
Sanità, la Calabria che non ci sta più.-di Filippo Veltri
Sulla sanità in Calabria si potrebbero scrivere enciclopedie, Treccani intere; fare dibattiti 2 o 3 volte al giorno; discutere e litigare per anni interi. E si è fatto e si fa anche tutto questo. Da quando? Non ne ho memoria, ve lo confesso. Ho perso il conto.
Grandi esperti, competenti emeriti, studiosi di diritto sanitario, di diritto pubblico, di sociologia, giuristi, docenti, medici e non, si dannano l’anima per cercare di spiegare alla fine una cosa che è talmente semplice da sembrare banale ma che è all’origine dell’incredibile successo che sta riscuotendo l’iniziativa che si terrà domani pomeriggio in piazza a Catanzaro.
E’ nata dalla testa del direttore di questo giornale, Massimo Razzi, che calabrese non è (e si vede dalla semplicità con cui l’ha pensata e messa in campo), il quale mesi fa dinanzi al diluvio di proteste, accuse, reclami etc., ha pensato alla cosa più semplice del mondo: organizzatevi, organizziamoci, prendiamo la parola, prendete la parola e scendiamo in piazza per il diritto alla salute.
DIRITTO ALLA SALUTE, lo scriviamo in grande così si capisce meglio di che parliamo. Finiamola, cioè, con le ardite e dotte discussioni sui piani di rientro che ci sono e forse vanno via come i commissariamenti (chissà chi lo sa), con i bilanci delle Asp che non tornano, con i fondi e le parcelle pagate 2, 3 e 10 volte, con i buchi neri amministrativi e contabili, etc etc. Cose – dio me ne guardi dal sottovalutarle – molto importanti ma alla fine della fiera il cittadino vorrebbe sapere altro.
Vorrebbe, cioè, sapere perché si può morire in ambulanze senza medici, o in ospedale a nemmeno 40 anni incinta alla prima gravidanza. O perché bisogna andarsene lontani da casa per farsi curare. O perché non si trova più un medico di famiglia. E altre amenità del genere, che pullulano sulle pagine ogni giorno dei quotidiani, dei social, dei siti e rendono tutta la vita dei calabresi più pericolosa di quanto non lo sia già. Perché il punto di fondo è centrato, infatti, sul diritto alla salute negato nonostante l’impegno, l’abnegazione, il sacrificio di medici, infermieri, paramedici che si dannano l’anima per tamponare situazioni difficilissime, a volte al limite dell’impossibile, in reparti affollati, emergenze intasate fino al collasso, tempi biblici nelle prenotazioni (quando funzionano), liste d’attesa di cui è meglio non parlare.
Tutte situazioni che si trascinano da tempo e che hanno incancrenito il settore, dove pure esistono eccellenze sparse qua e là nel territorio, stelle in un infinito mare di nebulose dove il povero calabrese paziente (sostantivo e aggettivo, in tutti i sensi) fatica a raccapezzarsi e a trovare risposte all’unica domanda che agita: il diritto appunto alla salute.
Molto si è discusso e si discute anche sull’utilizzo dei medici venuti da Cuba nelle corsie degli ospedali calabresi. I soliti leoni da tastiera non hanno perso tempo fin dall’inizio a gridare allo scandalo, a chiedere che vengano utilizzati medici italiani (domanda: chissà come e dove prenderli), a sollevare questioni di lana caprina sulla provenienza, la lingua, le metodologie utilizzate. Se c’è invece qualcosa da salvare nei tempi agri che viviamo è proprio l’aiuto fornito e che stanno fornendo questi bravi medici venuti da un altro mondo. Senza di loro sarebbe già forse definitivamente collassato il sistema.
Ecco: servono risposte immediate a quelle domande che ogni giorno, ogni ora del giorno, si manifestano dentro e fuori gli ospedali. Organizzarsi e manifestare è un segno che la coscienza civile non è morta e chiede risposte serie e concrete. A chi? Alla politica e alle istituzioni. È la regola base della democrazia. A ciascuno il suo. Domani pomeriggio questo molto semplicemente si fa.
da “il Quotidiano del Sud” del 9 maggio 2025