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Roma, mercato privato.- di Sarah Gainsforth

Roma, mercato privato.- di Sarah Gainsforth

Da un quarto di secolo l’area degli ex mercati generali a Roma attende una nuova vita. Su questi 85mila metri quadri, quasi nove ettari di terreno, l’amministrazione capitolina sta concludendo una partita dal valore enorme: poche città europee vantano spazi pubblici così grandi, in una posizione così centrale, da reinventare come parco, edilizia sociale o spazi culturali. Invece il comune di Roma ha accettato la proposta del concessionario dell’area, Sviluppo centro ostiense srl (Soc), inadempiente dal 2006, per la costruzione di un mega-studentato di lusso che sarà finanziato dal fondo immobiliare statunitense Hines.

IL PROGETTO prevede appunto la costruzione di uno studentato da 1.602 camere con canoni di locazione fino a 1.050 euro al mese; 544 posti in camere doppie saranno affittati a 500 euro al mese «escluso iva ed eventuali servizi ad hoc», un canone descritto come ‘calmierato’. Poi ci sarà una mediateca, una biblioteca, una sala conferenze, una palestra, un centro anziani, spazi per start-up innovative e l’immancabile area gastronomica.

SECONDO IL PIANO economico presentato l’anno scorso, il progetto garantirà ricavi per oltre 32 milioni di euro l’anno, di cui 26 milioni dallo studentato, a fronte di un canone per l’area, pubblica, di 165mila euro l’anno. Secondo il comune di Roma la proposta progettuale «pone particolare attenzione al rispetto degli obiettivi di inclusione giovanile, sostenibilità e qualità urbana» si legge in una delibera di luglio 2025 che conferma l’interesse pubblico. In un documento precedente, il comune si limita a ritenere «auspicabile» che lo studentato «preveda una congrua quota di servizi a canone calmierato, al fine di costituire una risposta alle esigenze delle fasce sociali più deboli».

SUL TOTALE DEGLI EDIFICI previsti, poco più del 10% sarà destinato a servizi pubblici, in parte già esistenti da prima della cantierizzazione dell’area. Nel nuovo progetto gli spazi destinati al commercio, a uffici e in parte alla cultura saranno locati a canoni più alti di quelli di mercato. I servizi privati saranno «accessibili al pubblico ma forniranno spazi comuni e amenities pensate per la parte di studentato» si legge nella proposta. Da sempre i servizi, pubblici e privati, aumentano la remunerazione degli investimenti immobiliari e, nel modello degli studentati privati, giustificano alti prezzi all inclusive. È meno chiaro il contrario: in che modo gli investimenti privati beneficiano la città?

L’IDEA DI DESTINARE l’area all’aggregazione giovanile, con servizi culturali e ricreativi, risale al 2003. Dopo una gara e un concorso di progettazione, nel 2006 la Lamaro, capogruppo della Soc, ha ottenuto la concessione dell’area per 60 anni, per realizzare il progetto. Quello definitivo è stato approvato nel 2009 ma, tra le richieste di modifica e i tempi amministrativi per approvarli, non ha mai visto la luce e il periodo di concessione non è mai iniziato. Nel 2021 l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ha avviato un procedimento di vigilanza sulla concessione (anche per i gravi ritardi) conclusosi nel 2022.

L’ANAC ha contestato la legittimità della seconda variante del progetto, chiesta nel 2013, «che non risponde a nessuna esigenza del concedente», cioè il comune, e che aveva come unico obiettivo quello di «adeguare l’opera alle esigenze del mercato», comportando «l’ampliamento delle aree date in concessione rispetto a quelle destinate ad uso pubblico (…), nonché l’introduzione di aree turistico ricettive». Vista l’asimmetria nel ‘partenariato’ pubblico-privato, l’Anac si è premurata di ricordare all’amministrazione che in un contratto di concessione di opere pubbliche, è il privato che assume il rischio operativo, gestisce l’opera e ne trae i guadagni o subisce le perdite.

