La battaglia più nobile: non toccate l’unità del Paese di Agazio Loiero

La battaglia più nobile: non toccate l’unità del Paese di Agazio Loiero

La politica possiede talvolta un tipo di fascino di cui in genere non si tiene conto se non a posteriori: l’imprevedibilità. Chi, solo qualche giorno fa, avrebbe potuto immaginare che di qui a poco si scatenerà un’ultima battaglia fra Salvini e Di Maio. Non tra chi dei due riuscirà a tenere in vita il governo, ma tra chi dei due lo farà cadere. Altro che cerino da lasciare in mano all’avversario, di cui si scrive da un anno. Salvini, non può più rinviare il tema dell’Autonomia differenziata, che Zaia gli pone con forza. In una recente intervista ad “affariItaliani.it” ha infatti affermato che “massimo il 21 giugno tale tema dovrà essere affrontato e approvato dal Consiglio dei ministri”. La data non è scelta caso. Ha una sua simbologia non banale. E’ quella in cui il Sole si trova alla massima altezza nell’emisfero nord e alla minima nell’emisfero sud. Il capo della Lega nelle manifestazioni pubbliche esibisce spesso il rosario, mandando su tutte le furie coloro che credono per davvero, ma, all’occorrenza in privato, non disdegna alternative astrali, paganeggianti. Negli ultimi mesi ha evitato di affrontare questo complesso nodo politico, un po’ per non confliggere con il M5S, un po’ perché consapevole che il successo di questa battaglia politica dovrebbe dividerlo con il presidente del Veneto, Zaia appunto, e con il poco amato ex presidente della Lombardia, Maroni, che hanno avuto l’idea di indire sul tema un costoso referendum consultivo. E lui, con il Sole in testa e il vento in poppa, il successo, non intende dividerlo ormai con nessuno. Il tema in questione rappresenta un problema enorme per il Paese, su cui il capitano svolazza senza posa, senza fermarsi mai. Il capo della Lega è l’uomo di governo che in quest’anno ha lambito il maggior numero di temi, non offrendo soluzioni, ma accendendo solo speranze, utili, come si è visto, al momento del voto. Tornando al filo conduttore, se le regioni ricche mettono le mani sul proprio gettito fiscale in una misura così ampia – si parla di una percentuale altissima – resterà poco o niente per i territori a minore capacità fiscale. Salterà quel fondo perequativo su cui a stento sopravvive oggi il Mezzogiorno. Come è noto, quella che pretende il Veneto è un’autonomia su 23 materie. Essa prelude di per sé al distacco della regione dalla madrepatria, come definivano l’Italia i nostri emigranti di un secolo fa. Ed è paradossale che a certificare l’addio dovrebbe essere una regione di indubitabili meriti imprenditoriali, ma che gode di un’occupazione di 7 punti superiore alla media italiana, di un tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Italia, di una straordinaria vocazione all’export (460 mila imprese) e di un reddito medio annuo per famiglia di 39.000 euro. So bene che “la Repubblica una e indivisibile” dell’articolo 5 della nostra Costituzione – il lascito più alto del Risorgimento, più alto, per i patrioti dell’Ottocento, della stessa libertà – non interessa quasi più a nessuno nel nostro Paese. Neanche ai meridionali, che all’unità dovrebbero restare abbarbicati, come il naufrago alla zattera. Complici i social e il drammatico abbassamento del livello culturale del nostro Paese, anche loro hanno votato con generosità il capitano senza chiedere alcuna contropartita. Siamo certi però che su un tema tanto divisivo per gli italiani vigila il Presidente della Repubblica. E’ questa l’impressione diffusa tra molti nostri connazionali.

Veniamo adesso a Di Maio. Come si sa, il vicepremier del M5S è il vero perdente di queste elezioni. Se uno è capo del maggiore raggruppamento parlamentare e perde metà dei voti a favore dell’unico alleato di governo, la sua sconfitta è bruciante. Ma qui ritorna ad affacciarsi il fascino dell’imprevedibilità della politica. Di Maio ha arginato i sei milioni di voti persi nelle urne con i 44.849 voti ottenuti on line dalla macchina infernale di Davide Casaleggio. La sproporzione tra le due cifre dà la vertigine. Intanto però la magica piattaforma ha restituito a Di Maio, per via interna, il ruolo di capo. Da capo un po’ pesto il vicepremier del Movimento deve trovare un’impennata per conservare sul campo quello che purtroppo il campo in queste ultime elezioni gli ha impietosamente sottratto. Con il Salvini di questi giorni che comincia a dare ordini con piglio padronale all’intero governo, comportandosi non come uno che, avendo vinto e intendendo governare, attenua le asprezze del linguaggio, ma come uno che provocatoriamente le accentua, presto la tela di governo potrebbe lacerarsi. Per Di Maio sarebbe un disastro. Deve dunque trovare una causa nobile per giustificare uno strappo, prima che lo faccia lo stesso Salvini, evidentemente atterrito dalla manovra economica autunnale e da un’Europa giocoforza ostile. Il tempo è poco. Il solstizio d’estate è vicino. L’Autonomia, come ci siamo permessi di segnalare tempo fa su questo stesso giornale, è la più nobile della cause politiche su cui battersi fino a strappare il contratto. Si salverebbe l’unità del Paese e si costringerebbe il capitano a condurre su tale tema una battaglia aperta contro il Sud. Un atto di coraggio dunque di cui nei passaggi cruciali si avvalgono i leader, ma certe volte anche i capi, destinato a restaurare la biografia politica del vicepremier del M5S, oggi un po’ malconcia e a salvare l’Italia unita.

Il Quotidiano del Sud

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