Sussidi senza stimoli.Ma il “reddito” è una risposta sbagliata al nostro Sud di Gianfranco Viesti
Una politica contro la povertà non può certamente essere un tabù, nell’Italia di oggi. Ma a patto che sia accompagnata da misure per lo sviluppo e per il lavoro; e che sia tecnicamente organizzata in modo tale da superare i molti problemi che essa, ovunque, comporta. Entrambe le condizioni, allo stato delle cose, sembrano mancare; e ciò desta una certa preoccupazione.
Il cosiddetto “reddito di cittadinanza” è la principale misura prevista per la manovra economica di fine anno. Ha una indubbia, e positiva, valenza redistributiva, dato che, a differenza degli “80 euro” del governo Renzi, ha come obiettivo le fasce più povere della popolazione. Può tradursi in nuovi consumi. Ma certamente non dà una forte spinta all’economia. E’ accompagnata da misure che tendono a favorire altri gruppo di cittadini: in particolare gli occupati prossimi alla pensione con molti anni di anzianità (nuove regole pensionistiche) e le partite iva (riduzione delle aliquote d’imposta). Questo mix non sembra proprio avere quella capacità espansiva dell’economia prevista dal Governo; i cui numeri sulla crescita, non a caso, non sono stati “validati” dall’autorevolissimo Ufficio Parlamentare di Bilancio. Appare principalmente indirizzato a soddisfare le differenti promesse elettorali fatte dai due partner (anche in vista delle elezioni europee) a quelle che sono ritenute le proprie basi di consenso. Un assemblaggio di linee politiche non del tutto chiare, ma comunque assai diverse; senza una visione di futuro per l’Italia: concentrate sull’oggi. Ciò crea un sensibile pericolo: che in mancanza di una forte fase di crescita – di cui non appaiono purtroppo al momento esserci i presupposti – il “reddito” possa tradursi in un mero sussidio compensativo, senza che i suoi beneficiari possano concretamente sperare, più di prima, di trovare lavoro.
Questo pericolo ha a che fare anche con la loro localizzazione. Sappiamo che il reddito di inclusione, varato con riluttanza e all’ultimora dal governo Gentiloni, va per il 70% nel Mezzogiorno, coerentemente con la distribuzione della povertà in Italia; e così dovrebbe essere per il “reddito di cittadinanza”. Nessuno scandalo. La ripartizione territoriale delle politiche pubbliche è assai diversa: i benefici degli incentivi del piano Impresa 4.0 vanno per oltre il 90% al Centro-Nord, ed in particolare al Nord, laddove ci sono le imprese. I consumi dei meridionali attivano poi produzione in tutto il paese: quindi ne diffondono i benefici anche al Centro-Nord. Invece, proprio il fatto che molti beneficiari saranno meridionali mette in risalto l’assenza, nelle linee generali della manovra di governo, di significative politiche di sviluppo per il Sud: capaci di trasformarli, almeno in parte ma progressivamente, in lavoratori in grado di uscire dalle trappole della povertà. E allo stesso tempo non si riescono proprio ad interpretare le recentissime dichiarazioni di Presidente e Vicepresidente del Consiglio, secondo i quali il reddito “sarà su base geografica” e beneficerà “per il 47% famiglie del Centro-Nord”. Una baruffa geo-politica fra i partner di governo?
Queste ultime frasi sono però indicative del secondo grande problema cui si diceva in apertura: una certa confusione. Politiche contro la povertà non sono semplici da attuare; sono ricche di insidie. Ciò consiglierebbe in primo luogo un’attenta analisi di ciò che sinora è stato fatto e di continuare, ad esempio nel solco del reddito di inclusione, potenziandone il (modesto) finanziamento e accrescendo i (sinora pochi) beneficiari. Buone politiche pubbliche sono sempre basate su un’onesta valutazione di ciò che è stato fatto. Ma, evidentemente, la comunicazione politica impone di fare diversamente: il “mio” reddito di cittadinanza deve essere diverso dal “tuo” reddito d’inclusione. Sembrano tornare le “carte di debito”, con l’indicazione dei consumi ammissibili e, pare, con l’obbligo di spendere interamente l’importo mensile: un atteggiamento che – come recentemente sottolineato da Chiara Saraceno, una delle maggiori esperte europee del tema – appare paternalistico; e, nel divieto di risparmio, illogico. C’è il grande quesito su che cosa accade a chi dovesse trovare prime occasioni di lavoro. La compatibilità del “reddito” con i compensi. E soprattutto il grande timore che ciò possa ulteriormente stimolare aree di lavoro nero e sommerso, già enormemente diffuse in Italia, in particolare nel Mezzogiorno. E c’è la grandissima debolezza dei centri per l’impiego, specie nelle aree dove la disoccupazione è maggiore: e quindi della disponibilità e della verifica delle possibili offerte di lavoro.
Una politica contro la povertà non può essere un tabù. Ma bisogna studiarla e sperimentarla molto bene, perché non crei problemi maggiori di quelli che vuol affrontare; e certamente accompagnarla con una forte spinta alla creazione di nuove opportunità di lavoro. Destinare tante risorse al “reddito” non risolve nessuna delle due criticità. Ma fa tanta notizia.
Gianfranco Viesti
IL MESSAGGERO e IL MATTINO
16 OTTOBRE 2018