IL RISCHIO va valutato in sede di offerta, in base alle condizioni poste dalla gara. A settembre 2022 il concessionario ha presentato la terza revisione del progetto, con una riduzione della parte commerciale: il commercio di vicinato va male, è improduttivo, e dunque quella parte del progetto è ora inattuale. Così è cambiato di nuovo il ‘mix funzionale’: la quota di edifici a destinazione turistico-ricettiva (lo studentato), assente nel progetto originario, è balzata al 61% grazie alla riduzione delle quote di commercio e ristorazione. La quota per ‘cultura e tempo libero’, diminuita dal 2013, è inferiore a quanto richiesto nel bando di gara.

UNA MODIFICA sostanziale del progetto richiederebbe un nuovo affidamento. Ma il Comune di Roma ha confermato l’interesse pubblico dell’operazione pur di non perdere altro tempo e per il timore di dover restituire le «ingenti spese fin qui sostenute dall’attuale concessionario», rinunciando preventivamente a difendere l’interesse pubblico in un eventuale contenzioso. In altre parole, l’Amministrazione si è resa ostaggio di un privato inadempiente, e del suo investimento iniziale, che scarica il rischio d’impresa sul pubblico e modifica il progetto come vuole.

COSÌ ORA IL QUARTIERE si ritroverà uno studentato privato da duemila posti senza neanche un piano attuativo per adeguare i servizi, perché l’ambito rientrerebbe in un «progetto generale di intervento», che però «è quello proposto dal concessionario», si legge nell’ultima proposta progettuale (molto diversa da quella approvata con l’Accordo di programma nel 2005).

DEL RESTO I SERVIZI, sostiene il concessionario, in quell’area ci sono già: è la tesi del ‘modello Milano’ secondo cui si può costruire tutto senza realizzare nuovi servizi. E se l’offerta di servizi giustifica il pubblico interesse di un progetto privato, a Roma è la mancata realizzazione di servizi, da parte del privato, che motiva la concessione di suolo pubblico a condizioni che il concessionario cambia nel tempo per spremere dal suolo sempre più valore: l’importo dell’investimento privato da remunerare è triplicato ed è adesso di 381 milioni. Oggi, a vent’anni dalla prima convenzione, dopo aver arrecato un danno enorme alla città, il privato ritiene che ci siano le condizioni vantaggiose per partire, e che rischiano di trasformare Roma in una città per soli ricchi.

da “il Manifesto” del 15 agosto 2025

Basta movida chiassosa e maleducata.-di Battista Sangineto

Basta movida chiassosa e maleducata.-di Battista Sangineto

Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia Covid-19, è dilagata in Italia, e solo in alcune città italiane, una moda pervasiva e particolarmente nociva: una movida maleducata e rumorosissima i cui protagonisti sono ‘giovani’ di tutte le età.

L’incontenibile proliferazione di bar, pub, ristoranti e locali notturni con relativi innumerevoli tavolini e dehors ha assecondato e favorito questa assoluta mancanza di rispetto del decoro e della quiete pubblica. Un’estensione a tutti i giorni dell’anno degli sfrenati Saturnali che nella Roma antica si svolgevano, però, solo dal 17 al 23 dicembre.

Basti pensare a Corso Mazzini, a Cosenza, che si presenta come un’unica assolata distesa di tavolini e dehors al centro dell’intero miglio di lunghezza lasciando, ai due lati, uno spazio meno ampio di quello che era percorribile dai pedoni prima della sua chiusura al traffico automobilistico.

Un budello vociante, maleodorante e maleducato, sul quale si affacciano ormai solo corrivi negozi di catene e spropositati monomarca globali che nulla ha a che vedere con la ‘piccola Broadway’, bordata di eleganti negozi che vendevano Dior e Fath, raccontata da Guido Piovene, fra il 1957 e il 1967, nel suo “Viaggio in Italia”. Una città che non ha più una stagione lirica, un cartellone di prosa degno di questo nome e un cinema d’essai, una città che, nell’ultimo quindicennio si è irrimediabilmente imbarbarita.

