato leggero”, l’idea aberrante della colpa originaria oggi legata al debito contratto…

Non solo Bevilacqua dice qualcosa di sinistra, ma la dice con una chiarezza problematica esemplare. Detto questo, mi sento allora autorizzato a riportare qui un elenco di considerazioni critiche e di possibili obiezioni.

1 Nel nobile consesso mancano alcuni ospiti che sarebbero stati fondamentali (mentre far rappresentare da Friedman l’intera tradizione liberale è un po’ mettersi le cose facili). In particolare: Proudhon, che non capiva la dialettica (come Tocqueville) ma che aveva intravisto l’autoritarismo di Marx e più che di socialismo “scientifico”(micidiale illusione) parlava della centralità del bisogno di giustizia; Leopardi, che più di chiunque altro ha meditato sulla natura (restiamo creature gettate sulla terra, condannate a invecchiare e a morire, dice Tocqueville) auspicando (nella “Ginestra”) una lotta di tutti contro il comune nemico (mente il marxismo sulla questione del limite oscuro e naturale dell’esistenza ha delegato troppo al positivismo più bolso); Herzen, il pensatore libertario che ha mostrato come i fini troppo lontani nel tempo sono sempre un inganno (contano quasi solo i “mezzi”).

2 Unico autore contemporaneo citato è sir Ralf Dahrendorf ( e il nostro Carlo Cipolla)! Senza nulla togliere all’illustre “baronetto” politologo, forse c’era di meglio: Sennett, Nancy, Castoriadis, Ivan Illich…

3 La tirata di Marx contro il nostro tempo (la tendenza a farsi gregge delle persone) e le strategie pervasive di marketing (ci indurrebbero ad acquistare anche prodotti di cui non abbiamo bisogno)non mi convince, né mi pare in fondo “marxista”: le merci non sono mai imposte né interamente calate dall’alto. Vi è interazione tra alto e basso. L’iPhone – un prodotto di eccellenza tecnologica – è stato immaginato e disegnato da ex fricchettoni californiani (sottopagati) pensando a ciò che loro stessi desideravano di più, alla possibilità di comunicare facilmente con chiunque, etc.! Non ne abbiamo bisogno per la sopravvivenza? Certo, ma allora dovremmo rinunciare a 4/5 del nostro stile di vita.

4 Sulla violenza le critiche (radicali) al marxismo (la violenza levatrice della Storia, etc.) le avrei fatte citando almeno Simone Weil: ogni guerra, come la guerra di Troia, si dimentica le sue ragioni, mentre l’uso della forza sfigura per sempre chi la usa e chi la subisce. Compagni, ancora uno sforzo: Saul Alinsky, inventore del sit-in e di tecniche di disobbedienza passiva, organizzatore dal basso di comunità a Chicago negli anni ’30, è assai più “eversivo” di Che Guevara!

5 Il Nietzsche di questo consesso, benché dipinto correttamente come pessimista incorreggibile e critico della modernità, mi sembra troppo poco di destra, come invece era! Non dimentichiamolo, voleva gli operai ridotti a schiavi, senza la “finzione” del diritto di sciopero e cose analoghe!
6 Sugli States. Bevilacqua accoglie equanimemente opinioni diverse, però si capisce che è un po’ più dalla parte di chi li demonizza. Ora, dal punto di vista dell’ “essenza”(i filosofi prediligono l’essenza) può anche darsi che tra democrazia americana e Germania nazista non ci siano differenze rilevanti. Ma basta avr vissuto negli Stati Uniti una settimana per capire come invece i “dettagli” sono tutto, e circola ovunque un senso di libertà vertiginoso, a noi sconosciuto (un musicista nero, che viveva di espedienti, mi disse convinto: “I’m not poor, I’m broke”, “Non sono povero, sono – temporaneamente – al verde”).

Torniamo al mio pieno consenso a queste pagine di Bevilacqua. Nelle conclusioni fa dire a Marx: “Dentro quest’ordine vecchio della società, questo involucro inerte di divisioni e confini…è sorta una sola umanità, spinta da un comune desiderio di uguaglianza”. E parla di una “crisalide” uscita dalla membrana, una “nuova ragione del mondo”. E così Rosa Luxemburg, anche lei rivolta a Nietzsche (ma perché? tanto nessuno lo convince!), dirà che il bello, il buono e il giusto non sono spariti, “fanno parte della volontà di essere di tanti uomini e donne”. Ed è la “storia più nobile del nostro passato”.
Appunto: per la rivoluzione – qualsiasi cosa voglia dire questo concetto – è molto più utile il passato del futuro, la nostalgia di ciò che non è stato realizzato.

Particolarmente felice la invenzione del personaggio di Caterina, la domestica napoletana di Tocqueville, che alla fine invita tutti al pranzo, alle penne al ragù di maiale cucinato a fuoco lento per tre giorni, etc. (per la signora Rosa, vegetariana, pasta aglio e olio)… Sano richiamo materialistico ad una concreta esperienza di piacere indispensabile per criticare l’esistente, che quel piacere nega ai più. In tedesco le parole “compagno” e “godimento” hanno la stessa radice, come a quel pranzo ben sapeva Marx, affondando la mano nel groviglio della sua grande barba.

da “il Riformista”

Nella brutta esperienza ho toccato con mano il “buco nero” della Sanità calabrese.- di Battista Sangineto

Nella brutta esperienza ho toccato con mano il “buco nero” della Sanità calabrese.- di Battista Sangineto

Quando, domenica 19 settembre 2021, ha bussato alla porta un ispettore dei Vigili Urbani della sua città per notificare allo scrivente una “Ordinanza contingibile ed urgente” con la quale si imponeva, a causa della sua positività al Sars-CoV-2, di sottoporsi alla misura di isolamento domiciliare a decorrere dal 30 agosto 2021, gli è montata una collera che solo il complice imbarazzo dell’ufficiale è stato capace di stemperargliela in uno sconsolato sorriso.

Sorriso reso ancora più amaro dall’arrivo, il giorno prima via e-mail, della notifica da parte del Comune della fine dell’isolamento a seguito della sua “negativizzazione” al tampone molecolare, eseguito alcuni giorni prima. Se si aggiunge che la prima telefonata da parte dell’Usca competente era arrivata all’ora di pranzo del 10 settembre -lo stesso giorno in cui è uscito su questo giornale il racconto della vicenda sanitaria, cioè ben 12 giorni dopo la comunicazione di positività fatta dal laboratorio privato- è evidente a chicchessia che la totale assenza di capacità e di tempestività da parte delle Istituzioni comunali e sanitarie preposte alla sorveglianza non solo impedisce qualsivoglia tipo di tracciamento, ma rende evidente che il distanziamento, l’isolamento e tutte le altre misure di prevenzione sono affidati solo al senso civico dei cittadini.

Quello calabrese è un tessuto istituzionale, sanitario e sociale devastato che non è in grado di fornire alcuna certezza del soddisfacimento dei diritti fondamentali del cittadino, primo fra tutti quello alla salute e alla vita. Si deve ricordare che era il 30 luglio del 2010 quando il presidente Giuseppe Scopelliti fu nominato, da Giulio Tremonti, commissario della Sanità della regione Calabria per il rientro dal debito che, all’epoca, ammontava a circa 150 milioni.

Dal 2010 ad oggi non si contano i commissari che – nonostante i pesanti tagli agli investimenti, i mancati turn over del personale sanitario, il blocco delle assunzioni, la chiusura voluta da Scopelliti di piccoli e medi ospedali che garantivano una qualche tenuta della medicina del territorio – hanno portato il disavanzo ad una cifra che alcuni, non abbiamo numeri certi, stimano essere di più di 1 miliardo. Tutto questo senza che i presidenti ed i consiglieri, alternativamente, di maggioranza ed opposizione regionali di tutti i partiti, sollevassero dubbi o ponessero il ripristino della Sanità al centro della propria battaglia politica.

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La gran parte della responsabilità della catastrofe ricade sui Commissari e sulla loro sterile e discutibile autoreferenzialità, ma deve ricadere anche sull’inanità ed incapacità della politica e dei politici calabresi degli ultimi decenni che non hanno saputo o, più probabilmente, non hanno voluto riprendersi la prerogativa che spettava loro di amministrare il capitolo di spesa più importante, l’80% circa, di una Regione: la Sanità.

