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I gargarismi sulla sanità.-di Enzo Paolini

I gargarismi sulla sanità.-di Enzo Paolini

Occorrerebbe parlare con cognizione di causa e conoscenza dei problemi. Soprattutto in materie delicate che riguardano ogni giorno la vita dei cittadini. Come la Sanità.- Non è per fare polemica pregiudiziale e “ideologica” ma davvero c’è da chiedersi perché da più parti viene detto che le prestazioni offerte dal settore privato accreditato (cioè senza oneri per il cittadino) o non accreditato (cioè a pagamento) sarebbero, così, tout court, viziate, inaccettabili, sporche, perché inquinate dal fatto che il proprietario/gestore della struttura privata ne trae un guadagno.-

Si badi, non si dice che la prestazione resa dal privato non risponde agli standard di qualità o che è il frutto di una truffa o di un accordo fraudolento. No. E’ solo che “se l’obiettivo è il rispetto del diritto le prestazioni saranno di un tipo, se invece lo scopo è il profitto, le stesse prestazioni saranno di altra specie” (Ivan Cavicchi Il Manifesto 2 febbraio 2023).-

Traduzione: se si vuol fare profitto non si può rispettare il diritto. Il che la dice lunga sul rispetto del lavoro e sul pregiudizio ottuso che semina una affermazione del genere.-

E ancora: “sulle strutture private accreditate: a loro più che offrire prestazioni con il servizio sanitario nazionale conviene offrire prestazioni a pagamento” (Milena Gabanelli, Corsera 6 febbraio 2023). Qui è chiaro che si ignora come e perché sono le Regioni che impongono tetti insuperabili (peraltro in violazione delle Leggi dello Stato) che inibiscono alle strutture private accreditate di rendere “prestazioni con il servizio sanitario nazionale”.-

Questa ostilità inspiegabile verso chi – lavorando onestamente – rende un servizio pubblico traendone un giusto e lecito profitto, non agevola affatto la discussione che dovrebbe – deve – agitarsi lucidamente intorno al tema della cosiddetta “autonomia differenziata”. Questione che in realtà ne nasconde una enormemente più importante e delicata, cioè la tutela della Costituzione e dei diritti basilari di ogni cittadino di questo Paese.-
I primi guasti enormi sono stati provocati dalla sgangherata riforma del titolo V della costituzione con la regionalizzazione – tra l’altro – del servizio sanitario.

L’esigenza, sbandierata come “politica” ,di avvicinare il modo di prestare cure ed assistenze alle concrete e peculiari necessità dei territori e dei cittadini che li abitano era uno sbaglio prima che una bugia che oggi però presenta il suo conto in termini di inadeguatezza ed insufficienza.

In realtà rispondeva alla volontà predatoria di creare nuovi e più penetranti centri di potere e di formazione/ imposizione di consenso elettorale e di formazione di enormi ed incontrollati flussi finanziari senza alcun riguardo agli interessi dei cittadini che avrebbero meritato (avendolo pagato con le tasse) un sistema sanitario – e connessi circuiti di ricerca e produzione- in grado di fronteggiare qualsiasi emergenza. Ma la politica era più attenta alla nomina di direttori generali ed agli appalti truffa più che alla implementazione di un vero servizio universale e solidaristico per tutto il paese e per cittadini uguali indipendentemente dalla regione in cui si trovano.

La riflessione ci porta ancora più indietro a considerare che la tragica inadeguatezza strutturale che oggi constatiamo è figlia della subcultura politica della classe dirigente degli ultimi venti anni . Quella dei “ nominati” ,non più legati alla selezione dei partiti ed ai cittadini elettori ma alle agenzie di rating ed alla globalizzazione . E siccome tutte le matasse hanno un bandolo è quello che occorre cercare per poter capire. Il bandolo è la sciagurata revisione dell’art 81 della costituzione che nella nuova stesura impone il pareggio di bilancio .