Ha prevalso una ‘movida’ selvaggia che ha metastatizzato anche le vie adiacenti e alcune altre aree della città al punto che può esser descritta, senza tema di smentita, per mezzo di un paradosso: una città ‘gentrificata’ senza progresso economico, sociale e culturale e, persino, senza sviluppo e senza turismo.

La metastasi si è estesa anche ad un intero quadrilatero residenziale della città di Rende, quello che va dall’Emoli al Surdo, che è stato trasformato nel quartiere degli ‘eventi’ e della movida perenne. L’ultima Amministrazione comunale ha concesso a privati l’area mercatale, a ridosso dell’area residenziale della Cep, per la Festa della Birra, ma anche il Parco del Surdo per farne il luogo di un Dj-set in occasione del 1° maggio e della discoteca all’aperto di un pub per quasi tutto il mese di giugno, fra i palazzi e le case residenziali di via Rossini e via Mosca.

Tutto questo senza farsi mancare rumorosi Circhi due o tre volte all’anno (con e senza poveri animali esotici), un tonitruante Luna Park, bar, ristoranti, pizzerie e locali che vomitano musica, da mane a sera inoltrata, ad altissimo volume praticamente per tutto l’anno. C’è da rilevare che ad un anno dall’insediamento dei commissari prefettizi a Rende non è cambiato nulla, a questo riguardo.

L’unificazione dell’area urbana è già stata realizzata grazie alla diffusione della musica a tutto volume, degli olezzi di cibo a tutte le ore e dell’ubriachezza molesta fra i palazzi dei residenti che magari non amano quella musica e che vorrebbero avere, invece, la possibilità di riposare, guardare in pace la tv, leggere un libro o fare due chiacchiere con amici e parenti fra le mura domestiche.

La responsabilità è, naturalmente, delle Amministrazioni locali che hanno elargito, con troppa facilità e lassismo, spazi pubblici in concessione e che hanno permesso che i privati facessero i loro interessi agevolandone i profitti che sono fondati sull’utilizzo a basso, o nessun, costo degli spazi pubblici e sulla complice indulgenza che le Amministrazioni hanno avuto e hanno nei riguardi dei suddetti imprenditori colpevoli, direttamente o indirettamente, di reati contro la quiete pubblica e il decoro.

Una politica che, per un labile consenso elettorale, ha voluto favorire un tornaconto economico per poche persone che sfruttano un centinaio di lavoratori mal pagati e a tempo determinato senza creare alcuna ricchezza per le città e nessun vero posto di lavoro qualificato e duraturo, come del resto dimostrano l’alta mortalità dei suddetti locali e le più recenti indagini socio-economiche (G. Bei-F. Celata 2023).

Voglio ricordare che a Parigi, e in tutta la Francia, le brasserie, i ristoranti e i locali non possono fare musica all’esterno, ma anche che in Germania la musica all’esterno dei locali e quella dei concerti deve finire alle 22.30 e, infine, che, nella scaturigine della ‘movida’, in Spagna ed in particolare a Madrid e a Barcellona, la musica all’aperto è ormai vietata e che le multe per gli schiamazzi notturni ammontano a 600 euro a persona.

Se proprio non si vuole stroncare questa incivile deriva assordante e maleodorante che non è permessa in nessun altro paese occidentale, occorrerebbe che le Amministrazioni allestissero, alla bisogna, aree lontane dalle residenze dei cittadini che hanno il costituzionale diritto alla salute che comprende il diritto di svolgere la propria vita secondo i propri ritmi di veglia-riposo.

da “il Quotidiano del Sud” del 3 giugno 2024

L’irrisolta questione del modello giusto di turismo.-di Battista Sangineto La città unica, gli incendi, il mare e il turismo in Calabria.