Un’incapacità che non viene superata neanche nel pieno della prima ondata della pandemia quando, con il comunicato stampa ufficiale datato 11 marzo 2020 della Regione Calabria (lo si può rintracciare facilmente sul portale web della Regione), la compianta presidente Jole Santelli “…di concerto con il Commissario Cotticelli, approva il “Piano di Emergenza contro il Corona Virus”, dispone l’attivazione di 400 nuovi posti di terapia intensiva e subintensiva … già domani (12 marzo 2020, n.d.r.) sarà pubblico l’avviso per il reclutamento di 300 medici specializzati e specializzandi. Saranno, inoltre, utilizzate le graduatorie degli idonei a scorrimento per l’assunzione, sempre a tempo determinato di 270 infermieri e 200 Oss”.

I calabresi sanno che quasi nessuna delle promesse fatte nel succitato comunicato è stata mantenuta e che la responsabilità della totale inadempienza non è solo del tanto vituperato Cotticelli, ma anche di chi, la Regione Calabria, lo ha fiancheggiato, per mesi, in quella sua incredibile sconsideratezza e di chi nell’anno successivo, il presidente f.f. Spirlì, nulla ha fatto per cambiare di segno a questa più che tragica situazione. La Sanità calabrese è un orrido e putrescente buco nero senza fondo dal quale gli abitanti cercano di evadere appena possono per andarsi a curare altrove perché qui, a distanza di quasi due anni, non solo nulla è stato fatto per aumentare le capacità di prevenzione e di cura del Sars-Cov-2, ma è anche molto peggiorata l’ordinaria assistenza sanitaria che era già indegna di un paese del cosiddetto primo mondo.

Si deve ricordare che in Calabria le terapie intensive sono passate da 152 a 174, a fronte delle 280 previste già un anno fa per poter avvicinare la regione alle 14 per 100mila abitanti della media nazionale, invece delle 9,2 attuali. Senza voler tenere conto che, al netto della pandemia, a fronte della media nazionale di 3,2 posti letto ospedalieri ogni mille abitanti, la Calabria ne ha poco più della metà: 1,7.

Una situazione così catastrofica pretenderebbe una risposta dal governo Draghi, perché, nonostante il commissariamento sia della Sanità regionale con il questore Longo, sia del piano vaccinale nazionale con l’alpino Figliuolo, i calabresi non hanno visto alcun miglioramento per opera dei Migliori, anche se spettano loro le stesse cure mediche che competono, secondo l’articolo 32 della Costituzione, ad ogni cittadino italiano. Quale miglioramento si è avuto nella Sanità calabrese – ma anche nell’Istruzione, nei Trasporti, nelle Infrastrutture e nelle Strutture- per merito del governo dei Migliori? Nessuno. I Migliori non hanno migliorato assolutamente nulla, in otto mesi.

Bisogna che si torni alla “normalizzazione” della Sanità calabrese che deve essere gestita ed amministrata dalla Politica e non da Commissari, riaffermando così la primazia della Politica che, pur con tutti i suoi difetti, soprattutto in Calabria, ha i suoi meccanismi di controllo costituzionali ed elettorali

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È solo grazie ad uno dei pochissimi fortilizi di capacità e competenza che ancora resistono in mezzo alle macerie della Sanità calabrese che chi scrive è riuscito a curarsi, in Day Hospital, per mezzo dell’unico protocollo farmacologico approvato dall’Aifa, gli anticorpi monoclonali. Un protocollo che, a chi scrive, ha fatto regredire i sintomi in poche ore e che, al netto delle successive conseguenze del Long Covid, ha sconfitto l’infezione in meno di 15 giorni. Sulla scorta di questa sua esperienza, chi scrive ha una serie di domande da fare ed anche qualche fondata opinione da esprimere.

Perché l’Aifa, che pure ha approvato l’uso sperimentale di questa cura su quasi 9.000 casi (cfr.: https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1475526/report_n.22_monitoraggio_monoclonali_03.09.2021.pdf), non ha ancora diffuso i dati delle sperimentazioni che, da marzo ‘21, si stanno facendo sulla sua efficacia degli anticorpi monoclonali? Sulla base dei dati che si dispongono -Regione Veneto: (guarigioni dell’89% su 1167 casi), Asl 3 di Napoli (100% su 50 casi), Azienda Ospedaliera di Cosenza (100% su più di un centinaio di casi)- sembra che gli anticorpi monoclonali siano davvero efficaci. E, ancora, perché il governo non fornisce il numero degli infettati, dei ricoverati e dei deceduti ‘bi-vaccinati’?

Pur dando, ormai, per scontato che ci si può infettare fra bi-vaccinati (cfr, lo studio di fine luglio dei CDC americani: www.cdc.gov/mmwr/volumes/70/wr/mm7031e2.htm?s_cid=mm7031e2_w)), lo scrivente ritiene che i vaccini siano indispensabili per la radicale riduzione della diffusione della pandemia, delle ospedalizzazioni, delle malattie gravi e delle morti, nonostante che un altro studio dei CDC americani dimostri una perdita di efficacia di potere immunizzante di Moderna, Pfizer-BioNTech e Johnson & Johnson dopo qualche mese
(cfr.:https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/70/w/mm7038e1.htm?s_cid=mm7038e1_w).

Chi scrive sommessamente ipotizza che la vaccinazione non possa essere, però, l’unica strada da percorrere non solo per la sopradetta diminuzione di efficacia dei vaccini, ma soprattutto perché il rapido avvicendarsi delle varianti e la grande quantità di popolazioni, soprattutto del terzo mondo, non vaccinate renderanno impossibile il raggiungimento dell’immunità di gregge (cfr.: Krause et alii, in ‘Lancet’, 13.09.21, https://doi.org/10.1016/ S0140-6736(21)02046-8).

Lo scrivente vorrebbe, da vecchio sostenitore del sessantottesco sapere critico, suggerire che si debba perseguire, con maggior tenacia e con finanziamenti pubblici paragonabili a quelli già erogati, anche la strada della cura e non solo quella dei vaccini di Big Pharma che, in questi ultimi due anni, si è enormemente arricchita. I vaccini sono indispensabili, ma, purtroppo, non sono sufficienti per vincere questa malattia pandemica.

da “il Quotidiano del Sud” del 23 settembre 2021
Foto di David Mark da Pixabay

Chi può difendere il Sud dalla secessione?-di Piero Bevilacqua

Chi può difendere il Sud dalla secessione?-di Piero Bevilacqua

Una delle immagini più avvilenti degli ultimi tempi,un episodio da nulla, ma che mi ha mostrato in quale catastrofe culturale, prima ancora che politica, fosse caduta la Calabria, mi è caduta sotto gli occhi nel 2019.

Nel servizio di un telegiornale nazionale, dedicato agli impegni elettorali dei vari leader, ho visto Matteo Salvini passegiare per le strade di una città calabrese tra ali di folla, mentre una donna si chinava ai suoi piedi baciandogli la mano. Come è potuto verificarsi un gesto del genere? Tanto calore di folla e perfino l’umiliazione di un baciamano, che di solito si dispensa alla Madonna o ai capimafia? Dove vivevano quei calabresi almeno 5 o 10 anni prima? Avevano letto qualche giornale, o almeno seguito qualche programma televisivo in cui era di scena la Lega e i suoi dirigenti?

E’ davvero stupefacente constatare tanta smemoratezza, anche se so bene che in altre città della Calabria Salvini è stato vigorosamente osteggiato. Ma il punto clamoroso che rende inconcepibile l’accoglienza e il consenso a un dirigente leghista nelle nostre regioni è che la Lega è alla radice un partito antimeridionale, che nasce e continua a operare come avversario e denigratore della nostra gente. E non per gratuita cattiveria ma per strategia politica.

Debbo qui ricordare che sin dalle origini, questo partito, la Lega Nord di Umberto Bossi, fonda le sue fortune nei territori del Nord inventando fasulle identità etniche, ma soprattutto creando due nemici: “Roma ladrona” e il “Sud che vive a spese del Nord.” Questa narrazione intessuta di menzogne, ha avuto una grande fortuna – nulla funziona meglio in politica della creazione di un nemico e di un capro espiatorio cui addossare la responsabilità dei disagi e dei problemi – al punto da condizionare le politiche pubbliche a favore del Sud per i decenni successivi.

