La città futura tra concentrazione e dispersione urbana. Il centro è periferia di Maria Adele Teti

La città futura tra concentrazione e dispersione urbana. Il centro è periferia di Maria Adele Teti

La parte di città che tradizionalmente riconosciamo come “storica”, si identifica non solo nel nucleo storico, ma nel complesso prodotto della sua evoluzione, che l’ha resa di volta in volta contemporanea ai suoi abitanti.

Questa capacità di trasformazione delle strutture richiede un continuo aggiornamento di significato dei contesti urbani e dei nuovi valori che essi esprimono.

I centri storici, mediterranei e europei, in particolare, costituiscono luoghi dove la contrapposizione storica tra identità culturale, sociale ed economica si è sedimentata in forme urbane complesse, la cui dinamica formativa si è evoluta nel tempo.

L’assetto della città storica contemporanea si configura, pertanto, come la risultante di molteplici modelli di crescita, sotto il profilo demografico, architettonico e urbanistico; se osservato attraverso l’apparato concettuale classico e le lenti fornite da concetti come popolazione, città/campagna e centro/periferia, la struttura di questo organismo urbano sfugge alla comprensione, malgrado mantenga alcuni caratteri di riconoscibilità.

D’altra parte, se lo sviluppo industriale del XVIII secolo ha ridefinito gli spazi della città in unità funzionali separate (lo zoning), l’economia della conoscenza ha trasformato la città in un magnete che attira risorse composite dalle aree circostanti, mettendo così in questione la concezione monolitica che perfettamente si adattava alla società industriale passata.

La città storica, sotto la spinta di nuove mutazioni, funzionali e dimensionali, si è dilatata, mentre la politica tradizionale, fondata sull’identificazione del perimetro storico, si dimostra sempre più insufficiente ad affrontare i problemi più generali della sostenibilità, dalle nuove economie e da quelli posti dalla “nuova architettura”.

Guardando al panorama internazionale possiamo dire che solo in pochi casi le amministrazioni locali sono state in grado di mantenere un equilibrio tra sviluppo e salvaguardia dei valori storico-culturali e del paesaggio.

Poche città sono riuscite a declinare le complesse necessità della città contemporanea, proiettata in una dimensione metropolitana secondo un modello policentrico, con le problematiche di tutela e valorizzazione della città storica; ciò comporta la necessità di valutare un universo di categorie d’analisi ben più vasto di quello tradizionalmente considerato.

Le politiche urbane più avanzate, in molte città italiane ed europee, tendono oggi ad invertire la tendenza di considerare il centro storico come parte significante di tutto il contesto urbano e in molte città l’attenzione si è spostata sui valori ambientali diffusi e sulle aree periferiche. Gli interventi connessi alla policentralità spingono infatti verso la riqualificazione delle periferie, la realizzazione di strutture di servizio e al decentramento di funzioni: università, cultura, ricettività commerciale e residenze che si attestano all’interno delle nuove centralità.

 

La città si estende così verso la campagna, vista non solo come riserva agricola ma come parte integrante della stessa.

La pervasività dell’architettura moderna, che si esprime con forme sempre più inattese e sorprendenti, risveglia tuttavia i timori sulla possibilità di tutela e integrità dei “tessuti urbani” e sulla conservazione della memoria storica. Questo nuovo protagonismo è, tuttavia, anche un segnale della vivacità della cultura urbana e della capacità di negoziare tra le culture tradizionali e le esigenze della cultura globale.

Recentemente le nuove centralità urbane- i non luoghi o superluoghi secondo la citatissima definizione di March Augè- contendono ai centri storici alcune funzioni tradizionali: del tempo libero, di svago e dei luoghi del commercio, iai servizi inducendo così nuove problematiche di sopravvivenza dei nuclei storici.

D’altra parte, il processo di recupero dei centri storici a partire dagli anni ’70 del XX secolo è stato lento e incerto negli esiti generali. In molte città storiche italiane, infatti, la sola componente turistica ha portato alla formazione di un’immagine stereotipata della storia, attraverso la banalizzazione dell’immagine, la ricostruzione nostalgica della memoria, la disneificazione dell’arredo urbano. Il dibattito pare si sia fermato agli anni Ottanta, al termine delle esperienze di recupero legate al Piano decennale e alla Legge 457 del 1978 che introdusse il Piano di Recupero. Finiti i finanziamenti statali, i centri storici e il loro recupero hanno progressivamente perso di interesse.

Il centro storico ha, di conseguenza, perso la sua caratteristica principale: la centralità che, nei processi di espansione, si è delocalizzata nelle nuove centralità.

Come raccontare, come descrivere, come progettare uno spazio urbano che tende a scomporsi in mille reticoli. come ritrovare un nuovo ordine territoriale che affonda le radici in una memoria storica rivisitata ?. Risulta evidente, che il baricentro di riferimento non potrà essere più la città storica, consolidata nel corso del XX secolo, ma l’intero contesto ambientale, visto nella rete di relazioni e nei suoi valori storici e fisici, ecologici e morfologici.

