Ecco cosa succede con il governo “giallo-verde” di Gianfranco Viesti

Ecco cosa succede con il governo “giallo-verde” di Gianfranco Viesti

Letta da Sud, desta enormi preoccupazioni la bozza del “Contratto per il governo del cambiamento” predisposta da Lega e 5 Stelle. Esse nascono dall’assenza, nelle 39 pagine del testo, di qualsiasi riferimento ai problemi delle disparità territoriali italiane; dall’assenza di qualsiasi indicazione di politiche per lo sviluppo delle imprese private e la ripresa degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno; dalla pericolosissima combinazione fra la flat tax – che determinerà un calo del gettito fiscale nazionale che viene stimato in circa 50 miliardi – e la forte spinta verso l’autonomia delle regioni più forti.

Si dice: ma per il Sud c’è il reddito di cittadinanza. Si tratta di uno strumento, se ben disegnato, che favorisce l’inclusione sociale e può aiutare le famiglie più deboli in tutto il paese e, molto, nel Mezzogiorno. Ma se non ci si pone nemmeno il tema dello sviluppo, il reddito di cittadinanza diviene una misura meramente compensativa. Una preoccupazione caritatevole, assistenziale, per chi non ce la fa e non ce la farà. Un strumento di acquisizione e mantenimento del consenso.

Vediamo più dettagliatamente. Come già detto il problema Sud, per Lega e 5 Stelle, non esiste. Non solo nessuno dei 29 capitoli è dedicato agli squilibri regionali, ma, cosa ancora più importante, in nessuno di essi si fa riferimento alle complesse questioni di indirizzo territoriale delle politiche settoriali. Per quanto riguarda le imprese, il punto 4 tocca l’ILVA. E’ stato letto da tutti come un preannuncio di chiusura: anche se non dice questo esplicitamente, lo fa temere. Al punto 23 si parla della Banca per gli Investimenti: una proposta interessante, di cui discutere: ad essa sono attribuiti una miriade di obiettivi, ma non quello del riequilibrio territoriale. Nulla sullo sviluppo di imprese e distretti, sull’attrazione di investimenti, sulla diffusione dell’innovazione, sulla capitalizzazione delle imprese al Sud: misure indispensabili in un quadro in cui le rilevanti risorse del programma Impresa 4.0 del governo uscente sono state intercettate quasi esclusivamente dal più forte tessuto imprenditoriale del Nord.

Nulla su dimensione e allocazione degli investimenti pubblici. Nessun riferimento alla clausola che garantisce al Mezzogiorno il 34% del totale degli investimenti delle amministrazioni pubbliche, appena reintrodotta dal governo uscente (e tutta da concretizzare); pur evocata con forza nelle scorse settimane dal Ministro del Lavoro “in pectore” dei 5 Stelle. Nulla su come impostare le prossime politiche regionali con i fondi strutturali e il Fondo Sviluppo e Coesione. Si cita il bilancio UE (punto 28) ma solo perchè “occorre ridiscutere il contributo italiano” e non perché sia necessario difendere le politiche di coesione nella fondamentale trattativa delle prossime settimane. Al punto 25 si parla di infrastrutture: si vuole che i “principali porti italiani” siano “gateway” e non “transhipment” (di arrivo a terra e non re-imbarco), ma non si dice quali; né si accenna al fatto che servono indispensabili investimenti sulla rete ferroviaria perché possano esserlo quelli del Sud. Si cita – fra i punti in rosso, ancora da definire – il “terzo valico” (alta velocità ferroviaria Genova-Milano). Ma non una parola sulla Napoli-Bari.

Ma le principali preoccupazione vengono dai punti sui servizi pubblici. Mai è nemmeno accennata la questione della enorme disparità territoriale nella loro quantità e quantità. Mai è sottolineata l’esigenza di stabilire i LEP (livelli essenziali delle prestazioni) per tutti i cittadini italiani; né tantomeno nel lungo punto 20 sulla sanità è posto il problema di rendere meno diseguali i LEA (livelli essenziali di assistenza). Sull’università (punto 29) c’è qualche indicazione interessante, ad esempio sull’Agenzia di Valutazione: ma nulla sui criteri di riparto dei fondi, sul sottofinanziamento degli atenei meridionali, sulle disparità di accesso al diritto allo studio. Non si dica che sono linee generali: al punto 6 si precisa che vanno rivisti i criteri di allocazione del piccolo FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo).

Il capitolo chiave è il 19, “Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta”. E’ “prioritaria” per l’azione di governo l’attribuzione della maggiore autonomia alle regioni che la richiedono, con una rapida conclusione delle trattive aperte con Lombardia, Veneto ed Emilia. Si dice che essa deve essere accompagnata “dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle competenze”. Come non essere preoccupati di tale formulazione – data anche la ricordata assenza di ogni riferimento ai LEP – visto che essa proviene da due forze politiche che hanno promosso il referendum in Lombardia con l’esplicito obiettivo (chiaramente formulato nelle mozioni approvate dal Consiglio Regionale) di trattenere la maggior parte possibile del gettito fiscale? Come non essere preoccupati dalla tendenza alla regionalizzazione dei grandi servizi pubblici, leggendo al punto 29, sulla scuola, che servono “nuovi strumenti che tengono conto del legame dei docenti con il loro territorio”?

Tutto questo, soprattutto alla luce del possibile crollo del gettito fiscale nazionale con l’applicazione della flat tax. Si potrebbe avverare il disegno promosso coerentemente da 30 anni dalla Lega: con minor gettito fiscale nazionale (e quindi meno redistribuzione fra cittadini), le regioni più ricche potranno trattenere molto più reddito e finanziare i propri servizi con il maggior gettito locale; organizzarli come meglio ritengono. I loro abitanti godranno di pieni diritti di cittadinanza. E quelle più povere? Con amarezza, si potrebbe pensare: “Si daranno finalmente da fare; ma dato che siamo generosi, ci sarà po’ di reddito di cittadinanza per i loro poveri”.

 

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