Stile di vita e industria bellica Usa nello scenario ambientale post-Covid.- di Piero Bevilacqua
La dimensione mondiale della pandemia prefigura oggi uno scenario ingannevole rispetto ai problemi che gli Stati dovranno affrontare allorché si presenteranno, con la loro drammatica urgenza, i nodi inaggirabili del collasso ambientale. Oggi abbiamo di fronte un nemico comune e questo rende più facile l’unità di intenti – in questo caso la ricerca di un vaccino – ma in futuro non sarà così.
La catastrofe ambientale cui andiamo incontro per effetto del caos climatico non avrà le fattezze di un nemico invisibile che ci accomunerà nella lotta per fronteggiarlo. Ma avrà forme ben più complesse e soprattutto dinamiche tendenti a dividere e perfino a contrapporre i comportamenti dei vari governi nazionali.
La catastrofe ambientale verosimilmente si presenterà come sommersione di vaste zone terrestri, desertificazione, riduzione dei corsi fluviali e degli specchi lacustri, diminuzione delle terre fertili, di estati roventi, perdita di raccolti, alluvioni, scarsità di materie prime. Quando questo scenario ambientale apparirà in tutta la sua cogenza sarà difficile, stante l’attuale ordine mondiale, immaginare una risposta concorde e unitaria da parte dei singoli Stati.
L’equilibrio, fondato sulla competizione più sfrenata, che ha disseminato la Terra di focolai di guerra, non può affrontare le emergenze ambientali con spirito cooperativo e solidale come si può affrontare una pandemia. E’ drammaticamente realistico immaginare che il venir meno di risorse fondamentali per mantenere gli standard economici dei vari paesi, acuirà i termini della competizione, con possibilità di conflitti armati dagli esiti imprevedibili.
Dobbiamo rammentare quanto è già avvenuto, prova sperimentale di quel che potrà succedere con ben altri esiti. Vale ricordare con quale espressione George W.Bush si smarcò dagli obblighi del Protocollo di Kyoto: ”Lo stile di vita americano non è negoziabile”. Ebbene, questo voleva significare che un paese con il 4% della popolazione mondiale, ma che consuma il 30% delle risorse del pianeta, si rifiutava di condividere le responsabilità collettive delle scelte che il riscaldamento climatico imponeva a tutti. Ma tale posizione di Bush, reiterata di recente in forme più aggressive e grottesche da Donald Trump, deve indurre a una riflessione sul ruolo degli Stati Uniti nello scenario mondiale.
Gli Usa sono un Paese che ha subìto negli ultimi 30 anni una rottura dei suoi equilibri interni e internazionali. Con il crollo dell’Urss, i suoi gruppi dirigenti hanno perso il nemico storico, un pilastro fondamentale per il loro dominio sull’Occidente. Il ruolo di contenitore del comunismo aveva fornito uno strumento egemonico impareggiabile sia per il consenso interno, che per imporre modelli culturali nel resto del mondo e possibilità di ingerenza in territori lontani come il Mediterraneo e il Medio Oriente.
Ora, è esattamente questo squilibrio destabilizzante, che mostra quanto profondamente sia diviso al suo interno il paese America, e la spasmodica ricerca dei suoi gruppi dirigenti di un nuovo nemico che autorizzi la continuità della sua politica imperiale e recuperi il consenso sul fronte interno. Non è tutto. Nella politica internazionale degli Usa un ruolo rilevante lo svolge il Pentagono ovvero la più grande fabbrica d’armi del pianeta. Un’industria che rappresenta una delle componenti del suo sviluppo economico: indirettamente per la supremazia militare che assicura e per gli incrementi del Pil. E questo non da oggi appartiene alla consapevolezza strategica dei gruppi dirigenti.
Già nel 1950, nell’amministrazione Truman « si teorizzava non solo la piena compatibilità tra burro e cannoni, welfare state e warfare state, ma la loro stretta interdipendenza: la crescita dei secondi avrebbe alimentato quella del primo, in una spirale virtuosa potenzialmene illimitata».(M.Del Pero, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il mondo, Laterza). Dunque lo “stile di vita americano” è sostenuto anche dal successo dell’industria militare, grazie a un numero crescente di conflitti armati per il mondo.
È la continuità sostanziale della politica militare Usa, resa possibile dalla Nato, sopravvivenza della guerra fredda, a cui l’Europa continua a restare asservita. I 70 milioni di cittadini che hanno eletto Trump saranno disposti a rinunciare all”America first”? Che cosa aspetta l’Ue a staccarsi dalla Nato e favorire un assetto più equilibrato dei poteri mondiali, unica condizione per evitare che la lotta per accaparrarsi i beni scarsi della Terra si trasformi nell’ultima delle guerre?
da “il Manifesto” del 16 novembre 2020
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