L’irrisolta questione del modello giusto di turismo.-di Battista Sangineto La città unica, gli incendi, il mare e il turismo in Calabria.

Una città è fatta di molte cose, alcune materiali ed altre immateriali; una città è fatta di un patrimonio culturale “esterno”, i monumenti, le piazze, le strade, i palazzi e i beni culturali e di uno “interno”, la memoria culturale. Ogni città è il risultato unico ed irripetibile di una enorme quantità di variabili storiche, sociali, religiose, politiche ed economiche.

In Calabria, alla fine dell’antichità, l’eclisse del paesaggio profondamente umanizzato, il ritorno a modi di produzione più arretrati, l’affievolimento e la regressione della civiltà urbana insieme alle invasioni ed alle dominazioni straniere, dovevano aver di nuovo inselvatichito le genti che hanno cercato e trovato riparo, dalle invasioni e dalle malattie, lontano dal mare e dalle vie, risalendo, come in tutto il Mediterraneo, verso l’alto, verso le montagne.

Una delle poche città calabresi che ha continuato, per quasi venticinque secoli, ad avere la forma e la funzione di città è, secondo le fonti archeologiche e letterarie, Cosenza. La città ha, infatti, un’antica storia, una storia di primazia perché, dal IV fino al II secolo a.C., è stata la capitale dei “Brettii” che occupavano tutta la Calabria centro-settentrionale e, poi, come municipio augusteo, è stata il centro del territorio della romana Consentia, esteso lungo tutta la media valle del Crati fino alla fine dell’antichità.

E’ menzionata, già nel VI secolo d.C., come sede arcivescovile mentre le ricerche archeologiche e le fonti letterarie e d’archivio ci testimoniano una sopravvivenza dell’abitato e degli abitanti che si trasforma, a partire almeno dall’XI secolo, in rinascita edilizia, sociale ed economica. Cosenza ha continuato, poi, ad essere non solo la capitale della Calabria Citeriore, la città di Telesio e dell’Accademia cosentina, ma è stata, soprattutto, una città non infeudata e, quindi, a differenza di molte altre città calabresi e meridionali, autonoma e indipendente (Sangineto 2016).

Ogni città, soprattutto se di antica origine, è non solo il risultato della propria storia, ma anche il volto e la traduzione in pietra e mattoni del popolo che la abita, la conserva e la trasforma (Settis 2014, Montanari 2013).
Come è possibile pensare o, addirittura, promulgare una legge regionale secondo la quale Cosenza debba formare un comune unico con Rende, Castrolibero e, nientepopodimeno, Montalto Uffugo che hanno avuto, con grande dignità, una storia di paesi infeudati o di dipendenza diretta dalla città?

Non si possono mescolare le carte, le storie, la Storia, le vite e le identità dei cittadini e delle comunità con un atto legislativo regionale di dubbia costituzionalità. Al Presidente Occhiuto parrebbe non bastare più il reboante e inesistente, nella Repubblica italiana, titolo di Governatore, ma sembrerebbe aspirare al ben più prestigioso appellativo di ‘Ecista’ della città unica della Media Valle del Crati. Il candidato fondatore della nuova grande città, però, non solo non ha consultato l’oracolo di Delfi per scrutare la sorte dell’impresa che si propone di compiere, ma non ha, nemmeno, interpellato i sindaci e i cittadini dei Comuni che vorrebbe coinvolgere. Sindaci e cittadini che, al 90%, non vogliono sentirne neanche parlare di una simile mostruosità amministrativa -soprattutto i rendesi, i montaltesi e i castroliberesi- a causa dell’enorme debito accumulato negli ultimi 10-12 anni dalle Amministrazioni comunali di Cosenza che ricadrebbe sulle loro spalle fiscali.

