Sanità, il servizio pubblico di qualità sta anche nel privato.-di Enzo Paolini

Sanità, il servizio pubblico di qualità sta anche nel privato.-di Enzo Paolini

Intervengo nel dibattito sul rapporto tra sanità pubblica e privata suscitato dagli scritti del prof. Carrieri (Quotidiano dell’11 settembre e del 15 settembre) e di Marcello Furriolo (13 settembre).

Convengo sulla questione di fondo evocata da ambedue gli autorevoli osservatori ma non posso non segnalare come la tesi del prof. Carrieri sia influenzata da un certo diffuso pregiudizio e di incompleta conoscenza del comparto sul territorio calabrese in particolare.
Per sostenere con serietà questa mia critica devo ricorrere alla pratica, insuperabile, del “fact checking”, ossia della confutazione oggettiva delle affermazioni riportate.

Questa la domanda che il prof. Carrieri ripropone in tutte e due gli articoli “cosa trova il cittadino se non ciò che gli viene offerto?”. Nel senso che nel privato sarebbe ricorrente e diffusa “la pratica del cream skimming cioè selezionare i pazienti (ma forse voleva dire “i casi” o “le prestazioni”) meno complessi e più redditizi”.

Bene, proviamo a dare una risposta non semplicemente assertiva ma suffragata dai dati ufficiali. Sarà sufficiente compulsare il rapporto sulla qualità degli outcomes clinici della Regione Calabria, redatto sulla base del Programma Nazionale Esiti: “per i 52 indicatori di volume presi in considerazione dallo studio, i ricoveri presso le strutture private in Calabria costituiscono il 20,3% del totale regionale.

Nella sintesi sulla attività ospedaliera 2024 pubblicata dal Ministero della Salute emerge, per quanto riguarda la Calabria che:
“L’indice di case-mix (indice di complessità) nel settore privato in Calabria è pari a 1.2, mentre quello del settore pubblico è medio-basso, con un indice per i ricoveri ordinari di 0.980 e una durata media di degenza più elevata per i DRG (a prestazioni erogate) più rappresentativi.

Significa che il comparto privato non pratica alcuna selezione di casi meno complessi e più redditizi, ma in molti casi presenta eccellenze e prestazioni più complesse di quelle erogate nelle strutture pubbliche. La certificazione di ciò sta nel rapporto sul servizio sanitario in Italia redatto da Ermeneia su dati del Ministero della salute.

Nel medesimo documento è detto: “la spesa ospedaliera sostenuta per il comparto privato accreditato è calcolata al 10,83% del totale della spesa ospedaliera regionale; il che conferma la capacità delle strutture ospedaliere private di sostenere alti livelli di produzione con ottimizzazione dei costi, contribuendo al miglioramento della performance complessiva del Sistema Sanitario Regionale”.

Significa che per le stesse prestazioni e per la stessa qualità / complessità le strutture private costano di meno delle strutture pubbliche, in quanto è certificato che il comparto privato eroga in Calabria il 22,5% delle prestazioni totali e viene remunerato con il 10,8% della spesa ospedaliera.

Cioè senza costi impropri o, se si vuole essere più crudi, senza sprechi.
Questa è la realtà dei fatti.

Primo check.
Il prof. Carrieri afferma, che “nessuna casa di cura accreditata gestisce pronto soccorso”.
Qui il prof. Carrieri – forse chiuso nelle stanze accademiche – dimostra di non conoscere il territorio calabrese dal momento che tutti sanno che presso la Tirrenia Hospital di Belvedere Marittimo esiste un pronto soccorso cui fa riferimento tutta la popolazione dell’alto tirreno cosentino.

Secondo check.
Ancora il prof. Carrieri “non esiste, nel privato l’oncologia medica se non in due strutture che offrono radioterapia e diagnostica per immagini”. Disinformato poiché tali prestazioni si erogano in varie strutture accreditate oltre quella individuata dal prof. Carrieri. Solo per citarne alcune: Cascini, Villa del Sole (Cosenza) Villa dei Gerani (Vibo) e altre.

