Un amore infinito per il territorio.-di Enzo Scandurra

Un amore infinito per il territorio.-di Enzo Scandurra

Alberto Magnaghi, da tempo malato di un male incurabile, è morto a Bra (in Piemonte) all’età di 82 anni. Ha continuato fino alla fine dei suoi giorni a ricercare soluzioni inedite (molto discusse nella comunità accademica degli urbanisti) per una pianificazione del territorio in senso ecologico.

Con la sua autorevolezza e con il suo infinito amore per il territorio ha avuto moltissimi allievi “territorialisti” che condividevano il suo approccio e la sua ricerca. Il suo ultimo libro, Ecoterritorialismo (scritto insieme a Ottavio Marzocca), sarebbe stato presentato il prossimo 6 ottobre a Spin Time, a Roma, da dove avrebbe illustrato il concetto, a lui carissimo, di Bioregione, quello che lui considerava lo strumento multidisciplinare per affrontare il progetto eco-territorialista.

Era stato designato professore Emerito di pianificazione territoriale presso la Facoltà di Architettura di Firenze, dove aveva fondato la Scuola Territorialista. Insieme ad Asor Rosa anni fa presentammo l’unico libro che parlava della sua esperienza carceraria, Un’idea di libertà (Derive Approdi, 2014). La libertà, per Alberto, non poteva che venire dalla cura del territorio, dal rapporto virtuoso tra le comunità insediata e i luoghi.

Da qui il concetto di autogoverno del territorio, un territorio abitato da tante comunità, l’opposto di quello metropolitano strombazzato in molte ricerche accademiche.
Questo giornale prese le sue difese quando, nel 1979, venne arrestato nell’ambito dell’inchiesta 7 aprile come dirigente di Potere Operaio; fu condannato, poi definitivamente assolto 8 anni dopo. Rossana Rossanda parlò di lui su il manifesto, come un uomo giusto e di grande impegno nella sua opera di urbanista militante.

Aveva iniziato le sue ricerche con la pubblicazione de: La città fabbrica, contributi per un’analisi di classe del territorio, tracciando un percorso che si sarebbe sviluppato per 50 anni, da: Il territorio dell’abitare (con R. Paloscia) nel 1990, fino a Il progetto locale (Bollati Boringhieri, 2000), Verso la coscienza di luogo del 2014 e poi con Beccattini di nuovo: la Coscienza dei luoghi, il territorio come soggetto corale del 2015.

Questi ultimi libri pubblicati in diverse lingue. In Francia godeva della stima e dell’ammirazione di personaggi come Francois Choay, autorevole storica dell’architettura e dell’urbanistica francese.
Le facoltà di Architettura di tutta Italia ci tenevano ad averlo presso di loro per sentire i suoi seminari, la sua concezione di territorio che tanto si discostava dalla retorica accademica. Era circondato da tanti amici, compagni, allievi affascinati dalle sue teorie, che lo hanno seguito fino agli ultimi momenti della sua vita.

Difficile riassumere il suo lungo percorso di ricerca e di impegno civile, considerata la sua vastissima produzione tutta volta al rapporto territorio-comunità.
In tal senso si era anche occupato delle vicende di Adriano Olivetti, pubblicando: Il vento di Adriano. La comunità concreta di Olivetti tra non più e non ancora , insieme a Marco Revelli e Aldo Bonomi (Dervive approdi, 2015).

Sapevamo da tempo che era malato, ma non per questo ci eravamo abituati a perderlo, prima o poi. Ci rimane di lui l’immagine sorridente e luminosa capace di trascinare alle sue idee anche coloro che la pensavano diversamente. Una mente originale e un grande amico. Riposa in pace, Alberto: hai lasciato un segno indelebile in tutti noi, ti ricorderemo sempre.

da “il Manifesto” del 22 settembre 2023

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