Per fortuna questa iniziativa, come quella del commissariamento dei 30 comuni per abusivismo edilizio, è destinata a non avere alcun riscontro concreto se non l’effimera risonanza mediatica propagatasi per qualche giorno. Il Presidente Occhiuto, che è persona accorta e ragionevole, se ne farà una ragione così come si farà una ragione del fallimento del suo apprezzabile proposito di risanamento del mare calabrese che non può avvenire senza togliere alla ‘ndrangheta la gestione dei depuratori, dello smaltimento delle acque reflue e della raccolta e smaltimento della spazzatura.

Un’altra sacrosanta battaglia condotta dal Presidente Occhiuto è quella contro gli incendi e i piromani che – “grazie al sistema di monitoraggio con i droni portato avanti in sinergia con le Forze dell’Ordine e grazie al monitoraggio a terra ad opera degli operai forestali e dei volontari”- a suo parere, sta dando ottimi risultati. L’Ispra, l’Ente statale preposto alla protezione ambientale, fornisce dati secondo i quali dal 1° gennaio al 7 agosto 2023 le aree bruciate in Italia hanno raggiunto i 59.000 ettari. Il 93% di queste aree ricade in sole due regioni: la Sicilia, con il 75% (41 mila ettari) e la Calabria, con il 18% (8,5 mila ettari). Non sembra che sia un gran risultato, se si tiene conto che siamo ancora a metà dell’estate.

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Questi due lodevoli, ma già frustrati, propositi hanno direttamente a che fare con un altro dei perenni ed irrisolti problemi estivi della Calabria: il turismo (ne ha scritto di recente Filippo Veltri su queste pagine). Dopo le meravigliose e costosissime performance della pista di pattinaggio della Regione Calabria a Milano, della scintillante “Calabria straordinaria” con i suoi irrinunciabili MID, i Marcatori Identitari Distintivi “talariciani”, degli indispensabili spot pubblicitari di Muccino e della Gregoraci, il risultato è sotto gli occhi di tutti: pochi turisti ovunque. Una sensazione che è, di fatto, confermata dai dati delle previsioni di Federalberghi che stima una crescita rispetto agli anni del Covid, ma un calo di più di 1 milione di turisti rispetto al 2019. Si registra, anche sulle pagine di questo giornale da Enrica Riera, un aumento esponenziale dei calabresi che preferiscono andare al mare altrove, soprattutto in Albania, non solo per risparmiare sui costi esorbitanti delle strutture di accoglienza calabresi (alberghi, ristoranti, lidi, bar, gelatai…), ma anche per trovare un mare pulito con spiagge meno affollate e rumorose.
Riguardo al turismo, all’invasivo modello del turismo contemporaneo, ho da qualche tempo molte perplessità e fondate paure perché ho visto, in Italia e nel mondo, cosa significa la ‘turistificazione’ e la ‘gentrificazione’ delle città, delle campagne, dei paesi, delle spiagge e di tutti i luoghi nei quali viene esercitato questo tipo di attività economica: la sostituzione delle attività commerciali e produttive locali con quelle dedite soprattutto alla ‘commercializzazione’ di cose prodotte altrove.

Paure e perplessità che vengono confermate da studi accademici, si vedano gli scritti del geografo Filippo Celata, che mettono in evidenza come la ‘turistificazione’ non produca valore, ma solo ricchezza per pochi, attraverso meccanismi economici eminentemente estrattivi, tipici del neoliberismo. Il problema non consiste solo in chi si appropria di questa ricchezza, ma dove essa fluisce e quanta poca ne rimane in loco. Come è d’altronde il caso di ogni forma di rendita che: o non viene reinvestita, o viene reinvestita in attività altrettanto improduttive, o viene reinvestita altrove.
Un recentissimo articolo di Hidalgo et alii (in “Cambridge Journal of Regions, Economy and Society”, 2023) documenta come, in Italia e in Occidente, con la ‘turistificazione’ e la ‘gentrificazione’, causata soprattutto dagli affitti brevi e da Airbnb, aumentino il numero di ristoranti, di bar e in generale la ‘foodification’ e, in secondo luogo, la quantità di negozi di abbigliamento. Aumentano, anche, i luoghi dove si consuma cibo pronto o dove questo viene servito al bancone, rispetto a quelli con cucina e servizio al tavolo. Ne consegue la desertificazione di interi quartieri e di interi luoghi di villeggiatura nei quali si riducono le attività destinate agli abitanti: alimentari, giornalai, riparazioni di diverso tipo, servizi alla persona quali i parrucchieri e gli estetisti e perfino i servizi per l’infanzia.

