Catanzaro, una città dimezzata di Maria Adele Teti

Catanzaro, una città dimezzata di Maria Adele Teti

Indignazione, irritazione, sconcerto,  queste le razioni prevalenti dei cittadini di Catanzaro alla notizia degli scandali che hanno investito di recente  alcuni amministratori comunali: corruzione ai danni  del territorio, con il contorno di intercettazioni telefoniche a sfondo sessuale ed escort di turno. Il sindaco  di centrodestra, che amministra la città da più mandati, nel commentare l’accaduto, in una nota trasmissione televisiva, si è indignato di tanto scalpore da parte dell’opinione pubblica, visto che “i giornali sono pieni di questi fatti”. Si parla di una piccola città del sud (86.000 abitanti) che, a causa  di una dissennata politica comunale,  va perdendo popolazione  e funzioni  oltre alla   struttura originaria,  arroccata su tre colli, senza assumere nuovi assetti insediativi rispondenti alle funzioni di capoluogo regionale. In realtà, un capoluogo contrastato e dimezzato, visto che la sede del Consiglio regionale è a Reggio Calabria. Una storia  che si delinea chiaramente all’indomani dei noti fatti “del boia chi molla” di Reggio Calabria, la quale ha avviato nelle polemiche, la nascita dell’ente regionale nel 1972 e la designazione del capoluogo regionale.  Una indeterminatezza che si è protratta negli anni, quella del capoluogo regionale,  originata da fatti storici ben precisi, risalenti almeno all’ antica  partizione amministrativa borbonica che, dopo la Restaurazione, sancisce la divisione in tre provincie. “Le Calabrie” – come ancora oggi, talora, viene indicata la regione –  sono  caratterizzate  da dialetti, usi e costumi  ben differenziati e da un assetto insediativo composto da centri di contenute dimensioni,  che ben rispecchiano la debolezza economica e territoriale nel suo complesso. Le città maggiori, di modesta  taglia demografica, hanno pertanto sviluppato funzioni  amministrative di base,  senza tuttavia consolidare servizi del terziario avanzato, propri delle città di rango superiore. Catanzaro vantava un tempo una preminenza nel campo militare e, soprattutto,  giudiziario, per la presenza della Corte d’Appello: una prerogativa che aveva fatto sì che si sviluppasse una società fortemente rappresentata dal ceto forense e giudiziario, che ha alimentato, fino agli anni ’70, la cultura locale.  Questa presunta supremazia, tuttavia, non è stata sufficiente ad arginare una deriva sociale e culturale dovuta, tra le altre concause, all’ingresso in scena di un nuovo ceto politico provinciale, desideroso di potere e alle nuove lobby politico-amministrative. In assenza di una moderna borghesia produttiva, si fanno strada gruppi che vedono nel territorio e nelle sua edificabilità, la via rapida e  più agevole dell’arricchimento personale e del controllo politico. Nella fase del boom economico, anni ’60 e ’80, Catanzaro si espande  fuori il perimetro storico e dilaga nel territorio circostante. Il PRG allora vigente, redatto da Plinio Marconi, approvato prima del  decreto ministeriale relativo alla dotazione di standards edilizi (DM 1444/’68),   va  consolidando una città priva di servizi,  che si sviluppa per nuclei  sparsi verso le colline piuttosto che verso il mare: proiezione  meccanica degli interessi immobiliari consolidati sul territorio. Sulle pendici collinari, geologicamente instabili, si  sviluppano “palazzi” a elevate densità edilizie, che snaturano il sito originario e le aree poste a corona del centro storico. Il profilo storico della città viene letteralmente sfigurato.  Negli anni ’70,  il  piano regolatore generale, redatto da Marcello Vittorini, tenta di dare un ordine al territorio e a delineare un nuovo centro direzionale a sud della città, con l’intento di porre le condizioni di una maggiore apertura verso il mare, verso i comuni limitrofi e Lamezia Terme. Ma la difficoltà di ricomporre i nuovi interessi pongono serie ipoteche sul nuovo Piano che non verrà approvato. In seguito, i ricorsi al Tar, prese di posizione  di gruppi politici,  rendono sempre più difficile,  anche quando la città si doterà di nuovi Piani urbanistici,  porre  regole  minime di governo dell’ habitat urbano .   Intanto il territorio si depaupera  e si sviluppa secondo procedure  e regole  tipiche di tante città meridionali, dove pochi gruppi  politico-imprenditoriali,  mossi dalla ricerca del guadagno immediato, dettano le regole  dello sviluppo. Il tessuto produttivo si va progressivamente assottigliando, soprattutto nel settore primario e turistico-balneare –  che avevano avuto un ruolo non secondario nell’economia della città – in favore del settore terziario-amministrativo, legato alla spesa pubblica. Tra le varie vicende, che hanno caratterizzato la vita cittadina è utile dunque approfondire tre punti, in grado di delineare   meglio l’attuale fase storica: la localizzazione della Giunta regionale e dell’Università, la perdita della forma urbana e le periferie, il declino del centro storico.

