
Ripensare il Sud e il Patrimonio pubblico italiano.-di Piero Bevilacqua
Sono da poco in libreria due testi che meritano la nostra attenzione e che vanno segnalati per la loro rilevanza scientifica, culturale e politica. Non sottolineerò mai abbastanza l’aggettivo politico, perché esso significa in origine, com’è noto, una delle più nobili e distintive delle azioni umane, il governo degli interessi collettivi.Mentre oggi è un compito drammaticamente eluso da gran parte del ceto politico, che di fatto produce retoriche imbonitorie e pratica un servile vassallaggio a favore di ristretti gruppi dominanti del mondo industriale finanziario.
Il primo libro è quello di Pino Ippolito Armino, Storia dell’Italia meridionale, Laterza 2025,pp.293, € 20.A distanza di oltre 30 anni dal mio Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi , Donzelli 1993, esso si presenta come una nuova più larga sintesi, che mancava nel panorama della pubblicistica sul Sud. Intendiamoci, di storie del Regno di Napoli e anche di Storie del mezzogiorno, perfino in più volumi, ne sono state scritte non poche.
La singolarità del presente volume è che esso costituisce non solo una sintesi che parte da metà ‘700 e arriva ai giorni nostri, ma riesce a dare, in poco meno di 300 pagine, un quadro di grande ricchezza e completezza della storia secolare di questa parte d’Italia. Giova ricordare infatti che il Sud gode di una letteratura sterminata, accumulatasi soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, ma essa è quasi sempre focalizzata nell’esame dello squilibrio con il Nord d’Italia.
Nel libro di Ippolito, all’annosa questione è dedicato, con approcci peraltro originali, lo spazio che merita, ma il Sud è raccontato iuxta propria principia, cioé nel suo svolgimento autonomo oltre che, ovviamente nei suoi nessi con la storia nazionale e generale.Il testo ha il merito di inserire nella vicenda meridionale anche la storia della Sardegna tra la tarda età moderna e quella contemporanea – solitamente espunta dalle ricostruzioni meridionalistiche – ma soprattutto è in grado di tenere insieme, in un racconto organico e con una scrittura di chiarezza esemplare, tutti gli aspetti e i fenomeni che fanno la storia di una società: economia, rapporti sociali, ceto politico, fenomeni culturali, trame criminali ecc.
Il lettore ha così la possibilità di avere una visione dei processi e degli eventi che hanno segnato questa parte d’Italia e la consegnano oggi al nostro presente con le sue luci e le sue ombre, le sue lacerazioni e le sue potenzialità.Un vasto territorio in cui comunque si specchiano, esasperati, i caratteri di un Paese gravemente malgovernato e in declino.Questa Storia costituisce pertanto un invito a ripensare il nostro Sud come parte di un progetto di rinascita politica e culturale dell’Italia tutta.
Il secondo testo che vorrei segnalare è quello di Emanuele Petracca, Lo stato liquido.L’Italia privata del patrimonio pubblico. Introduzione di Paolo Maddalena, Castelvecchi 2025,pp 203,€ 20. Petracca è un giurista, allievo di Maddalena, uno dei più agguerriti difensori del patrimonio pubblico del nostro Paese, che lo presenta con una nitida introduzione.
Ed è a mio avviso significativo delle condizioni culturali dell’Italia di oggi che un simile contributo venga lodevolmente da un giurista e non anche da un economista, come pure sarebbe necessario.Le Facoltà di economia hanno subito un processo di colonizzazione neoliberista da cui non riuscono a riscattarsi.
Petracca ricostruisce con competenza e inappuntabile rigore filologico tutti gli atti di governo, le disposizioni, le leggi con cui nel corso degli anni ’90, i nostri gruppi dirigenti vendettero ai privati il patrimonio industriale che apparteneva agli italiani. La proprietà pubblica, infatti, ricorda l’autore, è da considerare, secondo l’interpretazione costituzionale di un nostro sommo giurista, Massimo Saverio Giannini, <>, cioé proprietà del popolo e pertanto <>.
Ma avanza in quegli anni l’ondata neoliberista avviata nei primi anni ’80 dal capitalismo anglo-americano, con i governi Thatcher e Reagan, da cui si lasciano travolgere con entusiasmo le nostre classi dirigenti, il ceto politico (anche quello di sinistra), il giornalismo, gli intellettuali democratici.E si comprende perché: in tutto il decennio precedente l’industria pubblica è stata investita da una sistematica campagna denigratoria, fondata sulla denuncia delle infiltrazioni partitiche all’interno dei gruppi, che rendevano corrotte e inefficienti le dinamiche industriali.
Denunce in parte ovviamente fondate, ma a cui occorreva rispondere con avvedute correzioni, non certo gettando l’acqua sporca con il bambino. E invece nel corso di un decennio, mentre si realizzava il progetto neoliberista dell’Unione Europea, con il trattato fondativo di Maastricht nel 1992, l’Italia si privò della sua “economia mista” con cui aveva realizzato il miracolo economico e attraversato il “trentennio glorioso”, diventando una potenza manifatturiera mondiale.
E giova qui ricordare l’avvio di questa operazione, più volte raccontato, ma non ancora sufficientemente noto, che l’autore riprende e che anche Maddalena ricapitola nella sua introduzione: vale a dire la presentazione da parte di Mario Draghi – allora direttore generale del Tesoro – del piano di messa in vendita dei nostri gioielli industriali di fronte a cento delegati della City di Londra.
Era il 2 giugno del 1992, a bordo del panfilo Britannia, e Draghi pronunciò allora un discorso che oggi suona, in alcuni passi salienti, come un sinistro manifesto neoliberista, l’atto di resa di un governo sovrano, ai cosiddetti mercati, vale a dire ai poteri selvaggi del capitalismo finanziario:<>.
A distanza di 37 anni la ricompensa che abbiamo ricevuto dai mercati è sotto gli occhi di tutti: un apparato industriale ridimensionato, con interi settori passati in mani estere, disuguaglianze nel corpo del Paese da società medievale, sia economiche che territoriali, e la perdita completa non solo di una autonoma politica economica, ma anche, soprattutto negli ultimi