Ebbene, l’astuzia di Salvini è consistita nel trovare un nuovo nemico con cui sostituire i meridionali e Roma, che a Umberto Bossi era nel frattempo diventata simpatica, visti i lauti stipendi istituzionali di cui ha goduto e le possibilità che il suo potere di governo ha offerto alla sua famiglia.
I nuovi nemici, a partire dal nuovo millennio, sono diventati gli immigrati, i clandestini, i disperati della terra che scappavano da guerre e miseria, trasformati in criminali, violentatori delle nostre donne, venuti a rubare il lavoro agli italiani. Salvini ha continuato il lavoro di Bossi, promuovendo i meridionali a italiani così da estendere a tutto il territorio nazionale il bacino elettorale della Lega.

Ora non si tratta di rimproverare a Salvini il suo passato antimeridionale.Anche se dai meridionali si pretenderebbe una memoria critica sempre vigile, per rammentare i danni gravi che sono statti loro inflitti. Il fatto è che il partito della Lega continua con più accortezza la sua politica di sempre. Mentre infatti il suo capo viene a fare comizi nelle nostre regioni, i presidenti del Veneto e della Lombardia continuano in segreto a lavorare perl la secessione delle loro regioni dal resto d’Italia. Esse rivendicano la piena podestà su ben 23 materie (scuola, sanità, trasporti,energia, ambiente, ecc.) e soprattutto pretendono di incassare tutti gli introiti fiscali generati nel loro territorio.

In questo modo viene meno la solidarietà fiscale su cui si regge qualsiasi stato al mondo e l’Italia va letteralmente a pezzi. I meridionali possono solo immaginare quel che accadrebbe alla sanità pubblica, che nel giro di pochi anni verrebbe in gran parte privatizzata.I “viaggi della speranza” di tanti malati verso gli ospedali di Roma e del Nord avrebbero costi insostenibili. Ma è l’Italia, così com’è stata costruita a partire dal 1861, dopo 4 secoli di divisioni e di asservimento allo straniero, che verrebbe di nuovo riportata agli statarelli di antico regime.

Ne abbiamo avuto la prova nel 2019, quando si stava per realizzare in gran segreto, saltando il Parlamento,l’accordo tra Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e il governo nazionale. In quei mesi, anche Piemonte, Liguria, Umbria manifestarono la stessa volontà di secessione, anticipando quel che sarebbe accaduto se l’accordo fosse stato raggiunto.

Ebbene, non c’è dubbio che l’autonomia differenziata costituisca la più grave minaccia che grava ancora oggi sull’avvenire del nostro Paese:la frantumazione territoriale che ci ha reso irrilevanti in Europa per tutti secoli dell’età moderna. E e allora come è possibile che ci sia così tanto poco allarme e informazione su tale gravissimo pericolo? I motivi sono due.I grandi giornali nazionali sposano ormai la posizione di gran parte dell’industria e della finanza del Nord, secondo cui il Sud costituisce un freno all’economia nazionale.Quindi sono d’accordo sulla secessione e tacciono. L’altra ragione riguarda i partiti e soprattutto il PD, l’unica formazione con insediamento locale, che avrebbe interesse a contrastare la Lega, soprattutto al Sud, ricordando i suoi propositi secessionisti. Ma questo non accade, perché una delle regioni chiave di questo partito, l’Emilia Romagna di Bonaccini, rivendica anch’essa l’autonomia differenziata, sebbene su un numero minore di materie.

Debbo qui rivelare una esperienza personale.Nei mesi che precedettero la campagna elettorale amministrativa del 2019, insieme ad altri amici, avevamo tentato di organizzare una carovana di uomini e donne che partisse dal Sud e arrivasse al Nord, con un pulman, per spiegare al maggior numero possibile di cittadini qual’era la vera strategia della Lega: Salvini che faceva l’italiano al Sud e i presidenti di regioni che lavoravano per la secessione. Per tale iniziativa fui all’inizio sostenuto dalla CGIL nazionale.Ed ebbi vari incontri a Roma, nella sede centrale di Corso Italia. Ma a un certo punto tutto naufragò, la disponibilità del sindacato venne ritirata. Nessuno lo disse esplicitamente, ma il PD non voleva che si danneggiasse la campagna elettorale di Stefano Bonaccini e il tema secessione non andava sollevato.

Un’arma efficacissima per battere la destra nel Sud e in Calabria fu abbandonato. Ebbene, agli amici stupiti che tanti intellettuali si siano schierati a fianco di De Magistris, debbo ricordare che questo leader è stato l’unico politico meridionale a schierarsi contro la secessione leghista e la semisecessione di Bonaccini; che nella sua lista annovera figure di prim’ordine estranei ai giochi nazionali dei partiti, tra cui Mimmo Lucano, il quale, come sindaco di Riace, ha riscattato l’onore della Calabria agli occhi del mondo.A chi denigra la sua figura di sindaco di Napoli ha già risposto su questo giornale Pino Ippolito(6/9).

Io aggiungerei che chi vuol valutare con onestà quella esperienza, deve considerare il grave debito che egli ha ereditato dalle precedenti amministrazioni, lo strangolamento finanziario subito da tutti i comuni italiani in questi anni, il fatto di amministrare la più difficile città d’Italia avendo contro tutti i partiti, la grande stampa e la TV nazionale. Che un personaggio così isolato, privo di mezzi e osteggiato sia stato riconfermato sindaco, ai calabresi onesti dice che potrebbe essere un ottimo presidente di Regione . Che egli venga diffamato perché a Napoli non ha fatto “questo” e quello” è in tanti casi la prova che il personaggio non rientra negli schemi del conformismo politico dominante. Quel conformismo che occorre far saltare per l’avvenire della Calabria.

da il “Quotidiano del Sud” del 22 settembre 2021

Usciamo dalle ideologie e usiamo il buon senso.-di Tonino Perna

Usciamo dalle ideologie e usiamo il buon senso.-di Tonino Perna

Stiamo assistendo da troppo tempo ad uno scontro ideologico, incarnato da diverse forze politiche, tra gli ultrà del vaccino e i No Vax , tra coloro che sostengono fideisticamente la comunità scientifica e quelli che credono che, dietro questa forsennata campagna vaccinale, ci siano solo sporchi interessi economici e il tentativo di controllarci e sottometterci tutti.

La testimonianza del collega Battista Sangineto, apparsa su questo quotidiano e ripresa a livello nazionale, mi ha fatto molto riflettere. Il professore Sangineto non è un no-vax, è un uomo di scienza, sia pure umanistica, che si era vaccinato convinto di essere ormai immune dal virus Covid 19. Purtroppo, non solo ha preso il virus in maniera pesante, ma lo ha contratto da un soggetto a sua volta vaccinato. E non è il primo caso. Cosa significa tutto questo? Procediamo con ordine.

Prima di tutto non è vero quello che ci è stato detto fin dall’inizio della pandemia da parte di insigni virologi: se ci vacciniamo al 70% otteniamo l’immunità di gregge (pessima espressione), ovvero spegniamo la diffusione del virus. Purtroppo, non è così: anche i vaccinati possono prendere il Covid e trasmetterlo. Unico dato che spinge ancora oggi a ritenere utile il vaccino è quello dei ricoveri: dai dati disponibili sembra che circa il 90 per cento dei nuovi ricoverati, dal mese di agosto, in terapia intensiva non era vaccinato. Pertanto, se ne può dedurre che il vaccino, mediamente, dovrebbe ridurre l’impatto letale del virus.

Finora questa è l’unica certezza a cui ci possiamo aggrappare, ma che non ci lascia tranquilli come testimonia il caso sopra citato. Il buon senso ci dice che conviene vaccinarsi, almeno per le classi di età più avanzate, ma che bisogna ugualmente non abbassare la guardia e mantenere tutte le misure precauzionali. Certo, non è piacevole continuare a usare la mascherina, a disinfettare continuamente le mani, a mantenere una distanza con persone che prima abbracciavamo e baciavamo, specie noi meridionali, senza problemi.

Bisognerebbe che i virologi divenuti star della Tv , che hanno creato tanta confusione e comunicata una immagine falsa della scienza, facessero un po’ di autocritica, dicessero quello che i veri scienziati sanno da sempre: non ci sono certezze, ma solo metodi di ricerca rigorosi e mai definitivi. Questa pandemia ci ha posto di fronte a sfide inedite, unitamente alla pressione formidabile delle forze economiche hanno premuto l’acceleratore per fare ripartire il dio Pil a tutti i costi. Così, in tempi eccezionalmente brevi, sono stati creati dei vaccini che sicuramente portano una riduzione della letalità, ma non risolvono il problema della diffusione del virus.