Tra i tanti problemi presenti oggi nella città di Catanzaro, son da porre al centro  le carenze strutturali e la difficile accessibilità territoriale, che hanno determinato a lungo una scarsa mobilità  di uomini e merci. Un problema vitale per la città,  situata a circa trenta chilometri dai maggiori nodi infrastrutturali della Calabria centrale, dall’autostrada e dall’aeroporto. I dati Svimez  collocano Catanzaro tra quei centri  medio/piccoli  che si trovano al primo stadio di sviluppo, di agglomerazione intorno al nucleo originario, caratterizzata da contenuti processi di suburbanizzazione esterni all’area comunale. La localizzazione della Giunta regionale  e dell’Università,  del mercato agro-alimentare, della nuova stazione ferroviaria e altre attrezzature produttive, realizzate o in corso di realizzazione nella valle del Corace, sita ad ovest della città consolidata, impongono una  revisione dell’intero sistema urbano e della mobilità.  Questa scelta localizzativa, che prende corpo negli anni ’90, in seguito agli interessi di una nuova classe politica desiderosa di guadagno su aree ancora agricole, ha manifestato, nel corso dell’ultimo ventennio, non poche difficoltà nella sua realizzazione: sia a causa della  mancanza di una visione sovra comunale da parte dei governi cittadini, sia per i freni   posti  dai  privati, che volevano continuare a lucrare sui numerosi immobili affittati all’Ente Regione. Il “partito degli affitti”, come è stato denominato, e più in generale l’insieme dei soggetti che intercettano le maggiori occasioni economiche e finanziarie, costituito in parte da politici  legati  ai mandati regionali (e, spesso, contestualmente, a quelli comunali o provinciali), e da settori delle professioni, hanno formato un blocco sociale  che  ha depotenziato  la città e  posto pesanti ipoteche sull’azione  regionale nel suo complesso.

Le problematiche più rilevanti sono, tuttavia quelle attinenti alla città consolidata,  delle periferie urbane che si sviluppano, attraverso aggregazioni demografiche e insediative sparse,  nelle tre vallate  (Fiumarella,  asse storico, nord-sud,  Castace ad est, Corace ad ovest): strutture che caratterizzano fortemente la morfologia urbana, e  costituiscono i temi centrali d’intervento, assieme alla salvaguardia del paesaggio e delle consistenti aree agricole,  fortemente interconnesse con l’edificato. Il disordine urbanistico e la mancanza di un disegno di città coerente, assieme alle recenti realizzazioni di una moltitudine di centri commerciali disseminati da nord a sud, è da considerarsi elemento da cui partire per ricomporre un tessuto urbano  e ridisegnare la città.  Catanzaro Lido, che chiude verso il mare la vallata della Fiumarella, da modesto villaggio di pescatori, nel secondo dopoguerra, si è lentamente trasformata in un ambito urbano in gran parte autosufficiente, aggredito dalla speculazione: mentre  il mare,  avvicinato  minacciosamente all’abitato  e dalla contemporanea azione  azione erosiva del moto ondoso,  ha cancellato gran parte  dell’arenile.  Oggi le attenzioni speculative si attestano su Giovino,  un ambito territoriale litoraneo ancora in parte integro, oggetto delle recenti indagini della magistratura,   che rappresenta l‘ultima possibilità di valorizzazione del waterfront cittadino.

Il settore urbano più problematico è tuttavia  il centro storico  il quale, benché  degradato  e alterato da demolizioni e ricostruzioni  incompatibili con il tessuto storico, è da ritenersi la struttura  significante della città. Il nucleo storico, si  va spopolando perché depotenziato dal trasferimento delle attività terziarie, di difficile accesso perché privo di aree di parcheggio e di un efficiente sistema di mobilità urbana e perché assediato da centri commerciali che hanno marginalizzato il tessuto commerciale esistente.  La ristrettezza della trama viaria, la modestia delle strutture edilizie  e la scarsa cura  degli immobili e delle cose, le consistenti demolizioni e le perniciose ricostruzioni, fanno temere per la sua sopravvivenza.  Malgrado ciò, quel che rimane del centro storico, oggetto, ancora oggi, di nuovi progetti  di ricostruzione e  trasformazione incompatibili col tessuto storico esistente, che insistono sull’asse centrale, il corso Mazzini, è la parte che merita di essere salvata dell’intera città. Un aggregato cresciuto senza nessun ordine e piano,  che divora  e stringe la  campagna, sopravvissuta in forma di relitto, in un continuum urbanizzato,  di cui non si identificano i margini.

                 

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