“Questo regionalismo rischia di smontare la Costituzione” Intervista a Enzo Paolini

“Questo regionalismo rischia di smontare la Costituzione” Intervista a Enzo Paolini

Il regionalismo differenziato sarà una riforma che coinvolgerà diversi settori della via pubblica, fra cui la sanità. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Enzo Paolini.  

Lei è intervenuto – anche in virtù della sua lunga esperienza al vertice nazionale del comparto ospedaliero privato – sul dibattito in corso sulla autonomia differenziata, sul disegno di legge del governo dicendo che in realtà è una riforma costituzionale mascherata. Parole forti, una provocazione?

  “Mica tanto. A me sembra un dato di fatto. Uno dei principi fondamentali sui quali poggia la nostra legge suprema, cioè la Costituzione è l’unità nazionale. Che non è solo un fatto territoriale o amministrativo, non può esaurirsi nella assenza di barriere fisiche tra regioni o nel cantare insieme l’inno quando gioca la nazionale. Unità nazionale vuol dire soprattutto identità di diritti tra cittadini indipendentemente dalle loro origini, dalla residenza o dal censo”.

  E ciò viene messo a rischio dalla richiesta di alcune ragioni di gestire in proprio determinati settori?

“Sì, perché gestire autonomamente comporterebbe – secondo il disegno di legge all’esame del Parlamento – disporre senza condizioni del gettito fiscale alimentato dai propri cittadini. Principio giusto e logico in superficie ma iniquo se si ha ben presente il principio, appunto costituzionale dell’unità nazionale che, sul tema fiscale è declinato mediante tassazione proporzionale. Chi è più ricco paga di più e contribuisce ad assicurare assistenza sanitaria, istruzione, sicurezza, servizi a chi ha di meno”.

  E cosa succederebbe – secondo lei – nel campo del servizio sanitario?

“Sempre secondo il disegno di legge della maggioranza di governo, le Regioni ad autonomia differenziata avrebbero la possibilità di stabilire in proprio i LEA (livelli essenziali di assistenza) di fissare proprie tariffe, di pagare e assumere i medici come vogliono, di gestire e organizzare la rete ospedaliera con le propri risorse ed anche in difformità dai vincoli di bilancio che devono osservare le altre regioni. E tutto ciò per assicurare assistenza solo ai propri residenti.

Ciò vuol dire che un calabrese potrà contare su una assistenza sanitaria sostenuta solo dalle risorse fiscali prodotte dai calabresi, così che la forbice della diseguaglianza, già ampia nei fatti, si allargherà ancora di più per legge.

E se un calabrese vorrà curarsi a Milano dovrà pagare.

Verrà, così, cancellata una delle grandi conquiste di civiltà del nostro paese e cioè il Servizio sanitario nazionale basato su principi solidaristici e universali, cioè cure uguali per tutti, e con oneri a carico dello Stato.

Se passa l’altra concezione – quella contenuta nel disegno di legge – non ci sarà più alcuna unità nazionale sul piano del diritto all’assistenza sanitaria uguale per tutti.

E sarà disarticolata la Costituzione in un modo obliquo e subdolo”.

Però c’è di dice che alimentare la sanità nel sud, con i suoi disservizi e le sue ruberie è come gettare soldi in un buco nero.

“Ma è proprio questo il punto. Un governo molto superficiale privo del senso profondo della comunità agisce sull’effetto e non sulla causa. Invece di impiegare tutte le risorse per contrastare il malaffare, ad esempio la grande evasione fiscale, alza uno steccato senza considerare che le ruberie – e tante – ci sono anche a Torino o a Modena e che la nostra classe medica è eccellente.

La verità è che governare è un’arte affascinante e difficile e non si può fare se non si hanno competenze, se non si studia. Il resto sono slogan malamente applicati, garganismi demagogici ed autoreferenziali da una parte e dall’altra”.

Come se ne esce?

“Con la buona politica. Ma il silenzio della sinistra, l’indifferenza di una classe dirigente intenta solo a regolamenti di conti interni è imbarazzante ed allontana le giovani generazioni.

I partiti e le istituzioni – senza più il fascino delle idee, se non delle ideologie – attrarranno solo coloro che vedono nella politica una fonte di guadagno. Ed in questo modo si imbarbarisce la società civile”.

Allora il problema – nel Paese ed in Calabria – è tutto a sinistra?

“No, ho fatto l’esempio perché mi piacerebbe una rinascita degli ideali in cui ho creduto e credo e per i quali continuo a battermi. D’altra parte non penso che sia un segreto che non sia entusiasta di una città perennemente appaltata per opere in parte inutili e distratta, ubriacata, da un perenne movida e dalla costruzione artificiale di brand poco credibili.

Ieri sono passato su Viale Mancini, l’opera simbolo di una stagione di vero e proprio rinascimento della nostra città, e l’ho visto divelto, letteralmente stuprato e con amarezza ho riflettuto sul fatto che l’idea di chi aveva realizzato, per via urbanistica, una grande opera pubblica sul piano sociale, è stata soppiantata dalla violenza di un braccio meccanico che dice, con prepotenza, che li si fa un’altra cosa e non ha importanza se è inutile, costosissima e non piace a tanti cittadini. Un po’ come il TAV. Un’idea verticistica di quello che si autodefinisce, a Roma come a Cosenza, il governo del fare.

Ma la storia insegna che, in questo modo, prima si ha un consenso acritico e poi si asfaltano anche i diritti. E mi lasci dire, anche così un po’ muore la Costituzione”.

Quotidiano del Sud

12.2.2019

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