Pertanto, la battaglia contro gli untori, cioè contro quelli che non si vogliono vaccinare, rischia di essere una battaglia ideologica quanto è quella di coloro che rifiutano qualunque tipo di vaccino e vedono dovunque dei complotti dei poteri forti. Per onestà intellettuale, se è vero quanto abbiamo sostenuto, il famoso “green pass” non può essere imposto, anche se può essere promosso e sostenuto, ma dicendo la verità: non salva il tuo prossimo dall’essere infettato. E quindi non è un gesto di civiltà, ma di sano egoismo, perché chi si vaccina rischia meno di chi non lo fa.

Continuare a chiedere prudenza, distanziamento fisico (e non sociale), misure di prevenzione, è l’unica strada percorribile in attesa che terapie mediche più efficaci possano ridurre il danno di questa epidemia e derubricarla al limite di una normale influenza stagionale.

da “il Quotidiano del Sud” del 16 settembre 2021
Foto di cromaconceptovisual da Pixabay

Luigi, il napoletano.- di Pino Ippolito Armino

Luigi, il napoletano.- di Pino Ippolito Armino

“Che faccia tosta Luigi De Magistris! Non lo vogliono a Napoli e se ne viene in Calabria”. De Magistris è stato eletto per la prima volta sindaco di Napoli nel 2011. Al primo turno aveva avuto 128.303 preferenze e al ballottaggio ha superato l’avversario di centro-destra, Giovanni Lettieri, con il 65,38% dei suffragi. Si è ricandidato a sindaco nel 2016 e ha preso al primo turno oltre quarantamila voti in più della tornata elettorale precedente (172.710).

Ha poi nuovamente battuto Lettieri al ballottaggio ma con un margine superiore di quello del 2011 (66,85%). Non pare, dunque, che sia così sgradito ai napoletani e che, almeno, il primo mandato non sia stato apprezzato. Certo, non sappiamo cosa pensano i napoletani del secondo mandato ma, come è noto, la legge elettorale non consente la candidatura a sindaco per più di due volte consecutive.

“Che faccia tosta Luigi De Magistris! Non ha saputo affrontare la questione rifiuti a Napoli e viene qui in Calabria dove affoghiamo nella spazzatura”. La città metropolitana di Napoli ha una densità di 2.560 ab/Kmq, la più alta in Italia e una delle più alte al mondo; Reggio Calabria ha una densità per abitante (164 ab/Kmq) che è un quindicesimo di quella napoletana. È del tutto evidente che la complessità del problema rifiuti è direttamente e positivamente correlata alla densità abitativa; nondimeno Napoli appare oggi assai più pulita che Reggio, la città più sporca della Calabria. Non è solo un’apparenza.

Napoli produce circa un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti l’anno e ne differenzia il 47,05%; Reggio produce poco più che duecentomila tonnellate differenziandone il 36,34%, 10 punti in meno di Napoli (Ispra – Catasto nazionale rifiuti).

In vero la contestazione più ricorrente che viene fatta a De Magistris è di non essere calabrese, di essere napoletano. Sembra farlo, e spiace davvero, anche Jasmine Cristallo, leader delle Sardine calabresi, in una recente intervista a un quotidiano (Domani, 23 agosto 2021) quando dice “Voglio vedere se si trasferirà, se vivrà in Calabria, ma lo escludo. La mia terra è stata consegnata”.

Consegnata a un napoletano. Un argomento curioso soprattutto se a muoverlo è chi da sempre si batte contro ogni pregiudizio e sa bene che le identità tanto più sono locali, soltanto locali, tanto più sono asfittiche. La storia della Repubblica è ricca di donne e di uomini che sono stati candidati dai partiti a rappresentare in parlamento regioni diverse dalla loro provenienza. Non risulta che abbiano sempre demeritato e soprattutto se lo hanno fatto non era perché venivano da una regione diversa da quella nella quale sono risultati eletti.

Credo sia più importante sapere che Napoli è stata la prima città italiana a rispettare, con la ri-pubblicizzazione del servizio idrico, la volontà espressa da 27 milioni di elettori italiani con il referendum del giugno 2011. Ancora più importante credo non dimenticare che il sindaco De Magistris è stato, come ricorda Piero Bevilacqua (Il Quotidiano del Sud, 24 agosto 2021), l’unica figura istituzionale meridionale di rilievo che si è apertamente schierata contro l’autonomia differenziata – richiesta da Veneto e Lombardia e sostenuta dall’Emilia Romagna presieduta dal democratico Stefano Bonaccini – che, come dovremmo ormai sapere, se attuata sarebbe una catastrofe per l’intero Mezzogiorno.

Ma De Magistris, piaccia o meno, ha un’ambizione assai più grande del governo della Calabria. Questo non sarebbe che il primo tassello di un disegno che, nelle sue intenzioni, dovrebbe coinvolgere l’intero Mezzogiorno per riscattarlo dalle miserie e dall’arretratezza dell’oggi e per riconsegnarlo all’Italia e all’Europa nel posto che gli spetta per la sua antichissima storia di civiltà. Che importa se è un napoletano a provare a farlo?

da “il Quotidiano del Sud” del 4 settembre 2021

La variante Delta non perdona neanche chi si è già vaccinato.-di Battista Sangineto

La variante Delta non perdona neanche chi si è già vaccinato.-di Battista Sangineto

L’atteggiamento permissivo del governo nazionale interessato solo alla crescita economica combinato all’inadeguatezza del collassato Sistema sanitario calabrese potrebbero produrre, di qui a breve, una nuova strage degli innocenti. A farne le spese saranno quei cittadini italiani e, soprattutto, quelli calabresi che contrarranno il Sars-CoV-2 da un “immunizzato” nonostante siano, come chi scrive, “immunizzati” anch’essi.

Sì, nonostante sia “immunizzato” con due dosi di vaccino a mRNA dalla fine di aprile 2021, appartenendo alla categoria “fragili”, chi scrive ha contratto il virus (con una carica virale altissima, 49 milioni di copie di virus per ml., pur avendo sviluppato in precedenza, grazie al vaccino, una buona quantità di anticorpi IgG anti-Covid-19: 833 per ml.) da un suo giovane familiare “immunizzato” da luglio 2021 con due dosi di vaccino a mRNA senza aver avuto con lui contatti diretti di alcun genere se non quelli che si hanno condividendo, senza mascherine, il desco all’aperto in due o tre occasioni.

Il laissez-faire neoliberista dell’élite che ci governa ha permesso, se non addirittura favorito, gli assembramenti estivi, l’affollamento dei lidi, delle strade, degli hotel, dei B§B, dei supermercati, dei bar e dei ristoranti al chiuso e all’aperto per un mero calcolo economicistico che ha fatto rimbalzare, com’era prevedibile, il Pil, ma l’élite non è stata per nulla attenta alla salute dei suoi cittadini che, grazie alla maggiore contagiosità della variante Delta, continuano a morire a decine, fra poco di nuovo a centinaia, in tutta la Penisola.

Lo stesso ‘distratto’ governo ha derogato riguardo ai parametri di chiusura delle Regioni lasciandole in “bianco” fino alla fine della stagione turistica nonostante che i reparti Covid, quelli normali e quelli di terapia intensiva, siano pieni da settimane, soprattutto in Calabria e nel Sud, come scrive da giorni questo giornale e come hanno confermato i medici del reparto nel quale lo scrivente è stato accolto martedì 31 agosto, dopo tre giorni trascorsi a casa con sintomi abbastanza severi: febbre superiore a 39 gradi, dispnea, emicrania, raucedine e tosse secca, mialgia e artralgia, ageusia e anosmia, sudorazione, spossatezza e disordini della pressione arteriosa.

Si deve pensare che il governo dell’élite non legga e non studi, se non ha nemmeno preso in considerazione il fatto che già il 28 luglio 2021 la dott.ssa Rochelle Walensky, direttore dei CDC americani (Centers for Disease Control and prevention), sulla base di un loro studio (Outbreak of SARS-CoV-2 Infections, Including COVID-19 Vaccine Breakthrough Infections, Associated with Large Public Gatherings — Barnstable County, Massachusetts, July 2021 | MMWR (cdc.gov)) aveva raccomandato l’obbligo delle mascherine al chiuso anche per gli “immunizzati” dicendo che: “Questa non è una decisione che abbiamo preso alla leggera.

