“Mezzogiorno amnesia pericolosa” di Gianfranco Viesti

“Mezzogiorno amnesia pericolosa” di Gianfranco Viesti

Parlando ieri in provincia di Treviso, Luigi di Maio ha affermato che “l’autonomia del Veneto si deve dare il prima possibile”, “non ci sono dubbi da nessuna delle due forze politiche che sostengono questo governo”. “Nei vari Consigli dei Ministri di dicembre occorre affrontare questi temi”.

Il Vicepresidente del Consiglio sa certamente di cosa parla. Che non si tratta di una piccola questione amministrativa che riguarda i Veneti, ma di una grandissima questione politica che riguarda tutti gli italiani; della regionalizzazione e differenziazione di molti grandi servizi pubblici nazionali, a cominciare dalla scuola; dell’introduzione di un principio per il quale i cittadini delle regioni più ricche avranno più diritti di cittadinanza di quelli delle regioni più povere; di una redistribuzione di risorse assai più ampia di qualsiasi reddito di cittadinanza. Il Vicepresidente del Consiglio sa che sta dando il suo pieno sostegno ad un progetto politico che porterà, presto, gli studenti della Campania ad avere meno diritti degli studenti del Veneto.

Ricordiamo di che cosa si tratta. La Regione Veneto chiede di avere maggiori competenze su tutte le 23 materie su cui è teoricamente possibile in base alla Costituzione. Una lunga serie di temi: dal diritto allo studio universitario all’organizzazione della previdenza complementare; dai beni culturali a tutte le politiche di sostegno alle imprese (punto che giustamente ha destato forte preoccupazione all’Unione Industriali di Napoli). Dalle competenze sulle grandi reti energetiche e infrastrutturali, all’organizzazione dei vigili del fuoco e della protezione civile; dalla regionalizzazione dell’ISTAT (nascerà la statistica veneta!) fino all’istituzione di una zona franca. Eliminando del tutto il Sistema Sanitario Nazionale. Regionalizzando la scuola: gli insegnanti diventeranno dipendenti della Regione Veneto, avranno un contratto e retribuzioni diverse da quelle degli altri insegnanti italiani. Tutti questi servizi pubblici saranno quindi frammentati su base regionale.

Perché la Regione Veneto vuole tutte queste, grandi e disparate, competenze? Perché al passaggio di competenze lega la richiesta di risorse finanziarie molto maggiori di quelle che oggi sono spese, in Veneto, dallo Stato. Come il Vicepresidente del Consiglio sa perfettamente, la richiesta di autonomia nasce dalla volontà di trattenere una quota molto maggiore del gettito fiscale regionale, sottraendolo allo Stato nazionale e quindi alla redistribuzione in favore di tutti gli altri cittadini italiani. Si chiede che dopo un anno transitorio, l’ammontare delle risorse necessarie per svolgere tutti questi compiti sia ricalcolato, tenendo conto anche del gettito fiscale. Introducendo dunque il principio che i cittadini veneti, dato che pagano più tasse degli altri italiani (cosa del tutto ovvia e scolpita nella nostra Costituzione, dato che hanno redditi maggiori) hanno diritto a più servizi. Questo, senza definire regole che consentano di avere criteri uguali di calcolo, e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per tutti: definizione prevista dalla Costituzione ma opportunamente accantonata. Facendo sì che, appunto, gli studenti veneti avranno per principio diritto ad un maggiore spesa pubblica per le loro scuole rispetto agli studenti campani. Date le risorse pubbliche complessive disponibili, più ai primi significherà automaticamente, meno ai secondi.

Il testo che arriverà in Consiglio dei Ministri è stato predisposto dal Presidente leghista del Veneto Zaia, e dalla sua “controparte nazionale”, cioè la ministra leghista veneta Stefani. Che si è sempre fatta pubblicamente vanto di sostenere in toto le richieste regionali. L’approvazione in Consiglio dei Ministri porterebbe la questione in Parlamento, chiamato ad esprimersi però solo con un “sì” o con un “no”. Se il Parlamento approva, il processo non si ferma più, dato che tutti i suoi importantissimi aspetti applicativi e di dettaglio finiscono nelle mani di una Commissione Veneto-Italia, cioè composta di leghisti e di leghisti. Ma non finisce qui: perché, aperta la strada dal Veneto c’è già la Lombardia con le stesse richieste. E poi l’Emilia-Romagna.

Il quadro politico-culturale nel quale tutto ciò sta maturando è davvero sconfortante. I cittadini italiani non ne sanno niente. Nessuna autorevole voce si leva per discuterne; anzi la grande stampa fa pressione per una maggiore attenzione “al Nord”. Questo fa magnificamente il gioco della Lega, impegnata nella conquista del consenso nel Centro-Sud; che sarebbe disturbata se si cominciasse ad informare i cittadini, specie del Centro-Sud, che quel partito (come sempre ha fatto e farà) continua a sostenere prioritariamente le ragioni del Nord, ed in particolare del Lombardo-Veneto, a danno di quelle degli altri italiani. Altro che prima gli italiani: prima i Veneti! E a danno degli altri italiani. La posizione del Movimento 5 Stelle appare, come sovente accade, poco comprensibile: se il ministro Lezzi in Parlamento solo venerdì scorso ha dichiarato che “il completamento dell’iter non comporterà un surplus fiscale trattenuto al Nord”, ieri Di Maio dà il via libera alle richiesta venete. Il Partito Democratico, forse troppo impegnato nella fondamentale scelta del suo leader, non sembra occuparsi di questioni politiche come questa; neanche il candidato Zingaretti, che da Presidente della Regione Lazio dovrebbe saperne qualcosa. Ma in Veneto, Lombardia, Emilia, la gran parte dei Democratici sostiene pienamente la secessione dei ricchi, arrivando ad accusare il Governo di andare troppo piano. Da Forza Italia e Fratelli d’Italia (che pure, non fosse per il nome che portano, dovrebbero avere un qualche interesse), nulla. Qualche protesta solo all’estrema sinistra e a titolo individuale di alcuni politici. Gravissime, infine, le responsabilità dei Presidenti di Campania e Puglia, le due maggiori regioni a statuto ordinario del Sud che più pagheranno le conseguenze di questo processo: invece di porre le grandi questioni dell’equità, dell’uguaglianza, dello sviluppo, nell’interesse dei loro cittadini e dei principi fondanti della nostra Repubblica, si sono accodati anch’essi alle richiesta di maggiori poteri per le loro Amministrazioni, ignorando le conseguenze sul finanziamento.

Quella che viene chiamata “autonomia regionale”, dunque, è una vera e propria secessione dei ricchi. Dopo la lunga grande crisi le regioni più ricche del paese non vogliono più investire nel futuro del paese, della sua scuola, dei suoi grandi servizi; preferiscono organizzarsi per conto proprio tenendosi i propri soldi. Così, i principi costituzionali di uguaglianza possono essere, a breve, stravolti. E i cittadini del Sud ancora una volta nella loro storia restare senza la minima rappresentanza politica che difenda i loro diritti in quanto italiani.

Gianfranco Viesti

2 dicembre “Il Mattino”

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