Spacciata nel 2012 per una norma virtuosa era, in realtà, il mezzo per dichiarare recessivi rispetto ai mercati, alla logica iperliberista e “aziendalista”, i diritti fondamentali , quelli che i costituenti avevano previsti in Costituzione e dichiarati dovuti e pretendibili dai cittadini senza “ corrispettivo” – scuola ,ambiente e sanità per intenderci – perché assicurati a tutti ,indistintamente , mediante il prelievo fiscale proporzionale e progressivo (chi ha di più paga questi servizi anche per chi ha di meno).

Diritti “costosi”, ed infatti previsti a carico dello Stato, perché i “ricavi” da essi prodotti non sono iscrivibili in un bilancio aziendale quanto piuttosto, essendo fatti di cultura, senso della comunità, conoscenze, benessere, in un ideale ma ben percepibile, bilancio istituzionale e politico.

Ma la storia e’ che il parlamento totalmente impregnato degli interessi della grande finanza mondiale ed incapace di opporre ad essa la visione di un equo stato sociale, voto’ la modifica con una maggioranza tale da rendere impraticabile anche l’eventuale referendum confermativo.

Da quella revisione costituzionale discendono i tagli al fondo sanitario, i blocchi delle assunzioni , la politica dei budget e degli “ acquisti “ di prestazioni (terminologia orrenda che sta a significare che un burocrate nominato dal sottobosco politico stabilisce cosa serve ad una popolazione e cosa no e di cosa possono ammalarsi i cittadini per poter usufruire della assistenza dello stato, cioè di un loro diritto. La salute come azienda,appunto).

Da qui vengono i commissariamenti delle regioni in particolare al sud , oberate da debiti derivanti in parte dal fisiologico costo del servizio sanitario (ovvio, crescono le conoscenze e la tecnologia, aumenta la vita media, si scoprono e si praticano nuove cure, e dunque si incrementano i costi) ed in altra parte, la maggiore, dagli sprechi.
Ma i commissari non hanno fatto la lotta agli sprechi, neanche un centesimo è stato risparmiato in questo campo, sono stati invece imposti nuovi tagli ,nuove riduzioni di servizi e di diritti, è stata indotta l’emigrazione sanitaria a tutto beneficio delle Regioni del nord così da presentare (senza neanche riuscirci), bilanci migliori e indirizzati verso il pareggio.

Nessuno, a meno di voler essere smentito dalla esperienza diretta di ciascuno di noi ,può dire che si sia pensato ad un progetto di sistema sanitario complessivo. Si sono chiusi ospedali a casaccio ,si sono bloccate le assunzioni , non un centesimo per la prevenzione, per la medicina del territorio, per la rete emergenza/urgenza. Non ne parliamo della ricerca rimasta affidata a nicchie di volenterosi .

Noi lo scriviamo, lo diciamo, lo urliamo da anni, inascoltati, ma ora il re è nudo: il servizio sanitario non può essere regionalizzato perché la tutela della salute e’ un diritto fondamentale cui ha diritto ogni cittadino in maniera uguale a tutti gli altri. Neppur può soggiacere ai vincoli di spesa, quella giusta, necessaria, e per fortuna, sempre maggiore se si vuole, come si deve, assicurare sempre maggiore benessere e dunque efficienza, efficacia ai cittadini che così possono produrre merci, cultura, idee formazione e quindi,in ultima analisi sostenere la crescita, giusta ed equilibrata, del sistema paese.

La vera grande opera pubblica che ci serve è questa: sostenere la scuola, tutelare l’ambiente ed il patrimonio culturale, assicurare un servizio sanitario efficace e moderno a tutti e nello stesso modo.

Gli sprechi, le truffe devono essere perseguiti con i dovuti mezzi specifici e non con i tagli lineari che falcidiano nella stessa misura spese improprie ( che vanno cancellate del tutto) ed eccellenze (che invece vanno sostenute con maggiori risorse). E men che meno con la spesa storica o con la storia dei Lep fissati dal Governo e non dal Parlamento e poi declinati in “intese” tra Regioni e Ministro. Non è così che si attua il ragionalismo costituzionale. Così si tradisce lo spirito e la lettera della Costituzione. Ripristinare semplicemente la Costituzione italiana garantendo i diritti fondamentali a tutti ed in maniera piena, è questo ciò di cui gli italiani hanno bisogno.