La variante Delta si comporta in modo diverso dai ceppi passati nella sua capacità di diffondersi tra persone vaccinate e non vaccinate, da qui la scelta di procedere rivedendo alcune restrizioni” (https://www.washingtonpost.com/health/2021/07/27/cdc-masks-guidance-indoors/).
Ai principi di agosto, sulla base del succitato studio dei CDC, il consulente medico del presidente Biden, Anthony Fauci, ha imposto l’obbligo della mascherina al chiuso anche agli “immunizzati” perché la variante Delta del Sars-CoV-2 è in grado di diffondersi sia tra gli “immunizzati” sia tra i non vaccinati, con la stessa virulenza della varicella.

Fauci ha detto: “Ora abbiamo a che fare con un virus diverso che non è quello originario. La variante Delta ha capacità molto più efficienti nella trasmissione da persona a persona perché le nuove prove scientifiche in possesso dei CDC mostrano che il livello di infezione nelle mucose di una persona “immunizzata” è lo stesso di quello di un soggetto non vaccinato. Due mesi fa i CDC avevano detto che le persone vaccinate non dovevano indossare la mascherina al chiuso. Ora è cambiata una cosa: il virus” (https://www.cnbc.com/2021/07/21/delta-covid-variant-fauci-says-vaccinated-people-might-want-to-consider-wearing-masks-indoors-.html).

Così come lo studio dei CDC, anche secondo lo studio più recente di cui si dispone condotto dall’Università del Wisconsin-Madison (https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.07.31.21261387v4) e una ricerca condotta in Texas (https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.07.19.21260808v2), non sono state trovate differenze significative nella carica virale presente nelle cavità nasali tra persone vaccinate e non vaccinate.

Sulla base di tutti questi studi, la rivista scientifica “Nature” (n. 586, agosto 2021, pp. 327-328 https://www.nature.com/articles/d41586-021-02187-1) nel suo numero del 12 agosto 2021 arriva alla conclusione che, nonostante un ciclo vaccinale completo, una persona può comunque diffondere il virus ad altri non vaccinati o vaccinati. La vera questione, infatti, è capire se, e di quanto, la vaccinazione possa ridurre la probabilità di trasmissione e di contagio: nel caso della variante Delta, la risposta di cui disponiamo è che una certa riduzione della trasmissibilità può esserci, anche se troppo piccola per poterci permettere di allentare le misure di contenimento anti-contagio, pur ribadendo che il rischio di malattia grave o morte sia ridotto di 10 volte o più negli immunizzati rispetto ai non vaccinati.

In attesa che gli scienziati raccolgano dati più precisi e accurati una cosa è, però, certa: la doppia vaccinazione non giustifica di per sé l’abbandono delle misure di prevenzione del contagio, dall’uso dalla mascherina all’igiene delle mani fino al distanziamento.

In Italia, invece, il governo delle élites, senza aver apportato alcuna miglioria alle strutture e sovrastrutture esistenti, non solo vorrebbe far ritornare nei luoghi di lavoro tutti gli impiegati della pubblica amministrazione e decine di adulti e giovani insieme a scuola e nelle università, ma ha fatto dire, nella conferenza stampa del 2 settembre, al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi:” Se in una classe sono tutti completamente vaccinati ci si potrà togliere la mascherina, per sorridere tutti insieme”. In questo modo, tornando a casa, giovani e adulti potranno infettare con letizia i loro cari, essendo la variante Delta del Sars-CoV-2 diffusa al 99,7% in Italia (comunicato stampa Istituto Superiore Sanità 42/2021: https://www.iss.it/cov19-cosa-fa-iss-varianti).

Al cinismo economicistico del governo si deve aggiungere, nel caso di chi scrive, la totale inadeguatezza della Sanità calabrese che, attraverso l’Asp, non è stata in grado di fornire alcuna assistenza: a distanza di più di 12 giorni dalla comunicazione fatta dal laboratorio privato che ha eseguito il tampone antigenico (la Regione di Spirlì non ha ritenuto di dare la possibilità di far praticare quello molecolare ai privati della provincia di Cosenza!), non si è ancora appalesata in nessuna forma, né per fare il tampone molecolare, né per prestare assistenza medica di alcun genere. Quale tipo di tracciamento o, meno che mai, di sequenziamento delle varianti e di misurazione della carica virale si può avere se l’Asp non garantisce nemmeno l’esecuzione di un solo tampone molecolare?

Le disastrose Asp calabresi non hanno ritenuto importante nemmeno informare i medici di famiglia che l’Ospedale di Cosenza è uno dei 199 in tutta Italia nei quali si sperimenta l’uso degli Anticorpi Monoclonali per i soggetti “fragili”?

I medici di base e le Usca (che nel caso di chi scrive non sono mai arrivate) non sono stati informati dall’Asp di Cosenza, per esempio, che basterebbe loro mandare una semplice mail all’indirizzo anticorpimonoclonali@aocs.it per far accedere, nelle prime 72/96 ore dal tampone positivo, il proprio paziente “fragile” infettato alla sperimentazione di questa cura del Sars-CoV-2 (https://www.fda.gov/media/149534/download)?

Una vera e propria cura che ha una percentuale di guarigioni senza ricovero vicina al 90% in tutti gli 8.434 casi affrontati dal 10 marzo al 3 settembre 2021(https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1475/report_n.22_monitoraggio_monoclonali_03.09.2021.pdf), nei quali è stata somministrata in Italia, di cui solo 153 in Calabria e un centinaio proprio a Cosenza.

Solo grazie all’amore, alla tenacia e alla competenza della moglie di chi scrive si è stati in grado di accedere a queste informazioni, prima, e alle dovute procedure mediche in Day Hospital, poi.

Grazie alla capacità organizzativa del dottor Francesco Cesario, ‘Covid manager’ dell’Annunziata, alla competenza e disponibilità delle dottoresse Vangeli e Greco e alle infermiere del reparto di “Malattie infettive” diretto dal dottor Mastroianni, lo scrivente, a dieci giorni dalla somministrazione degli anticorpi monoclonali, può dirsi fuori pericolo rispetto alla possibilità di sviluppare la malattia grave.

Per evitare di passare per un antiscientista o, peggio, per un no-vax, lo scrivente conclude affermando -perché è un vecchio illuminista e marxista- che se il contesto sociale e relazionale fosse meno sregolato e almeno il 90% delle persone fosse immunizzato, tutto questo, molto probabilmente, non sarebbe accaduto.

da “il Quotidiano del Sud” del 10 settembre 2021
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Un argine al dilagare delle falsità veicolate dal senso comune.-di Lelio La Porta

Un argine al dilagare delle falsità veicolate dal senso comune.-di Lelio La Porta

«Gli immigrati ci rubano il lavoro»: è una delle affermazioni più ricorrenti dei sovranisti nostrani che insinuano fra gli italiani una forma particolarissima di odio fondata sul fatto che gli immigrati rubino il lavoro ai nostri operai: questa narrazione, oltre a essere infondata, serve, invece, «a rendere ancora più deboli i braccianti» sfruttati dai caporali e dai padroni e favorisce la lievitazione smisurata dei profitti. Altro che esaltazione del popolo italiano («Prima gli italiani»); si tratta di uno schierarsi esplicito dalla parte del grande capitale nell’ottica della prosecuzione e dell’estensione del dominio delle classi dominanti sui lavoratori italiani.

QUESTA APPENA RIASSUNTA è una delle contronarrazioni presenti nella raccolta “Contronarrazioni. Per una critica sociale delle narrazioni tossiche” (a cura di Tiziana Drago, Enzo Scandurra, con Prefazione di Piero Bevilacqua, Castelvecchi, pp. 148, euro 17,50).

Il volume, dedicato a Franco Cassano, è il frutto di un lavoro collettaneo di intellettuali, provenienti da discipline diverse, raccolti intorno al sito dell’Officina dei saperi con l’obiettivo di proporre voci in grado di erigere un argine al dilagante senso comune delle narrazioni false e pericolose (come quella esposta all’inizio), che sono in grado, però, di diventare egemoniche poiché, di fatto, ripropongono quanto scriveva Manzoni nel suo romanzo storico a proposito del rapporto fra buon senso e senso comune: «il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».

