Riportare lo sguardo della Ue verso il Mediterraneo.-di Tonino Perna A 70 anni dalla Dichiarazione di Messina

Riportare lo sguardo della Ue verso il Mediterraneo.-di Tonino Perna A 70 anni dalla Dichiarazione di Messina

Il 3 giugno del 1955, convocati a Messina dal Ministro Gaetano Martino, i sei Ministri degli Esteri dei paesi facenti parte della CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio) firmarono un documento fondamentale per la costruzione della futura Comunità Economica Europea: La Dichiarazione di Messina. Il Prof. Gaetano Martino, Rettore all’Università di Messina, insigne giurista di fama internazionale, riuscì a convocare nella sua città i Ministri degli Esteri di Germania, Francia e Benelux.

L’incontro iniziò il 1 giugno del 1955 e non fu privo di tensioni, visto che erano passati solo dieci anni dalla fine della seconda guerra mondiale e i tedeschi erano ancora malvisti dal resto degli europei. Soprattutto fra il Ministro degli Esteri francese e quello tedesco si alzò il primo giorno un vero e proprio muro di incomprensione. Il secondo giorno l’on. Gaetano Martino portò i colleghi a Taormina, facendo proseguire i lavori nell’albergo San Domenico, negli anni ’50 il più bell’albergo italiano secondo lo scrittore Guido Piovene, che ne rimase ammirato durante il suo “Viaggio in Italia”.

Comunque a Taormina, vuoi per il paesaggio o per la bontà della cucina, cambiò l’atmosfera e si cominciò a discutere seriamente del futuro dell’Europa occidentale (allora divisa in due blocchi contrapposti) e si preparò il documento finale che verrà firmato a Messina il giorno dopo. “La Dichiarazione di Messina” pose le basi su cui due anni dopo si poté firmare il ben noto Trattato di Roma.

Quello del 3 giugno 1955 è un documento straordinario, che è stato per troppo tempo ignorato, e che è interessante rileggere oggi nell’era dei sovranismi emergenti. In questa “Dichiarazione” i sei paesi si impegnano ad abbattere dazi e barriere doganali per le merci e permettere la libera circolazione delle persone.

Si impegnano a creare un Mercato Comune ed anche a favorire una convergenza nelle politiche sociali e nei diritti dei lavoratori, nonché a connettere le infrastrutture in termini di reti ferroviarie, autostradali e collegamenti aerei. Inoltre, ritengono fondamentale per lo sviluppo economico cooperare sul piano energetico e investire sul futuro dell’Energia Atomica a fini pacifici. Infine c’è un impegno ad una politica monetaria convergente ( nel futuro si chiamerà prima Ecu e poi Euro).

Molte cose sul piano economico sono state realizzate e oggi noi le diamo per scontate. Era tutt’altro che facile, visti i differenziali di sviluppo tecnologico ed economico, abbattere le barriere doganali, liberalizzare i flussi migratori (in particolare dall’Italia al Centro Europa dove spesso eravamo noi i clandestini!), armonizzare le politiche sociali.

Allo stesso tempo molti desiderata certamente non sono stati concretizzati. Certamente, malgrado ci siano stati grandi investimenti nelle aree depresse della Comunità Europea non c’è stata quella convergenza e riduzione del divario che già nel 1955 veniva data come obiettivo comune.

Così come sul piano dell’energia, oggi ritornata questione vitale, ogni paese è andato un po’ per i fatti suoi, a partire dall’energia atomica che si è sviluppata decisamente in Francia, ma è stata bloccata in Italia dal referendum del 1986 e successivamente anche in Germania ha ricevuto una battuta d’arresto.

Non solo, anche sull’approvvigionamento di gas e petrolio ogni paese europeo tende ancora oggi a risolvere il problema sul piano nazionale. Un errore fondamentale che continuiamo a pagare in termini di costi e sicurezza energetica. Ed i padri fondatori della Ue avevano visto giusto nell’indicare la priorità di una strategia energetica comune. Certo, non potevano prevedere Chernobyl e la non soluzione del problema delle scorie radioattive, né lo sviluppo delle energie rinnovabili legate al sole e al vento.

Tante sono le considerazioni che si possono fare leggendo questa Dichiarazione, ma ce n’è una che ritengo fondamentale. La costruzione dell’Unione Europea è partita da Messina, è passata dal Trattato di Roma e poi si è trasferita nel centro e nord Europa, abbandonando, non solo geograficamente, i paesi del Sud Europa. A partire dalla caduta del muro di Berlino nell’89 il baricentro della Ue si è spostato sempre più ad est dimenticando che l’Europa, anche nelle sue radici culturali, è nata nel Mediterraneo.

Dopo il Congresso di Barcellona sul Mediterraneo del 1995, che impegnava i paesi della CEE a creare un’area di libero scambio delle merci e di libera circolazione dei lavoratori, Bruxelles ha girato definitamente lo sguardo altrove e ha guardato ai popoli della sponda Sud-Est solo per erigere muri, per pagare governi corrotti e criminali affinché bloccassero i flussi migratori verso i nostri paesi.

Riportare lo sguardo della Ue verso il Mediterraneo, spostarne il baricentro, è un compito di cui dovrebbero farsi carico i paesi del Sud-Europa, dove purtroppo è assente una visione comune e la coscienza di appartenere a questo mare. Non parliamo poi della rappresentanza politica: se confrontiamo il Prof. Gaetano Martino (ma anche gli Andreotti o Craxi) all’attuale Ministro degli esteri, ci rendiamo conto dell’abisso in cui siamo precipitati.

da “il Quotidiano del Sud” del 4 giugno 2025

Follow me!

Comments are closed.