Roba per la Politica con la P maiuscola.

P.S.: Per fare in maniera seria questo tipo di riforme occorre una nuova assemblea costituente eletta con metodo proporzionale puro.

da “il Quotidiano del Sus” del 17 febbraio 2023

Il primo obiettivo è mettere in salvo la Costituzione.-di Felice Besostri e Enzo Paolini

Il primo obiettivo è mettere in salvo la Costituzione.-di Felice Besostri e Enzo Paolini

Ormai l’hanno capito tutti che il Rosatellum non è il nome di un buon vino giulian-friulano, ma di una pessima legge elettorale, che blocca non solo le liste elettorali ma anche la libertà e la personalità di voto nei collegi uninominali, con il voto congiunto obbligatorio a pena di nullità. Un obbrobrio non previsto dal Mattarellum, che alla Camera consegnava 2 schede e al Senato scorporava per la parte proporzionale i voti utilizzati per eleggere i candidati uninominali maggioritari.

Se non si aveva la forza numerica e la volontà politica di modificare la legge elettorale, come promesso in caso di taglio dei parlamentari, sarebbero bastate queste due piccole modifiche per rendere costituzionalmente potabile il Rosatellum: non ci hanno nemmeno provato.

La ragione è, come ha ben scritto Gian Giacomo Migone sul manifesto, nell’articolo “Quel Rosatellum che piace a tutti i partiti”, che fa comodo nominare i parlamentari, per aggirare di fatto l’art. 67 della Costituzione sul divieto di mandato imperativo, in attesa di introdurlo con modifiche dei Regolamenti parlamentari di Camera e Senato e pertanto sottratte al controllo della Corte Costituzionale.

Altro vantaggio del Rosatellum è che assegna, in caso di coalizione, al partito egemone della coalizione, il diritto di proporre, in caso di vittoria, al Presidente della Repubblica il nome del/della presidente del consiglio dei ministri, sempre che non scattino veti informali europei o atlantici.
Il Rosatellum va bene anche alla coalizione arrivata seconda, che avrebbe il monopolio dell’opposizione, perché decide chi ammettere come lista minore della coalizione.

Se lo scopo è quello di salvare la Costituzione, come ha suggerito Gaetano Azzariti, non si possono mettere paletti programmatici: la coalizione deve essere aperta a tutti, a cominciare dal M5S e dalle liste rosso-verdi di ogni ispirazione socialista, comunista e ambientalista. La nostra Costituzione prevede il voto, oltre che segreto, eguale, libero, personale e diretto: il voto utile non è una prescrizione costituzionale, ma una scelta politica, una coalizione larga con scopo limitato ad impedire che il centro-destra prenda il 70% dei seggi uninominali. Diventa un voto utile, ma se è una coalizione con un ruolo politico e programmatico privilegiato per Calenda, senza un’apertura a soggetti di sinistra, è inutile perché non competitiva per vincere i collegi uninominali maggioritari.

Alle votazioni partecipa appena il 28% delle classi popolari e più sfavorite, quel voto va recuperato altrimenti non c’è partita, come non è seria un’alleanza elettorale col solo scopo di far eleggere un paio di leader politici, garantiti dal Pd.
Infine per mettere in salvo la Costituzione basta chiedere fin da subito a tutti i partiti un impegno per un Ddl costituzionale, che ogni modifica della Parte Prima della Costituzione, della forma di governo e della elezione e composizione degli organi costituzionali debba essere approvata con referendum, anche se approvata con i 2/3 dei membri del Parlamento.