Per sconfiggere la paura del senso comune diffuso, sostenuto da narrazioni che diventano tossiche in quanto producono consenso antidemocratico e conformista, cioè conforme al pensiero neoliberista, e provare a costruirne uno nuovo, sono raccolti testi di Abati, Agostini, Angelucci, Aragno, Bevilacqua, Budini Gattai, Cingari, Drago, Ferri, Fiorentini, Lorenzoni, Marchetti, Masulli, Novelli, Pazzagli, Sangineto, Scandurra, Toscani, Vacchelli, Vavalà, Vitale, Ziparo.

Questi scritti, come fa presente il sottotitolo del libro, si propongono nell’ottica di una critica sociale delle narrazioni, come quella riportata all’inizio. Dalla loro lettura emerge come e quanto il concetto di critica sia usato nell’accezione kantiana del termine, cioè come espressione di giudizi che si contrappongono, in quanto contronarrazioni, alle narrazioni correnti, ricettacolo di falsità e bugie.

«Tutti al centro»: lo spopolamento delle aree interne italiane (60% del territorio) è un fenomeno che non può essere ricondotto a una prosecuzione nel secolo presente di un processo di urbanizzazione iniziato molto prima; è molto di più e ha come prima conseguenza la frattura tra città e campagna.

L’estate appena trascorsa ha visto la realizzazione di alcune lodevoli iniziative in zone interne del nostro paese, nella fattispecie in Abruzzo, con l’obiettivo di «riabilitare i paesi, coltivare le campagne, ricostruire un rapporto equilibrato con la natura». Quindi una contronarrazione operativa che ha messo in discussione, decostruendola, la «metafora sbiadita della stanca modernità del nostro tempo» costituita dal «Tutti al centro».

L’INSIEME delle contronarrazioni costituisce un nucleo di controtendenza nei confronti di una forma egemonica nella quale il capitale, e il suo dominio, ha un ruolo di primo piano. E il capitale, vero convitato di pietra nell’elaborazione dei vari contributi, non è un quid astratto in quanto si concretizza in figure il cui potere, la cui filocrazia determinano l’infuturarsi del rapporto fra gli sfruttati e gli sfruttatori, fra gli oppressi e gli oppressori in forme di ineguaglianza non meno feroci di quelle a cui sono stati sottoposti i subalterni di altre epoche storiche.

Per avvicinarsi all’obiettivo e creare una coscienza collettiva, ossia un «nuovo senso comune» che sappia cogliere nell’urgenza della soluzione dei problemi immediati la prospettiva di una nuova dimensione del vivere in comune, quello che Marx definiva «Das Kommunistische Wesen» e Gramsci «vita d’insieme», c’è bisogno di operare nella realizzazione di una nuova volontà collettiva che, una volta, era veicolata dall’opera dei partiti politici (la cui assenza è sottolineata nel volume), ma ora è carente a causa di mancanza di discussione e di confronto e di incapacità di prendere decisioni e assumersi responsabilità.

ANCHE IN QUESTO GLI SCRITTI che compongono il volume si presentano come pars construens rispondendo all’affermazione di Seneca, nella lettera 104 a Lucilio, secondo la quale «Non è perché le cose sono difficili che non le affrontiamo, è perché non le affrontiamo che sono difficili».

Le autrici e gli autori delle varie contronarrazioni affrontano le cose difficili, con l’onestà intellettuale di chi è gramscianamente partigiano, ossia schierato da e con una parte. L’indicazione sembra essere quella di procedere alla ricerca delle strade che più possano avvicinare la democrazia, intesa come pedagogia della solidarietà e nel rispetto del dettato costituzionale, al socialismo come sistema economico-politico in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla donna si pongano soltanto come elemento di riflessione e di studio su una storia passata.

La fatica del concetto, di cui scriveva il vecchio filosofo, si concretizza nei testi della raccolta laicamente, al di fuori della politica intesa come potere, bensì come discussione libera ed aperta nella polis, alla ricerca di un’alternativa: l’alternativa come contronarrazione rispetto al «non c’è alternativa su cui il capitalismo fonda il suo potere e il suo linguaggio».

da “il Manifesto” del 4 settembre 2021

Pnrr, tra Nord e Sud la disuguaglianza delle risorse.-di Massimo Villone

Pnrr, tra Nord e Sud la disuguaglianza delle risorse.-di Massimo Villone

Sulla stampa napoletana (Marco Esposito, Il Mattino, 2 settembre) leggiamo dell’assegnazione di 700 milioni in materia di materne e asili nido, da inserire nella contabilità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In principio, la priorità era dei comuni svantaggiati, per ridurre divari territoriali e diseguaglianze in linea con le indicazioni Ue. Ma si scopre che tra i comuni «svantaggiati» compaiono alcuni tra i più ricchi del paese, che drenano risorse a danno di quelli più poveri secondo i parametri economici pur richiamati nel bando.

Come al solito, il trucco c’è, e si vede. Il bando di gara prevedeva che il cofinanziamento da parte dei comuni desse un punteggio aggiuntivo commisurato all’entità. Ed è allora ovvio che il comune ricco possa cofinanziare di più. Così, il comune di Milano vince su Venafro (provincia di Isernia), che pure lo precedeva in classifica prima del cofinanziamento. Milano batte Venafro uno a zero.

È STORIA ANTICA. Ad esempio, un meccanismo non diverso ha penalizzato le Università del Mezzogiorno nella assegnazione di risorse legate all’eccellenza perché questa è misurata tra l’altro con il tempo necessario per trovare un posto di lavoro dopo la laurea. Una competizione che gli atenei meridionali possono solo perdere, e non per proprio demerito.

Questo paese deve decidere se vuole davvero ridurre divari territoriali e diseguaglianze, oppure no. Chi a Palazzo Chigi ha scritto la clausola del cofinanziamento non poteva essere tanto stupido da non sapere. Dolo, e non colpa. Questo insegna che sull’attuazione del Pnrr è indispensabile mantenere una occhiuta vigilanza.

Tanto più che è ormai documentata – in specie da Adriano Giannola presidente Svimez – l’ingannevolezza della tesi della «locomotiva del Nord». Le statistiche dimostrano che il Nord vincente in Italia affonda nelle classifiche territoriali europee, mentre le regioni del Centro progressivamente si meridionalizzano.

LA «LOCOMOTIVA DEL NORD» ha trainato l’Italia nella stagnazione. Bisogna invece avviare il secondo motore del paese nel Sud, e a tal fine non bastano certo il turismo, la cultura e qualche eccellenza agroalimentare. Sono indispensabili un progetto lungimirante e una ferma volontà politica. In questo contesto colpiscono in specie due cose. La prima è l’esternazione di Conte sulla legge speciale per Milano, considerata la vera locomotiva d’Italia.

Non vogliamo pensare che ignori il contrasto radicale tra la locomotiva del Nord e il secondo motore da avviare nel Sud. La sua proposta è del resto opinabile anche con riferimento alla sola Lombardia e alle sue aree svantaggiate. Capiamo la sua ansia di cercare legittimazione e consensi come capo politico del Movimento 5S.

Ma la via scelta non è quella giusta, pur nel contesto della competizione amministrativa in atto. In prospettiva, servirà poco a M5S racimolare qualche stentato consenso in più nell’arco del Nord, dove è in una condizione di comparativa debolezza. La seconda è la ripartenza del circo dell’autonomia differenziata. È anzitutto censurabile che la ministra Gelmini riprenda la prassi dell’occultamento targata Stefani. Le rumorose rimostranze di Zaia riportate in specie dalla stampa locale ci dicono dell’esistenza di bozze di accordo. Diversamente, di cosa si lamenta? Ma sono tenute, per quel che sappiamo, coperte, e dovremo aspettare qualche meritoria gola profonda che le renda pubbliche.

VOGLIAMO SAPERE su cosa si sta trattando, in che termini, e con chi. Come si vuole modificare la legge quadro già di Boccia? Quali conclusioni ha raggiunto la commissione istituita dalla ministra? È vero o no che Zaia non vuole assolutamente che il Parlamento metta mano sugli accordi raggiunti tra le singole regioni e Palazzo Chigi? È vero o no che si vuole attivare il federalismo fiscale – che impatta sulla distribuzione territoriale delle risorse – prima del 2026, e quindi senza sapere quale paese uscirà dal Pnrr?