Quel che colpisce di più, però, è che i centri delle città e i luoghi di villeggiatura calabresi, nonostante non siano presi d’assalto dai turisti, siano stati ‘gentrificati’ lo stesso, invasi, a perdita d’occhio, da distese di tavoli e tavolini di ristoranti, pizzerie, bar e pub che ne hanno preso possesso e che producono, a perdita d’orecchio, pessima musica assordante fino a notte fonda con l’accomodante complicità delle Amministrazioni comunali. Una maleodorante ‘foodification’ con relativa insopportabile ‘movida’ che -senza produrre lavoro vero, duraturo e qualificato- espelle quasi tutte le altre attività destinate ai residenti e che, di conseguenza, espellerà con il passare del tempo anche i residenti medesimi. Una ‘movida’ che viene gestita solo dal mercato mentre le istituzioni locali vanno a rimorchio cercando, senza riuscirci, di gestire gli inevitabili conflitti fra abitanti e gestori di spesso effimere attività commerciali. Un fenomeno che andrebbe invece rimesso in rapporto con la sfera pubblica, anche attraverso la costruzione di un’offerta culturale in modo da reintegrarla positivamente nel più complessivo sviluppo della città. Un altro problema è relativo al rapporto tra costi e benefici: in genere la ‘movida’ comporta una socializzazione dei costi sopportati dai residenti senza alcuna corrispondente socializzazione dei benefici.

So che non c’è un settore in Italia che corra come la ristorazione, l’intrattenimento ed il turismo: dai dati Istat nell’ultimo anno il comparto ha avuto una crescita del 10,3 per cento a fronte di una media del 2,3 per cento. Ma si tratta soprattutto di lavoro poco qualificato, sottopagato e a tempo determinato: solo il 17,1 per cento, calcola uno studio della ‘Fondazione dei Consulenti del Lavoro’, rientra tra le professionalità ad alta qualificazione.

Quello della ‘gentrificazione’ e della ‘movida’ permanente (cfr. l’interessante volume a cura di C. Cristofori, ‘Andar di notte. Viaggio nella movida delle città medie’, 2022) è un fenomeno pervasivo che ha attecchito, in Italia, un po’ ovunque tanto da far scrivere ad Antonio Tabucchi, citato da Montanari, che: “Firenze è una citta volgare… Credo che Firenze, piu che ogni altro luogo italiano, abbia saputo coagulare quasi magicamente in sé la volgarita che aleggia sull’Italia contemporanea (come forse su certi altri paesi europei) fino a farne una sorta di Weltanschauung, una specie di cappotto che l’avvolge, una spaventosa anima collettiva a cui nessuno sfugge e che significa spocchia, intolleranza, grossolanità … Insomma, la quintessenza dell’atteggiamento di un Paese che è stato povero come l’Italia e che all’improvviso è diventato ricco, senza che dell’appartenenza sociale, della borghesia che ha caratterizzato la civilta europea, abbia posseduto la cultura. Ciò che anni fa prevedeva Pasolini la spaventosa mutazione antropologica rivolta verso una omologazione del Brutto (inteso nel senso piu lato) ha trovato paradossalmente in questa citta rappresentante del Bello la sua piu visibile epifania”(‘Gli Zingari e il Rinascimento. Vivere da Roma a Firenze’, 1999).

Non mi piacerebbe vivere, come vaticinava Pier Paolo Pasolini, in un Paese, in una regione e in una città popolati solo da camerieri, chef, animatori e bartender.

da “il Quotidiano del Sud” del 27 agosto 2023