Il centro storico appare ora come una porzione di città per alcuni aspetti progressivamente svuotata di parte delle sue funzioni, per alcuni aspetti inaccessibile a parte della popolazione e contestualmente rifiutato come luogo della residenza e infine assegnato ad un ruolo di spazio destinato al tempo libero da politiche pubbliche, a sostegno delle attività turistiche. La città storica sembra ora al centro di pratiche lontane tra loro e apparentemente inconciliabili, per provenienza geografica, per cultura e per riferimento ai tempi della quotidianità.

Resta, comunque difficile definire le problematiche che ruotano intorno alle varie realtà che legano il centro alle periferie. E’ un legame di dipendenza reciproca anche se, in alcuni periodi, si è manifestata in forma contrapposta.

In realtà si è visto come le utopie della città moderna fatta di grands ensebles, di unité di habitation immerse nel verde, si sono trasformati negli incubi dei superblocks e del nulla del fuori città. In contrapposizione a queste strutture urbane, negli anni sessanta i centri storici sono stati rivalutati e sono diventati oggetto di restauro; in essi si è riconosciuto un vero “effetto” città oltre che un inestimabile patrimonio monumentale. La tabula rasa cui il movimento moderno in architettura voleva ridurre le città storiche, proposta nell’efficace immagine del Plan Voisin di Le Corbusier (1925), è stata realizzata in modo difforme e distorto, nelle periferie, divenute in alcuni casi luoghi desolati, minacciose aree di conflitti. Tuttavia, nei corsi e ricorsi della storia, oggi le periferie costituiscono, con la presenza di un

tessuto ancora labile, il luogo propizio per i nuovi scenari dell’architettura, dove è possibile operare con metodologie nuove e sperimentare nuovi assetti urbani.

Oggi, la periferia minaccia la città storica, con i centri commerciali, le multisale cinematografiche, le stazioni metropolitane, gli aeroporti, oppure è il centro che ha “voglia di periferia”? A Torino, si teorizza la costruzione di “un grattacielo a misura della città storica” e a Milano i progetti dei nuovi grattacieli modificheranno profondamente lo scy liner della città storica.

Ci chiediamo “l’architettura fa ancora bene alla città? Josef Rykwert, individua la carenza dell’architettura nell’incapacità di produrre simboli condivisi e nell’aver ridotto il sistema simbolico del mondo costruito a un grado elementare che spesso si riduce nella costruzione di un grattacielo.

L’architettura, quale professione di pensiero sulla città che si colloca in intimo contatto con la sua storia, potrebbe ancora avere una straordinaria funzione democratica, potrebbe essere il luogo d’incontro di coloro che tentano di costruire la città più giusta.”Perché l’umanità- sostiene ancora Rykwert – ha saputo creare città … facendo una semplice opera di assemblaggio di elementi?. Interrogativi forse troppo espliciti, nella loro semplicità, che tuttavia danno la misura di come l’architettura, pur moltiplicando i simboli di un nuovo linguaggio formale, che si pongono come elementi unici, avulsi dai contesti, abbiano smarrito “l’arte di fare la città” che si presenta, pertanto frammentata e come risultante di singoli elementi poco dialoganti tra loro.

In realtà- sempre secondo Rykwert “ tutto ciò ha poco a che fare con le questioni in gioco, con le faccende serie dell’invivibilità delle città, di esaurimento delle risorse, di surriscaldamento del pianeta”. In altre parole, con la sostenibilità, architettonica e sociale .

La morte lenta del middle class cittadina, l’ascesa dell’architettura come strumento di puro marketingh, tutto ciò ha contribuito a restringere gli obiettivi di natura sociale dell’architettura, in un momento in cui stava incominciando a penetrare nell’immaginario di un pubblico più ampio.

Questo ha influito non poco nel modo materiale di fare architettura: non è un caso che siamo tempestati da sempre nuove superfici, interventi, progetti : dal grattacielo di Renzo Piano a New York, all’edificio per la casa di moda Versace a Tokio di Fuksas, dalle opere di Calatrava, Jarn Nouvel, Koolhaas ecc,. in un caledoscopio che muta velocemente.

In questo quadro multiforme dove tutto si muove ed è sostituibile è rassicurante pensare che – come sostenuto da Marco Romano- “la città lievitata in Europa negli ultimi mille anni possa legittimamente considerarsi un’opera d’arte, dal momento che i suoi manufatti sono stati immaginati in se stessi come tali e che la loro reciproca disposizione è stata a sua volta pensata proprio con quella intenzione”.

C’è da sperare che dalle forze sviluppate dal modello della città dell’economia globale si sviluppi una tendenza uguale e contraria in grado di proporre città e quartieri ecosostenibili, infrastrutture che riconnettano aree sottratte ai cicli naturali: procedure urbanistiche che vanno oltre la pianificazione tradizionale, verso una nozione più inclusiva del territorio. Soluzioni che devono misurarsi con i valori diffusi nel territorio, con i processi insediativi incalzanti e con il complesso delle politiche urbane, al fine di limitare il consumo di suolo, di sviluppare insediamenti a bilancio energetico, a contenere la frammentazione del territorio aperto. Si opera sempre più nella consapevolezza che, nei vari contesti urbani, sia necessario chiarire il ruolo progettuale che le diverse parti della “città storica” possono giocare nella proposta di assetto complessivo, contribuendo in maniera determinante alla “composizione” del progetto urbanistico per la città, alla diffusione della sostenibilità ambientale del territorio nel suo insieme.

 

 

Bibliografia

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