Quel che accade non è degno di un paese democratico. Ci aspettiamo che i parlamentari delle commissioni competenti – affari costituzionali, finanze, bilancio, bicamerali per le questioni regionali e il federalismo fiscale – pretendano di vedere le carte e di discutere. O forse preferiscono vivacchiare, magari sperando che alla fine arrivi la mordacchia di una questione di fiducia? Sarebbe allora difficile contrastare l’opinione di non pochi che gli eletti siano solo dei costosi mangiapane a ufo.

da “il Manifesto” del 3 settembre 2021

Regionalismo, luci e ombre.- di Gaetano Lamanna

Regionalismo, luci e ombre.- di Gaetano Lamanna

Regioni 50 anni di fallimenti scritto da Franco Ambrogio con Filippo Veltri (Rubbettino editore, 2021) è un libro di grande attualità. Ci offre l’occasione di discutere della crisi calabrese e delle sue origini. Una crisi strutturale, non solo economica e sociale, ma anche politica, istituzionale, morale, di classe dirigente. Ambrogio è lapidario: «si è realizzato un nuovo centralismo inefficiente». Argomenta che al centralismo di Roma si è aggiunto quello di Catanzaro. Inefficienza su inefficienza. E aggiunge: «La delega agli enti locali rimane nel cassetto […] La Regione non è stata strumento di allargamento e rafforzamento della democrazia».

Ce ne siamo accorti tutti in questi due anni di grave emergenza sanitaria. E ce ne accorgiamo ogni giorno, di fronte all’incendio dei nostri boschi, una delle tante declinazioni di un malgoverno che riguarda la gestione del territorio. Devastato prima tutto dall’incuria e dall’incapacità di poteri pubblici collusi con la criminalità mafiosa Chi governa la regione o ambisce a governarla è poi del tutto silente rispetto all’attuazione del Pnrr e alla vexata quaestio dell’autonomia differenziata, cioè rispetto a scelte politiche e istituzionali destinate ad avere un peso determinante sullo sviluppo economico, sull’evoluzione delle disuguaglianze sociali e territoriali, sull’assetto e la tenuta della democrazia.

Una cosa è certa. Dopo 50 anni, in Calabria pochi credono in un ruolo positivo, di cambiamento e di sviluppo, dell’ente regione. Il fatto che alle elezioni di due anni fa abbia votato meno del 45 per cento degli aventi diritto la dice lunga sui sentimenti dei calabresi verso questa istituzione. Concordo dunque pienamente con la valutazione degli autori sul fatto che l’esperienza regionalista ha indebolito le ragioni del meridionalismo. Dagli anni 80 in poi la propaganda leghista ha diffuso un’immagine delle regioni meridionali condannate all’inefficienza e all’assistenzialismo e perdute irrimediabilmente alla causa dello sviluppo.

C’è da dire che il senso comune, diffuso tra le popolazioni settentrionali, di un Sud come «palla al piede» è avvenuto anche per la cattiva prova degli amministratori regionali e per l’abbandono, da parte degli eredi del Pci e della Dc, di un pensiero politico che aveva proprio nel meridionalismo una delle sue radici più forti. La questione meridionale diventa un problema di «coesione sociale e territoriale», viene declassata a ritardi di sviluppo da recuperare facendo leva sulle «eccellenze». Come se alcune oasi felici potessero invertire la tendenza del deserto che avanza.

In linea col pensiero liberista dominante, il Pds e a seguire i Ds e il Pd abbandonano di fatto la tradizione meridionalista e abbracciano acriticamente la «questione settentrionale». Mi pare che questo mutamento d’approccio, culturale e politico, che ha molto influito sulla vita delle autonomie regionali, non risalti come avrebbe meritato, nella conversazione tra Ambrogio e Veltri. I divari e le disuguaglianze sociali e territoriali tra Nord e Sud, a 50 anni dall’istituzione delle Regioni, sono cresciuti per una politica con una forte impronta liberista, attenta al profitto d’impresa, che si è presa cura delle aree forti a scapito di quelle deboli. Tanto la «mano invisibile» del mercato avrebbe provveduto a mettere le cose a posto. Una convinzione miope, che stiamo pagando a caro prezzo e che non poteva non avere come conseguenza politica la famigerata «autonomia differenziata».

I limiti e le difficoltà del regionalismo nel Mezzogiorno andrebbero indagati, a mio avviso, anche in un’altra direzione. Ambrogio sottolinea giustamente che gli uffici regionali si sono gonfiati, in questi 50 anni, di personale poco qualificato (di norma), con assunzioni basate poco sul merito e molto, invece, sulla logica clientelare. Mano a mano che venivano trasferiti poteri e competenze statali alle Regioni, anziché emanare provvedimenti di delega agli enti locali, in Calabria e nelle altre regioni del Sud, si rafforzavano le funzioni gestionali, creando un corto circuito tra l’aumento delle cose da fare (e dei soldi da spendere) e la lentezza e l’inefficienza dell’apparato burocratico. Sta qui una delle cause principali dell’aumento del divario Nord-Sud, particolarmente marcato negli ultimi vent’anni. Sono peggiorati tutti gli indicatori riguardanti i servizi pubblici, la qualità della vita, gli investimenti produttivi e infrastrutturali. Per non parlare, degli sprechi, della corruzione, delle infiltrazioni mafiose.

Un po’ di storia ci aiuta a capire meglio alcune dinamiche politiche ed economiche. Prima dell’attuazione dell’ordinamento regionale, la gestione della cosa pubblica era essenzialmente garantita dai comuni, dalle province e dagli enti periferici dello Stato. Con una variante significativa nel Mezzogiorno, che è stata, dagli inizi degli anni ’50, la Cassa del Mezzogiorno. Il ricorso all’intervento “straordinario” ha segnato la vita e il funzionamento del sistema istituzionale e politico meridionale L’uniformità ordinamentale si piegava, nelle intenzioni del legislatore, all’esigenza di rispondere alla peculiarità economica, sociale e culturale delle regioni meridionali.

Al dualismo economico si accompagna, dunque, una sorta di dualismo istituzionale, che ha avuto un peso rilevante. Mentre nelle aree del Nord gli interventi erano regolati sulla base di una distinzione fondamentale tra obiettivi d’interesse nazionale e quelli di scala locale, in quelle del Sud, invece, soprattutto a partire dall’istituzione della Cassa del Mezzogiorno (1950), vi è la contestuale presenza di una pluralità di soggetti pubblici operanti nel medesimo ambito territoriale, e a volte nell’ambito delle stesse materie. Inoltre le risorse necessarie derivavano dalla finanza centrale e il loro controllo dipendeva essenzialmente dagli “enti speciali”.

Si è molto discusso se la Cassa del Mezzogiorno abbia o meno contribuito a ridurre il divario economico tra Nord e Sud. Non si è riflettuto abbastanza sul fatto che il gap ha interessato non solo la sfera economica, ma anche la struttura istituzionale, quella amministrativa e quella, da non sottovalutare, degli interessi privato-collettivi (imprese, sindacato, associazionismo). Il giudizio sostanzialmente positivo, oggi in voga, sull’intervento straordinario non tiene conto del fatto che questo modello di governo ha depotenziato di fatto l’amministrazione ordinaria. Ha contribuito a dequalificarne gli apparati, ha determinato la cronica inefficienza dei servizi, e anche il degrado politico e morale che avvolge il settore pubblico. Tutto questo è, in grande misura, il riflesso dell’intervento straordinario, da molti ancora invocato come panacea di tutti i mali.

L’amministrazione ordinaria, insomma, quella che nel resto del paese è preposta al governo regionale e locale, in Calabria ha perso autorevolezza ed efficienza. E’ relegata a un ruolo subordinato, di «ancella» esecutiva del sistema di potere politico-affaristico-mafioso. La lunga transizione dalla “straordinarietà” alla “ordinarietà” dell’intervento pubblico non si è ancora conclusa e rischia di riaprirsi con la gestione del Pnrr.

L’esperienza regionalista non è stata pari alle aspettative. Non ha determinato quel salto di qualità auspicato nella politica di programmazione e nell’efficienza ed efficacia dell’amministrazione. Non ha rappresentato il punto di svolta in un percorso di autonomia politica, progettuale e finanziaria per le diverse aree del Sud. E’ prevalsa una logica di sovrapposizione di competenze tra Stato e Regione che ha prodotto una crescita della spesa pubblica e improduttiva.