In questo scorcio di legislatura si è approvata con decreto-legge (art. 6 bis d.l. 41/2022 una norma in materia elettorale che esenta dalla raccolta firme liste coalizzate che avessero raccolto almeno l’1% alle elezioni del 2018: una norma che viola gli artt. 3, 48 e 51 della Costituzione, perché esclude liste non coalizzate che hanno raccolto la stessa percentuale di voto sia alla Camera, che al Senato. O si rimedia con urgenza ovvero si chieda l’assoluta neutralità del governo in caso di ricorso: è possibile e urgente prima della scadenza del termine per la presentazione delle liste.

da “il Manifesto” del 30 luglio 2022

Solidarietà a Tomaso Montanari

Solidarietà a Tomaso Montanari

Tomaso Montanari, eletto rettore all’Università per stranieri di Siena, è da tempo oggetto di una campagna denigratoria su cui, a questo punto, non possiamo tacere, come docenti, attivi o in pensione, e come comunità intellettuale. Montanari, ovviamente, sa difendersi da solo e da par suo, e ha la possibilità di farlo quale collaboratore del Fatto Quotidiano. Benché inquieti il silenzio, la mancata difesa da parte dei suoi colleghi, rettori e docenti. Ma il caso personale di questo rettore in pectore assume ormai una dimensione politica più generale su cui occorre far sentire una voce collettiva. Ricordiamo che ai primi di agosto, da poco eletto e ancora non in carica, Montanari ha subìto la richiesta di dimissioni da parte della viceministra alle infrastrutture e mobilità sostenibile, Teresa Bellanova, con la motivazione che “non sa tenere la lingua a freno”.

Una intimidazione davvero grave, da parte di un membro del governo, che attacca la libertà di parola e l’autonomia universitaria con una disinvoltura rivelatrice del torbido spirito pubblico dei nostri giorni. Clima culturale e politico in cui un altro vice ministro, Claudio Durigon, ha avuto l’ardire oltraggioso di proporre il nome di Arnaldo Mussolini per un parco che porta quello di Falcone e Borsellino: i due magistrati massacrati dalla mafia con le loro scorte, due figure che hanno riscattato con la loro vita l’onore della Sicilia e dell’Italia di fronte agli occhi del mondo.

Non a caso, in questi ultimi giorni si è scatenata la canea neofascista contro il neorettore, accusato di aver negato le foibe e altri sono intervenuti con posizioni pilatesche che testimoniano solo l’ ignoranza dei fatti. Ora a dare inopinatamente man forte a queste polemiche, che fanno male a uno spirito pubblico nazionale già gravemente inquinato, interviene Aldo Grasso, il quale, sul Corriere della Sera (29/8), definisce l’intervento di Montanari sulla questione foibe “una mascalzonata”.

Montanari, faziosamente equivocato dai commentatori, ha ulteriormente chiarito la sua posizione di studioso che certo non è quella di un negazionista (Il Fatto, 26/8). Ma se ora si aggiunge la voce del Corriere, la confusione diventa ancora più grave. Grasso, che non è uno storico, dovrebbe però sapere che da anni il tema doloroso delle foibe è usato dai fascisti in stolida funzione anticomunista e antisinistra quale controaltare nientemeno che alla Shoah.

Ed esiste una letteratura fantasiosa e biliosa in cui le cifre dei morti raggiungono numeri spaventosi, proprio per tale esplicito fine propagandistico. La “meschina contabilità” dei morti, che Grasso (ora si è aggiunto buon ultimo il solito Vittorio Sgarbi sulla stessa linea) rimprovera a Montanari, è da anni materia asprissima di controversia tra storici, e soprattutto inventori di leggende, e purtroppo – in un Paese nel quale il fascismo non muore mai – la verità storica deve imporsi anche tramite questa tristissima conta.

A tale scopo hanno lavorato, pioneristicamente Claudia Cernigoi, Sandi Volk, ALessandra Kersevan, Federico Tenca Montini e da ultimo Eric Gobetti, col suo E allora le foibe? (Laterza, 2020) Tutti costoro sono stati oggetto di attacchi scomposti o addirittura di minacce, soltanto perché hanno provato, documenti alla mano, a ristabilire le dimensioni reali del fenomeno, riconducendolo al suo contesto, quale pagina, per quanto atroce, di una guerra in cui gli italiani furono aggressori, e si comportarono in Jugoslavia in modo particolarmente feroce. In nessun caso, comunque, risponde a verità storica parlare di un piano di pulizia etnica da parte jugoslava contro gli italiani.