Terzo check.
Infine il prof. Carrieri si induce ad affermare che sarebbero “interamente pubblici reparti e attività come dialisi e grandi chirurgie”. Sulle “grandi chirurgie” non saprei cosa dire perché non so quali siano e non mi sono mai imbattuto in tale definizione, ma sulla dialisi segnalo che è resa da diverse strutture accreditate. Ad esempio in provincia di Cosenza NephroCare – Euro 2000.

Quarto check.
Chiarite le inesattezze. Vediamo come funziona – o dovrebbe funzionare – il sistema e cosa si è fatto.
Il servizio sanitario calabrese è interamente – e solamente – pubblico. Le prestazioni sono erogate da strutture di mano pubblica e da privati accreditati. La parola “accreditati” sta a significare che sono strutture che rispondono ai requisiti strutturali tecnologici ed organizzativi fissati dalla legge e applicabili a tutti, pubblico e privato, e che possono/devono erogare prestazioni allo stesso livello di qualità ed appropriatezza verificato dalle ASP.

La cosa fondamentale, per affrontare la discussione con serietà è che il cittadino non paga niente, esattamente come negli ospedali pubblici. L’unica differenza è che mentre le strutture private sono pagate dallo Stato a tariffa (fissata e verificata dallo Stato) cioè solo per le prestazioni effettivamente rese, le strutture pubbliche sono finanziate, sempre dallo Stato, ma a consuntivo ed a prescindere da quanto e cosa erogano.
Come si dice “a piè di lista”, compresi i costi impropri e gli sprechi.

Quindi in conclusione le strutture private erogano prestazioni con i medesimi standard di qualità e di alta specialità ma costano di meno per le tasche dei cittadini.

Dunque, si può sgombrare il campo da una serie di luoghi comuni.
a) Il privato accreditato non sceglie niente. Men che meno le prestazioni più semplici dal momento che, come visto statisticamente, produce lo stesso livello di prestazioni delle strutture pubbliche. In taluni casi superiore. Semplicemente viene scelto dai cittadini.
b) L’emigrazione sanitaria è un fenomeno indotto dalla stupida, ottusa politica dei tetti di spesa rigidi ed insuperabili. Questo sistema impedisce l’erogazione di qualsiasi tipo di prestazioni una volta esaurito il tetto finanziario imposto, per cui in tale situazione il cittadino richiedente o si rivolge alle strutture pubbliche andando ad incrementare la lista d’attesa, o emigra fuori regione o sceglie di curarsi a pagamento (la cosiddetta cura out of pocket).

Tre fenomeni che tutti – ma proprio tutti – dicono di voler combattere. A chiacchiere. Ma nessuno indica la soluzione. Che è semplice: occorre eliminare il sistema dei tetti di spesa o, meglio, occorre applicare la legge, il d. lvo 502/92 che prevede la remunerazione ridotta una volta superati i tetti. Una previsione saggia e lungimirante (frutto di una politica seria) che rispettava i diritti dei cittadini e le esigenze dello Stato (ed anche il dictum della Corte Costituzionale).

Negli ultimi tre anni in Calabria si è fatto di meglio. Si sono utilizzate le risorse assegnate al fondo privato per incentivare la produzione di prestazioni di alta specialità ed ad alto impatto migratorio.

Ciò ha consentito di ridurre lista d’attesa ed emigrazione sanitaria, di produrre prestazioni di estrema eccellenza senza spendere un solo centesimo in più. Con gratificazione professionale dei medici e imprenditoriale di strutture che hanno investito in tecnologia e personale.

Anche questi sono fatti anzi è politica sanitaria quella che dalla conoscenza dei fatti ne trae un progetto. Al netto dei gargarismi che riempiono la bocca di chi pratica facili populismi e blatera sui soldi dati ai privati e tolti al pubblico, con questi fatti e con questi dati deve misurarsi chiunque voglia discutere seriamente senza pregiudizi o ideologismi di sanità e servizio pubblico.

da “il Quotidiano del Sud” del 21 settembre 2025

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