Per lunghi decenni, dal 1970 in poi, la finanza regionale, totalmente derivata dal centro, ha permesso una larga autonomia di spesa senza alcuna autonomia di entrata, generando una totale deresponsabilizzazione degli amministratori e degli apparati dirigenziali delle Regioni sia sul fronte del reperimento delle risorse finanziarie (garantite dai trasferimenti erariali e dai fondi strutturali europei) sia riguardo alla gestione oculata delle stesse. Per il Mezzogiorno e la Calabria, dunque, la Regione è stata un nuovo grande centro di spesa pubblica, che, per le sue caratteristiche, ha accentuato la tradizionale “dipendenza” economica.

Lo strutturale “ritardo di sviluppo” è il frutto della crisi politica e istituzionale. La regressione culturale, il degrado della vita pubblica, l’avanzata incessante della criminalità mafiosa trovano una spiegazione nel ruolo “minimo” dei partiti, in quello che sono diventati.

Nel colloquio di Franco Ambrogio con Filippo Veltri ci sono molte verità e sono presenti molte critiche. Ma, accanto ad alcune omissioni che ho segnalato, ho colto una certa reticenza politica. Se si vuole invertire la tendenza auto-distruttiva della sinistra bisogna affermare un’idea della politica non già come presidio della stanza dei bottoni e nemmeno solo come buona amministrazione, che dovrebbero essere sempre i presupposti di chi si occupa della cosa pubblica.

La politica è innanzitutto radicamento territoriale, conflitto sociale, capacità di leggere e interpretare problemi di uomini e donne, la vicinanza a chi ha più bisogno, l’impegno nel trovare risposte immediate e concrete senza mai smarrire la prospettiva del cambiamento. Sono queste le condizioni minime perché la sinistra riacquisti forza attrattiva e diventi perno della costruzione di un più largo campo democratico e progressista. Diventerebbe anche più semplice discutere del futuro da riservare alle Regioni.

da “il Quotidiano del Sud” del 31 agosto 2021

Solidarietà a Tomaso Montanari

Solidarietà a Tomaso Montanari

Tomaso Montanari, eletto rettore all’Università per stranieri di Siena, è da tempo oggetto di una campagna denigratoria su cui, a questo punto, non possiamo tacere, come docenti, attivi o in pensione, e come comunità intellettuale. Montanari, ovviamente, sa difendersi da solo e da par suo, e ha la possibilità di farlo quale collaboratore del Fatto Quotidiano. Benché inquieti il silenzio, la mancata difesa da parte dei suoi colleghi, rettori e docenti. Ma il caso personale di questo rettore in pectore assume ormai una dimensione politica più generale su cui occorre far sentire una voce collettiva. Ricordiamo che ai primi di agosto, da poco eletto e ancora non in carica, Montanari ha subìto la richiesta di dimissioni da parte della viceministra alle infrastrutture e mobilità sostenibile, Teresa Bellanova, con la motivazione che “non sa tenere la lingua a freno”.

Una intimidazione davvero grave, da parte di un membro del governo, che attacca la libertà di parola e l’autonomia universitaria con una disinvoltura rivelatrice del torbido spirito pubblico dei nostri giorni. Clima culturale e politico in cui un altro vice ministro, Claudio Durigon, ha avuto l’ardire oltraggioso di proporre il nome di Arnaldo Mussolini per un parco che porta quello di Falcone e Borsellino: i due magistrati massacrati dalla mafia con le loro scorte, due figure che hanno riscattato con la loro vita l’onore della Sicilia e dell’Italia di fronte agli occhi del mondo.

Non a caso, in questi ultimi giorni si è scatenata la canea neofascista contro il neorettore, accusato di aver negato le foibe e altri sono intervenuti con posizioni pilatesche che testimoniano solo l’ ignoranza dei fatti. Ora a dare inopinatamente man forte a queste polemiche, che fanno male a uno spirito pubblico nazionale già gravemente inquinato, interviene Aldo Grasso, il quale, sul Corriere della Sera (29/8), definisce l’intervento di Montanari sulla questione foibe “una mascalzonata”.

Montanari, faziosamente equivocato dai commentatori, ha ulteriormente chiarito la sua posizione di studioso che certo non è quella di un negazionista (Il Fatto, 26/8). Ma se ora si aggiunge la voce del Corriere, la confusione diventa ancora più grave. Grasso, che non è uno storico, dovrebbe però sapere che da anni il tema doloroso delle foibe è usato dai fascisti in stolida funzione anticomunista e antisinistra quale controaltare nientemeno che alla Shoah.

Ed esiste una letteratura fantasiosa e biliosa in cui le cifre dei morti raggiungono numeri spaventosi, proprio per tale esplicito fine propagandistico. La “meschina contabilità” dei morti, che Grasso (ora si è aggiunto buon ultimo il solito Vittorio Sgarbi sulla stessa linea) rimprovera a Montanari, è da anni materia asprissima di controversia tra storici, e soprattutto inventori di leggende, e purtroppo – in un Paese nel quale il fascismo non muore mai – la verità storica deve imporsi anche tramite questa tristissima conta.

A tale scopo hanno lavorato, pioneristicamente Claudia Cernigoi, Sandi Volk, ALessandra Kersevan, Federico Tenca Montini e da ultimo Eric Gobetti, col suo E allora le foibe? (Laterza, 2020) Tutti costoro sono stati oggetto di attacchi scomposti o addirittura di minacce, soltanto perché hanno provato, documenti alla mano, a ristabilire le dimensioni reali del fenomeno, riconducendolo al suo contesto, quale pagina, per quanto atroce, di una guerra in cui gli italiani furono aggressori, e si comportarono in Jugoslavia in modo particolarmente feroce. In nessun caso, comunque, risponde a verità storica parlare di un piano di pulizia etnica da parte jugoslava contro gli italiani.

Esprimiamo dunque la nostra solidarietà e condivisione a Tomaso Montanari, al quale non viene evidentemente perdonato il fatto che, in quanto rettore, egli non si senta parte dell’establishment culturale e politico del Paese, non si faccia difensore e cantore dello status quo. Noi lo esortiamo a continuare la sua critica radicale, anche nel nuovo ruolo che ricoprirà.

Non possiamo infatti dimenticare che negli ultimi anni i rettori italiani, tranne pochissime eccezioni, hanno accettato in solenne silenzio le riforme “aziendalistiche” e i devastanti tagli finanziari imposti alle università italiane. Come del resto ha fatto la grandissima maggioranza dei docenti universitari, le anime morte della vita civile italiana, che si destano da profondissimo sonno solo quando qualche provvedimento governativo tocca i loro stipendi.

*** Piero Bevilacqua, Enzo Scandurra, Angelo d’Orsi, Vezio De Lucia, Maria Pia Guermandi, Luigi Ferrajoli, Ginevra Bompiani, Enzo Paolini, Massimo Veltri, Ilaria Agostini, Alberto Magnaghi, Alberto Ziparo, Carlo Cellamare, Paolo Favilli, Ignazio Masulli, Alberto Olivetti, Gaetano Lamanna, Luigi Pandolfi, Franco Toscani, Franco Cambi, Tonino Perna, Maurizio Acerbo, Tiziana Drago, Franco Novelli, Rossano Pazzagli, Laura Marchetti, Domenico Gattuso, Angela Barbanente, Vito Teti, Lucinia Speciale, Andrea Ranieri, Simonetta Del Bianco, Raffaele Tecce, Graziella Tonon, Giancarlo Consonni, Mario Fiorentini, Marisa D’Alfonso, Giovanni Losavio, Riccardo Barberi, Paolo Berdini, Armando Taliano Grasso, Sonia Marzetti, Giuseppe Saponaro, Domenico Rizzuti, Luigi Vavalà, Domenico Cersosimo, Vittorio Boarini, Pino Ippolito Armino, Franco Blandi, Simona Maggiorelli, Daniele Vannetiello, Rita Paris, Giuseppina Tonet, Anna Maria Bianchi, Amedeo Di Maio, Roberto Budini Gattai, Francesco Trane, Anna Angelucci, Tommaso Tedesco, Battista Sangineto, Giuseppe Aragno, Roberto Scognamillo, Giovanni Carosotti, Massimo Baldacci, Francesco Gaudio, Piero Caprari, Francesca Leder, Marta Petrusewicz, Diego Amelio, Maria Paola Morittu, Piero Caprari, Francesco Santopolo, Umberto Todini, Claudio Greppi, Irene Berlingò, Francesco Cioffi, Romeo Bufalo, Amalia Collisani, Cristina Lavinio, Luisa Marchini, Vera Pegna, Tiziano Cardosi, David Armando, Antonio Ciaralli

da “il Manifesto” dell’1 settembre 2021