Esprimiamo dunque la nostra solidarietà e condivisione a Tomaso Montanari, al quale non viene evidentemente perdonato il fatto che, in quanto rettore, egli non si senta parte dell’establishment culturale e politico del Paese, non si faccia difensore e cantore dello status quo. Noi lo esortiamo a continuare la sua critica radicale, anche nel nuovo ruolo che ricoprirà.

Non possiamo infatti dimenticare che negli ultimi anni i rettori italiani, tranne pochissime eccezioni, hanno accettato in solenne silenzio le riforme “aziendalistiche” e i devastanti tagli finanziari imposti alle università italiane. Come del resto ha fatto la grandissima maggioranza dei docenti universitari, le anime morte della vita civile italiana, che si destano da profondissimo sonno solo quando qualche provvedimento governativo tocca i loro stipendi.

*** Piero Bevilacqua, Enzo Scandurra, Angelo d’Orsi, Vezio De Lucia, Maria Pia Guermandi, Luigi Ferrajoli, Ginevra Bompiani, Enzo Paolini, Massimo Veltri, Ilaria Agostini, Alberto Magnaghi, Alberto Ziparo, Carlo Cellamare, Paolo Favilli, Ignazio Masulli, Alberto Olivetti, Gaetano Lamanna, Luigi Pandolfi, Franco Toscani, Franco Cambi, Tonino Perna, Maurizio Acerbo, Tiziana Drago, Franco Novelli, Rossano Pazzagli, Laura Marchetti, Domenico Gattuso, Angela Barbanente, Vito Teti, Lucinia Speciale, Andrea Ranieri, Simonetta Del Bianco, Raffaele Tecce, Graziella Tonon, Giancarlo Consonni, Mario Fiorentini, Marisa D’Alfonso, Giovanni Losavio, Riccardo Barberi, Paolo Berdini, Armando Taliano Grasso, Sonia Marzetti, Giuseppe Saponaro, Domenico Rizzuti, Luigi Vavalà, Domenico Cersosimo, Vittorio Boarini, Pino Ippolito Armino, Franco Blandi, Simona Maggiorelli, Daniele Vannetiello, Rita Paris, Giuseppina Tonet, Anna Maria Bianchi, Amedeo Di Maio, Roberto Budini Gattai, Francesco Trane, Anna Angelucci, Tommaso Tedesco, Battista Sangineto, Giuseppe Aragno, Roberto Scognamillo, Giovanni Carosotti, Massimo Baldacci, Francesco Gaudio, Piero Caprari, Francesca Leder, Marta Petrusewicz, Diego Amelio, Maria Paola Morittu, Piero Caprari, Francesco Santopolo, Umberto Todini, Claudio Greppi, Irene Berlingò, Francesco Cioffi, Romeo Bufalo, Amalia Collisani, Cristina Lavinio, Luisa Marchini, Vera Pegna, Tiziano Cardosi, David Armando, Antonio Ciaralli

da “il Manifesto” dell’1 settembre 2021

Il parlamento serve a tutti noi.- di Massimo Villone Il No ci difende come cittadini, e conforta che nonostante le difficoltà si moltiplichino i comitati e le voci variamente motivate che lo sostengono

Il parlamento serve a tutti noi.- di Massimo Villone Il No ci difende come cittadini, e conforta che nonostante le difficoltà si moltiplichino i comitati e le voci variamente motivate che lo sostengono

Oggi il meeting di Cl presenta un evento dal titolo emblematico: «Il parlamento serve ancora?». Troveremo Di Maio e Speranza, poi Boschi, Delrio, Lupi, Meloni, Salvini, Tajani. Facciamo uno scoop: nessuno dirà che non serve. Ma forse sarebbe stato più giusto titolare «A cosa serve il parlamento, e a chi?».

Tra i partecipanti troviamo quelli che la democrazia della rete è tempo sostituisca la democrazia rappresentativa, che ci vuole il sindaco d’Italia, che il presidente della repubblica deve essere eletto dal popolo, che il sistema elettorale maggioritario dà subito un vincitore, che il voto bloccato deve garantire al leader una coorte di pretoriani, che il popolo nelle urne elegge un governo che nessuno ha il diritto di ostacolare perché il giudizio spetta agli elettori cinque anni dopo.

Il centrodestra si accorda – a quanto leggiamo – su autonomia differenziata, presidenzialismo, giustizia. Il progetto separatista di Zaia viene assunto dalla coalizione. Non c’è dubbio che presenti il conto al parlamento, intaccando il ruolo del legislatore nazionale. La contropartita richiesta da Giorgia Meloni -il presidenzialismo – può solo peggiorare il saldo negativo a carico dell’assemblea elettiva. Tra l’altro, qualcuno dovrà spiegarle che uno stato indebolito non si rafforza con l’elezione diretta di un presidente, che sarà fatalmente anche lui debole.

Nel Pd, invece, gli ex renziani tornano all’attacco del segretario. Nardella e Marcucci riprendono il mantra della vocazione maggioritaria. Sembra di sentire il Veltroni del 2008, che ne fu massimo interprete. Pensavamo fosse ormai possibile passare oltre, giungendo senza traumi a una legge elettorale proporzionale. A quanto pare, no. Fa tenerezza Nardella che non accetta l’idea di un partito di medie dimensioni costretto a fare alleanze (Repubblica, 19 agosto). Il Pd oggi è tale non per un destino cinico e baro, ma per la politica di dirigenti come Nardella.

Per un trentennio il pensiero dominante e le scelte conseguenti hanno puntato a marginalizzare il parlamento. Se i risultati fossero buoni ne prenderemmo atto. Ma la politica è in degrado, il paese arranca e perde posizioni in Europa e nel mondo, crescono esponenzialmente le diseguaglianze tra persone, gruppi sociali, territori, crollano le speranze di generazioni. Da ultimo, l’emergenza Covid non è passata attraverso un effettivo vaglio parlamentare, che non è in vista nemmeno per le ingenti risorse in arrivo.

Si sostituisce al confronto nelle assemblee elettive la concertazione tra esecutivi nelle conferenze stato-autonomie, che qualcuno vorrebbe trasformare in una terza camera para-legislativa. Proprio la pandemia offre l’ennesima prova che bisogna invertire la rotta, riportando in parlamento le grandi scelte.

In un tempo di partiti politici evanescenti e – salvo pochi casi – privi di una effettiva organizzazione sul territorio la voce del paese arriva nelle assemblee attraverso gli eletti. Il parlamento serve a tutti noi, perché oggi assai più di ieri è la vera garanzia di una partecipazione democratica. Per questo il taglio dei parlamentari, senza nemmeno la parziale riduzione del danno data dai correttivi che erano stati ipotizzati nell’accordo di governo, va respinto con il No.

È un voto che non difende la casta o i parlamentari in carica, che – con eccezioni – poco lo meritano. Né va giocato nella dialettica di maggioranza o di partito. Corregge il peccato originale del baratto tra una riforma di grande portata e un governo. Una Costituzione forte e duratura è una necessità imprescindibile. Nessun governo lo è.

Il No ci difende come cittadini, e conforta che nonostante le difficoltà si moltiplichino i comitati e le voci variamente motivate – da ultimo Orfini, e il giornale Repubblica – che lo sostengono. Certo, è solo un primo passo immediato, cui deve seguire la pretesa di un’istituzione parlamento rinnovata.

Si può fare, con una legge elettorale proporzionale, che renda le assemblee specchio del paese e rimetta nelle mani degli elettori la scelta degli eletti. E con una legge sui partiti, che garantisca la democrazia interna, la trasparenza, i diritti degli iscritti.

Così si torna alla Costituzione e si avvia la ricostruzione della politica. Lo diciamo in specie a Nardella: un grande partito egemone non basta volerlo. Bisogna costruirlo dal basso, mattone su mattone.

da “il Manifesto” del 21 agosto 2020

foto:https://www.camera.it/leg18/585?raccolta=128&rcgrp=Palazzo+Montecitorio&Palazzo+Montecitorio+%2F+Aula